In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

Le donne del mito che tessono il filo del viaggio più celebre di tutti i tempi

Il viaggio di un uomo, dell’umanità, del mito: di Odisseo.

A causa di una donna tutto ebbe inizio, grazie a una donna tutto potrebbe avere fine.
Potrebbe.

Questa la trama del viaggio più famoso della storia della letteratura è
narrata da un canto ancestrale. Nello spettacolo L’altra metà del mare: le donne dell’Odissea, la voce narrante è Marta Ossoli, attrice diplomata presso l’Accademia dei Filodrammatici.

Le sue parole, calde e profonde, vengono accompagnate dal violoncello di Francesca Ruffilli e dal violino di Silvia Mangiarotti, riprendendo le antiche melodie rievocate da Irene Papas in “Odes”, di Vangelis.

Nasce così un mantra che celebra il panismo della dimensione femminile. Cresce una narrazione
che culla e scuote allo stesso tempo lo spettatore, catapultandolo in una dimensione panica, femminea, potente.
Si riprendono le parole di Valerio Massimo Manfredi, autore di Il mio nome è Nessuno.

Marta fa il proprio ingresso, camminando fiera.
Gli archi ritmano il suo passo e i suoi respiri.

L’attrice incarna magnificamente ognuna delle donne
da cui Odisseo ha attinto forza, cibo, vita.

Nel ritmato susseguirsi di archetipi junghiani
la prima a venire alla luce dalle quinte è Elena, dalle candide braccia,
ammantata di rosso sangue, sensuale, con il capo cinto da una corona dorata.

Allora lei racconta con voce rotta dal pianto, ma trattenuta dalla sua regalità
di regina. La donna per cui il mondo intero si era mosso sotto i colpi
degli odi tra uomini non ha ottenuto l’unico essere che la facesse tremare: Odisseo.

Il rifiuto dell’eroe, al momento della scelta del marito, le trapassò il cuore,
facendolo sanguinare, per sempre.

Una notte, mentre Troia bruciava,
Elena condusse l’eroe dalla mente veloce all’intero del palazzo.
Lo lavò, lo profumò come fosse suo marito e…

Con le sue parole lo guidò da Circe. Marta entra di nuovo in scena,
ora gli archi pronunciano un suono lento, come lo strisciare di un grande serpente.

Ecco Circe sovrana, con la veste nera, catalizza lo sguardo del pubblico con un ancestrale canto profondo. Lei, archetipo di guerriera e maga,
vendica donne mute straziate da uomini bruti,
tramutandoli in maiali.

Odisseo, unico individuo che lei non poté penetrare con la magia,
la considerò propria pari, vivendo con lei per lungo tempo.

E così, come un bambino che cerca rassicurazione presso la gonna della madre,
le chiese che cosa sarebbe stato di lui e dei propri compagni, non più porci.

La maga condusse il filo del viaggio verso il mondo dove mai nessuno
si è recato. Tiresia sarà il passo da compiere tra il destino e il fato.

E Odisseo dall’agile mente salpa di nuovo. Così il mare lo conduce
da colei che, candida come il suo abito, nasconde l’eroe dallo scorrere
del tempo: Calipso.

Ma il mare lo richiama a sé,
strappandolo a un paradiso non suo e alla promessa di immortalità.

E le onde cullano l’itacese verso la felice isola dei Feaci.
Lì, lacero, nudo e sanguinante viene ritrovato riverso sulla spiaggia da…
una creatura. Poco più che bambina, non ancora giovane donna: Nausicaa.
In quell’età in cui le corse da bambina vengono alternate ai primi timidi tiepidi palpiti d’amore.

Così la bambina lo salva, lo conduce alla casa del padre: il giusto sovrano Alcinoo.
Lì l’eroe naufrago narra la propria storia e la bambina, incantevole nel suo abito
color del mare, custodisce il primo barlume di una luce che conoscerà, tempo dopo: l’Amore.

Poi: Itaca. La capanna del porcaro Eumeo. L’incontro con il figlio Telemaco, lasciato all’età
di soli tre mesi, ora giovane uomo con la prima barba.

La casa, i proci: sgozzati, trafitti come un’ecatombe di giovani tori boriosi.
Infine la prova più temuta: Penelope.

Fulgida, fiera, nel suo peplo nero ornato d’oro avanza, siede sul trono dal quale ha amministrato con senno l’isola. Lei è lui e lui è lei.
L’ultimo inganno: un letto che non si può spostare. L’abbraccio atteso da 20 anni.

E poi, di nuovo, il mare.
Lei, Penelope, donna dalla mente veloce viaggia, con la mente.
E crede, spera, vive.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini, poetessa milanese scomparsa nel 2009, ha raccontato in versi l’amore carnale e l’amore per la poesia, sua compagna di vita. Ha testimoniato le sofferenze e il desiderio di libertà provate all’interno dei manicomi in cui è stata internata per diversi anni.

Alda Merini nasceva il 21 marzo 1931 in una Milano che amava immensamente. Crebbe in una famiglia di umili condizioni e frequentò un istituto professionale. Cercò di trasferirsi al liceo Manzoni, ma non superò il test di italiano e si dedicò a studiare pianoforte. A quindici anni, però, emerse il suo talento e pubblicò due poesie all’interno di un’antologia.

L’anno successivo, a soli sedici anni, comparvero i primi segni di una malattia che la perseguiterà per il resto della vita: il disturbo bipolare. Erano anni bui per le persone considerate pazze, internate nei manicomi senza alternative. La poetessa milanese non ricevette cure adeguate, ma solo numerose privazioni, subendo l’elettroshock. In quei luoghi dediti a torture ancora legali per diversi anni, Alda Merini riuscì a concepire poesie meravigliose, intense e forti, contrastando la bruttezza che la circondava. Da questa esperienza, infatti, nacque la raccolta La terra santa: un viaggio che attraversa i momenti vissuti all’interno del manicomio.
È stata marchiata dal fardello della follia, una compagna di vita scomoda e limitante, ma che le ha permesso di vedere il mondo da un altro punto di vista. Leggiamo un pezzo della lunga e struggente poesia Laggiù dove morivano i dannati:

[…]
Laggiù nel manicomio
dove le urla venivano attutite
da sanguinari cuscini
laggiù tu vedevi Iddio
non so, tra le traslucide idee
della tua grande follia.
[…]

Il manicomio era il posto in cui non si poteva urlare il proprio dolore, dove non c’era posto per l’umanità e le urla venivano soffocate. È in quella mancanza che Alda Merini trovò Dio, lo vide in mezzo al nulla e lo sentì tra le pareti del silenzio. Credeva in Dio, pur non accettando che il sesso fosse trattato come un peccato. Ella amava l’amore sentimentale e il desiderio carnale, protagonisti di numerose poesie. Si innamorava continuamente, accettando anche la conseguente sofferenza. Visse relazioni difficili e conobbe uomini complicati, infedeli, che non le donavano tutto l’amore che lei dava loro. È in quell’amore, tra le braccia di un uomo, che riesce a stare bene. Ce lo racconta nella poesia C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte:

C’è un posto nel mondo
dove il cuore batte forte,
dove rimani senza fiato,
per quanta emozione provi,
dove il tempo si ferma
e non hai più l’età;
quel posto è tra le tue braccia
in cui non invecchia il cuore,
mentre la mente non smette mai di sognare…
Da lì fuggir non potrò
poiché la fantasia d’incanto
risente il nostro calore e no…
non permetterò mai
ch’io possa rinunciar a chi
d’amor mi sa far volar.

Non può fuggire da quel posto, fonte di una felicità priva di eguali. Non può e non sa rinunciarvi perché anche se il tempo passa e si riversa sul corpo, lì il cuore non invecchia mai. Rimane vivo.

Alda Merini era sposata con un panettiere, ma in seguito alla sua morte sposò il poeta Michele Pierri, che aveva apprezzato molto le sue poesie. Si trasferì per tre anni a Taranto e scrisse il suo primo libro in prosa: L’altra verità. Diario di una diversa. A Taranto, però, venne nuovamente internata e visse anni terribili, le impedirono anche di vedere le figlie. Soltanto dopo il 1978, anno in cui la Legge Basaglia chiuse i manicomi, Alda Merini poté ritrovare la serenità perduta.

Alda Merini e Michele Pierri

Accanto all’amore carnale e alla follia, anche l’amore per la poesia è dominante nelle opere di Alda Merini. Emerge il contrasto e il legame che esiste tra la sofferenza e la bellezza, tra la solitudine e la creatività. La poesia nasce da una mancanza, nell’assenza di rumore e nel buio della notte.

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
[…]
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.

Questa poesia, contenuta nella raccolta La terra santa, presenta un’antitesi tra la poesia, bella e delicata, e la pietra, dura e pesante. Alda Merini vuole dirci che non c’è bellezza senza sofferenza. Scrisse molte delle sue poesie in un manicomio, un luogo in cui ha subìto umiliazioni, ma quelle ginocchia piegate non le hanno impedito di inseguire la bellezza. È lì che cercò il mistero, trovandolo tra i versi di una poesia scritta col sangue. Tu, poeta, sei un pazzo criminale e detti versi all’umanità: consegni agli uomini i versi della rivincita, della speranza. Tu, poeta, sei fratello a Giona: sei come il profeta Giona, che trasgredì il dovere dettato da Dio, fuggendo e isolandosi da tutti gli altri.

I poeti trovano sé stessi di notte, quando gli altri dormono e non hanno fretta di finire. Scrivono quando le piazze sono vuote e l’unico rumore che si ode è quello delle lancette:

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
[…]

Alda Merini visse una vita difficile, violenta e accusata di essere folle. Non smise mai di cercare, creare e amare. Mise su carta le proprie emozioni, altalenanti e forti, consegnandoci fragilità, coraggio e speranza. È stata e continua a essere una delle poetesse più espressive e talentuose del Novecento, e non solo. Non è stata compresa per molto tempo, ma la penna le è rimasta fedele tra le dita.

O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
[…]

La poesia è violenta con lei, la teme, come alcuni uomini che ha conosciuto. Eppure, non può fare a meno di amarla e noi non possiamo non amare i suoi versi.


di Martina Macrì

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Yves Saint Laurent

Yves Saint Laurent

Yves Saint Laurent

Yves Saint Laurent (che sta per Yves Henri Donat Mathieu Saint Laurent) ci ha lasciato esattamente tredici anni fa, ma la sua creatività e il suo gusto per l’arte ancora oggi riecheggiano nella sua maison.

Yves Saint Laurent, uno dei più importanti couturier del XX secolo, si distinse negli anni soprattutto grazie alla sua sensibilità verso tutto ciò che veniva ritenuto “diverso” dai modelli classici, il che gli valse la nomea di vero e proprio artista della moda. Vediamo insieme allora alcune delle sue grandi innovazioni stilistiche, nonché vere e proprie conquiste ideologiche.

Il volto della diversità       

Tra le grandi novità che lo stilista introdusse nel mondo della moda, prima fra tutte va ricordata la scelta dello stilista di presentare, nel 1966, un capo come lo smoking, non più indirizzato solamente agli uomini, ma anche alle donne: già in precedenza Gabrielle Chanel aveva sdoganato questo tabù, ma in realtà le donne che indossavano pantaloni in pubblico a quei tempi venivano guardate male dalla gente. Yves Saint Laurent perciò decise di ribadire il concetto di parità dei sessi, e per farlo si servì appunto della moda. Altra grande innovazione dello stilista francese fu l’integrazione dell’arte nelle sue collezioni: diversi furono infatti i capi firmati Yves Saint Laurent che mostravano chiari richiami ad artisti famosi in tutto il mondo fra cui Picasso, Matisse, Warhol e Braque. Va inoltre ricordato che Saint Laurent fu tra i primi grandi stilisti a fare sfilare sulle passerelle modelle di colore, tra cui Naomi Campbell e Iman: altra grande conquista sul fronte della lotta contro le diseguaglianze. Per ultima, ma non per importanza, ricordiamo l’introduzione del concetto di libertà sessuale nel grande mondo della moda tramite la creazione di abiti trasparenti che mostrassero il seno nudo delle modelle: se oggi fa ancora scandalo vedere un capezzolo in qualche foto, figuriamoci negli anni Sessanta!

Yves Saint Laurent e Dior

Tra Yves Saint Laurent e Christian Dior nacque fin da subito una grande intesa che, nel 1955, si concretizzò con l’assunzione del giovane Saint Laurent presso la casa di moda Dior. Saint Laurent ai tempi era ancora un ragazzo inesperto che muoveva i suoi primi passi nel campo della moda, ma grazie alla guida del suo mentore, in breve tempo lo stilista si guadagnò una notevole fama. Sembrerebbe tutto molto idilliaco, se non fosse che nel 1957 Christian Dior morì di infarto, lasciando la maison al suo unico e fedele “erede artistico”: Yves Saint Laurent, il quale diventatone direttore artistico, fin da subito promosse una nuova collezione firmata Dior introducendo la nuovissima linea Trapeze in sostituzione alla classica forma a clessidra degli abiti precedenti. Nel 1960 però lo stilista francese fu costretto ad arruolarsi nell’esercito, evento che segnò profondamente la sua situazione psicologica: dopo essere stato ricoverato in ospedale, Saint Laurent scoprì di essere stato licenziato dalla maison Dior. In seguito ad una causa in tribunale (vinta da Saint Laurent poiché la casa di moda non aveva rispettato i termini contrattuali), lo stilista decise di aprire la propria casa di moda insieme al compagno Pierre Bergé. Nonostante la casa di moda Yves Saint Laurent sia stata poi ufficialmente chiusa nel 2002, il marchio sopravvive ancora oggi grazie a Gucci (la casa maison francese fu acquistata da quest’ultima nel 1999).

Dopo aver elencato solo alcune delle grandi conquiste firmate Yves Saint Laurent, non possiamo fare altro che ricordare questo grande stilista, nonché promotore di libertà artistica e di parità fra i sessi già a partire dagli anni Sessanta, mettendo le basi per la nascita di un’industria della moda sempre più all’avanguardia.

di Cecilia Gavazzoni.

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Cecilia Gavazzoni

Ciao, sono Cecilia e studio Lettere Moderne. Adoro scrivere e spesso fingo di essere anche esperta di moda (un’altra mia grande passione). Ah, a volte do anche consigli di Lifestyle e pareri non richiesti. Ma niente di serio, non vi preoccupate.

Oscar 2021

Oscar 2021

Oscar 2021

Anche per la 93esima edizione degli Oscar non potevano mancare le nostre pagelline dei look più strepitosi e scandalosi a cui abbiamo assistito durante il red carpet.

La premiazione degli Oscar 2021, nonostante il ritardo di due mesi dovuto alla situazione pandemica, ci ha regalato moltissimi look stravaganti e sopra le righe, tra colori fluo e firme da capogiro. Vediamo allora insieme le mise tanto attese di questa serata stellare!

Laura Pausini

Avvolta da un bellissimo abito nero di Valentino, Laura Pausini è una meraviglia per gli occhi: pura eleganza e semplicità. Complimenti. Voto: 8

Zendaya

Se pensavamo che il giallo fluo fosse un colore impossibile da indossare senza sembrare un evidenziatore, ci sbagliavamo di grosso. Zendaya insegnaci. Voto: 9

Vanessa Kirby

L’attrice britannica Vanessa Kirby ha lasciato tutti a bocca aperta con il suo Gucci color cipria: raffinato, essenziale e soprattutto molto studiato. Voto: 8,5

Halle Berry

Non abbiamo ancora capito se ci convince il Dolce&Gabbana di Halle Berry: lei è bellissima, ma sarà forse per l’accoppiata abito/taglio di capelli vertiginoso che non riusciamo a sbilanciarci? Nel dubbio le diamo la sufficienza. Voto: 6

Laura Dern

Con un favoloso Oscar De La Renta black and white Laura Dern ha incantato i fotografi sul red carpet: le piume hanno il loro perché. Voto: 7,5

Tiara Thomas

La Thomas ci ha decisamente lasciato senza parole. Che dire, wow. Voto: 9

Glenn Close

Glenn Close è adorabile, ma per il look degli Oscar ci aspettavamo qualcosa di più: diciamo che quest’anno non si è impegnata molto. Voto: 5,5

Carey Mulligan

In un Valentino due pezzi dorato, Carey Mulligan ha portato sul red carpet tutt’altro che sobrietà, e ci piace. Voto: 8

Maria Bakalova

Con il suo candido Louis Vuitton, Maria Bakalova ha sfilato sul red carpet come una giovane sposina composta e sofisticata avrebbe percorso la navata di una chiesa il giorno del suo matrimonio. Scelta poco azzardata, ma pur sempre meravigliosa. Voto: 7,5

H.E.R.

Non vi ricorda qualcosa? Niente? E se dicessimo Purple Rain? Ah, ecco. La cantante H.E.R. è semplicemente favolosa nel suo abito blu elettrico e la scelta di rievocare il look del re indiscusso Prince agli Oscar del 1985 quando vinse con Purple Rain non passa certamente inosservata. Voto: 8

Anche questa volta le nostre pagelline – purtroppo – sono giunte al termine, ma non vi disperate: a breve ci saranno moltissimi altri eventi su cui posare i nostri occhi severi e giudicanti. Perciò, come sempre, stay tuned!

di Cecilia Gavazzoni.

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Nostalgia canaglia

Nostalgia canaglia

Nostalgia canaglia

Sappiamo bene che la maggior parte di noi giovani ha attraversato una “fase tamarra” che bene o male tutti siamo riusciti a superare (chi più e chi, purtroppo, meno), ma siamo sicuri di ricordarci i vestiti e gli accessori che abbiamo indossato durante l’adolescenza e di cui oggi ci pentiamo amaramente?

Giusto per rinfrescare la memoria: vi ricordate dei Frankie Garage? E se vi dicessi di quei pantaloni della tuta con l’immancabile firma sul posteriore e il cavallo basso che davano l’impressione di non saper camminare? E se dicessi invece Rams 23 vi viene in mente qualcosa?  Ripercorriamo allora insieme le tappe della nostra giovinezza tramite 8 capi di abbigliamento e accessori che hanno rappresentato lo “stile” di un’intera generazione di cui forse avevamo dimenticato – volontariamente – l’esistenza.

I Frankie Garage

In qualsiasi classe di qualsiasi scuola delle medie almeno un ragazzino su cinque ha avuto questo paio di pantaloni della tuta a dir poco inguardabili, e li ha anche sfoggiati con orgoglio. Di diversi colori che andavano dal bianco al nero, dal blu scuro al grigio (grande fantasia cromatica devo dire), chi indossava questi pantaloni aveva sempre un’andatura rilassata e allo stesso tempo spavalda, come se avesse tutta la scuola ai suoi piedi (ridicolo, considerando che l’unica cosa ai suoi piedi fosse il cavallo dei suoi pantaloni).

Rams 23

Che fosse una felpa, un paio di pantaloni o i boxer che spuntavano dai jeans, Rams 23 era una delle marche di abbigliamento più indossate durante il periodo adolescenziale, prima soprattutto dai “ragazzi bene”, poi anche dai cosiddetti “zarri”. Conosciuta soprattutto per il suo logo, questa marca spopolò in breve tempo soprattutto fra i maschietti che volevano mostrare il loro lato ribelle e particolarmente tamarro.

Le Air Force 1 bianche alte (con stringhe assortite)

Una delle scarpe più alla moda fra il 2012 e il 2013, le Air Force 1 bianche alte hanno davvero spopolato in quel periodo. Nonostante la loro semplicità (di per sé non erano scarpe tamarre, tant’è che oggi va di moda lo stesso modello ma basso), qualsiasi tredicenne che indossasse quelle scarpe è riuscito a renderle inguardabili grazie alle stringhe colorate, con stampe zebrate o leopardate che allora andavano di moda, e ammetto di essere stata contagiata anche io da questo trend.

La sciarpa Kefiah

Probabilmente l’avete riconosciuta grazie alla foto (io in primis non sapevo si chiamasse così), ma sicuramente anche tu che stai leggendo hai avuto questa sciarpa di diversi colori; tra gli abbinamenti più popolari c’erano sicuramente il bianco e nero, il blu e nero e il fucsia e nero. In realtà questa sciarpa è un copricapo tradizionale della cultura araba che viene indossata nel deserto e nelle zone particolarmente calde dalla gente del posto, nulla a che vedere con l’utilizzo che ne si faceva tra i ragazzini (per non parlare dei colori, completamente “occidentalizzati”).

Il Choker

Tra le ragazze era uno degli accessori più di moda; prima solo intrecciato e rigorosamente di colore nero, successivamente il Choker si è evoluto in diverse forme, colori e tessuti diversi a seconda dell’occasione in cui doveva essere indossato (durante matematica, all’intervallo, in mensa e via dicendo).

Il braccialetto Smarties

Anche questo uno dei grandi must have dei vecchi tempi, il braccialetto Smarties, indossato rigorosamente insieme a un altro centinaio di braccialetti, era un accessorio molto popolare tra le ragazze, ma veniva portato anche da qualche ragazzo che in genere lo rubava dall’uovo di Pasqua della sorella più piccola.

La felpa della Duff

Chiunque fosse un fan dei Simpson (quindi più o meno tutti) aveva nell’armadio una felpa della Duff, marchio leggendario della birra preferita di Homer Simpson. Di qualsiasi colore e tessuto, questa felpa in genere veniva indossata dai “clown” della classe che mostravano non solo un certo senso dell’umorismo, ma anche una buona dose di spavalderia.

Le Nike Blazer Mid 77

Se avevi queste scarpe eri sicuramente un “ragazzo bene” o, quantomeno, volevi sembrare tale. Oltre alle Air Force alte, le Nike Blazer Mid 77 erano le scarpe più indossate tra i giovani, ma erano anche le meno tamarre dell’epoca. E forse le più accettabili oggi poiché semplici, comode e di colori basici.

Il nostro elenco purtroppo è giunto al termine. Dopo questo (inguardabile) riassortimento di vestiti e accessori più in voga tra i giovani della scorsa generazione, spero che voi che avete letto questo articolo abbiate fatto ammenda per i soldi che i vostri genitori hanno dovuto spendere per questi capi di abbigliamento. E che promettiate a voi stessi di non ricadere mai più in tali errori.

di Cecilia Gavazzoni.

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