Bernini: pensare l’arte in modo pieno

Il 7 dicembre del 1598 nasceva a Napoli Gian Lorenzo Bernini, campione del barocco italiano e figura di spicco della Roma papale del XVII secolo. 

Gian Lorenzo Bernini nasce a Napoli il 7 dicembre 1598 da famiglia di origini fiorentine. La sua figura di scultore e architetto poliedrico si staglia, per quasi un secolo, nella Roma barocca imprimendo il proprio inconfondibile stigma, sia nel tessuto urbano che nella tecnica scultorea, conferendo a quest’ultima uno statuto nobilitante fino ad allora inedito.

Sin dall’antichità infatti la téchne (τέχνη) scultorea visse in una posizione di subalternità rispetto alla pittura. La scultura, nella visione antica e medievale, è fortemente compromessa con la materia: che sia bronzo o marmo, il rapporto fra materiale e forma da un lato e tecnica dall’altro deve attestarsi necessariamente sull’equilibrio; in poche parole, lo scultore deve conoscere il materiale e le sue caratteristiche intrinseche poiché il soggetto da scolpire, nella maggior parte dei casi, veniva fortemente condizionato dalla materia stessa. 

Lo scultore veniva considerato come un “alto artigiano”, o un individuo che operava essenzialmente con le mani. La pittura, al contrario, permetteva una maggiore astrazione in virtù di un esercizio più attento del logos (pensiero) da parte del pittore. Lo scultore, dunque, opera con le mani, mentre il pittore col pensiero. Tale valore della pittura ha spesso relegato la scultura in secondo piano: in antica Grecia lo scultore era considerato un operaio, e non un artista tutto tondo, al contrario del pittore.

Nomi come Polignoto di Taso, Zeusi di Crotone o Apelle, risuonarono nelle pagine della Naturalis Historia di Plinio, e ancora oggi, nonostante di loro non si conosca un’opera originale, ma solo supposte riproduzioni o copie, riempiono di magnificenza l’immaginario degli appassionati di storia dell’arte e non solo.

Nel medioevo, il primo a nobilitare la scultura fu Dante: nel X canto del Purgatorio il viator Dante, accompagnato da Virgilio, mira gli esempi di umiltà che sono scolpiti nello zoccolone della parete del monte, nella I cornice del purgatorio. I personaggi intagliati nel marmo sono quelli della Vergine Maria, del re David e dell’imperatore Traiano; la magnificenza dell’intaglio e la resa dei dettagli suscitano la meraviglia di Dante, che così’ scrive:

[…] esser di marmo candido e addorno 

d’intagli sì, che non pur Policleto, 

ma la natura lì avrebbe scorno.                                       

 

L’angel che venne in terra col decreto 

de la molt’anni lagrimata pace, 

ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,                           

 

dinanzi a noi pareva sì verace 

quivi intagliato in un atto soave, 

che non sembiava imagine che tace.

La maestranza divina che ha plasmato il marmo ha reso gli intagli nello sperone della montagna sacra così realistici che paiono veri, infinitamente migliori di quelli di Policleto, e anzi la natura stessa verrebbe sconfitta (avrebbe scorno). L’angelo Gabriele, giunto in visita a Maria, sembra vero (verace), come se stesse per pronunciare il suo saluto alla regina dell’Empireo. 

Ciò’ che Dante affibbia alle sculture del Purgatorio è il movimento che rende quasi vere le sculture; quello stesso movimento che diventerà la marca predominante di Bernini. 

Sulla scia delle movenze secentesche, la scultura di Bernini si pasce di movimento e di resa delle espressioni, dell’animo dei personaggi ritratti; il moto berniniano, a differenza della scultura rinascimentale, rincorre i movimenti della coeva pittura barocca (Caravaggio, ad esempio). Bernini anzi conforma la scultura ai canoni stupefacenti, immaginifici e teatrali del Barocco, e la sua téchne fomenta l’anima stessa del marmo.  

La resa del momento transitorio è già presente nel capolavoro dell’età giovanile di Bernini: Apollo e Dafne.

Il gruppo scultoreo, databile fra il 1622 e 1625, immortala il momento culminante della metamorfosi della naiade Dafne in albero di alloro, rincorsa da un Apollo insolente: in passi di danza fatale, la naiade prova orrore per le sporche mani della divinità che si posano colpevolmente sul suo fianco sinistro. Il braccio destro di Dafne, supplichevole, si protende nello spazio implicando anche lo spettatore nell’intensità emotiva della scena tratta dalle Metamorfosi di Ovidio. La resa teatrale dei sentimenti dei personaggi, nettamente in antitesi, si rivestono di una forte carica erotica nel tocco violento della divinità sul candido corpo di Dafne. 

Una carica erotica che si ritrova nell’altro grande capolavoro, questa volta dell’età matura, di Bernini: l’Estasi di Santa teresa d’Avila, datata fra il 1645 e il 1652.

Se l’Apollo e Dafne rappresenta un gruppo scultoreo a sé stante, l’Estasi si colloca in un contesto del tutto differente. L’istanza teatrale è altamente enfatizzata dalla collocazione del gruppo scultoreo: alla scena mistica infatti assistono alcuni personaggi a tutto tondo che si collocano ai lati della cappella in cui l’opera è custodita (cappella Cornaro, presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma). 

Lo stesso spettatore viene rapito dalla scena: il momento supremo dell’unione con Dio è sospeso fra spiritualità e una forte carica erotica che provoca, irrita e compiace al contempo. Bernini avrebbe seguito pedissequamente ciò che la santa ha lasciato scritto nelle sue memorie: 

Dio volle che vedessi alla mia sinistra un angelo sotto forma corporea. Non era grande, ma bellissimo. Aveva in mano un lungo dardo d’oro, dalla cui punta di ferro usciva una fiamma. Mi colpì subito il cuore fin nelle fibre più profonde e mi parve che, nel ritirarlo, ne portasse con sé dei lembi. 

La santa spagnola, avvolta in un panneggio languido e partecipativo del momento sacro, esprime uno stato di esaltazione che coinvolge lo spirito e la carne. Teresa offre il suo corpo all’angelo dal sorriso sardonico che tiene in mano la freccia dell’amor divino, pronto a penetrare il petto della santa. Una penetrazione ambivalente, dolorosa e carica di tensione, come quella di Tancredi su Clorinda nel poema tassiano. La luce, che scende teatralmente dall’alto, dona l’idea di un moto verso l’alto, preludio dell’ascesa della santa al cielo. 

Bernini, formatosi nell’ambiente manierista fiorentino, diventa il simbolo di una scultura in movimento, di una materia (soprattutto il marmo) che, libera dalle sue costrizioni intrinseche si fa duttile e plasmabile come la pittura, suscettibile di spettacolarizzazione e provocazione. Non i pennelli, ma gli scalpelli si fanno leggeri e incisivi al contempo nell’arte di Bernini: il logos rivive nelle sue opere. 

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.