La street art al museo: un compromesso tra gli attori del sistema-arte

Nel 2010, l’allora quasi sconosciuto street artist Banksy sbarcò a San Francisco, in California, e lasciò il suo segno su sei muri della città. Non appena il Comune si accorse della presenza di queste opere, le riconobbe come atti di vandalismo e le condannò alla rimozione immediata. La decisione fu il risultato di un regolamento molto severo in materia di graffiti e di una generale tendenza della pubblica amministrazione ad agire sempre in stretta osservanza e rispetto delle regole, talvolta ignorando – e non beneficiando – dei tratti distintivi di singolarità come queste. In questa occasione, il collezionista Brian Grief riuscì a salvare uno tra i graffiti, attualmente conosciuto come The Haight Street Rat. Egli sradicò i pali di legno sui quali l’opera era stata dipinta e li conservò nel suo magazzino, in attesa di raggiungere un accordo con un museo o un’istituzione per esporla, sperando avrebbe raggiunto un ampio pubblico.

Questa storia sollevò una serie di critiche e preoccupazioni sia da parte del grande pubblico sia dal circuito interno al sistema dell’arte: cosa succede al significato di una produzione di street art quando entra nel contesto istituzionale, lo stesso che spesso mira a criticare? Si tratta ancora street art nel momento in cui l’opera non si trova più sotto gli occhi dei passanti? Possono le istituzioni culturali preservare l’integrità artistica e poetica di queste opere?

Nel passaggio dal contesto di creazione a quello di fruizione, l’opera d’arte passa tra le mani di intermediari, guardiani che hanno la responsabilità di preservare e trasmettere il significato originale dell’espressione artistica. Questo è vero per ogni forma d’arte, ma nel caso dell’arte di strada l’istituzionalizzazione rappresenta una contraddizione con l’essenza più profonda della pratica.

Tuttavia la de-contestualizzazione non solo è favorita dalle istituzioni, ma anche parzialmente accettata dagli artisti, rappresentando una decisione pseudo-forzata: l’effimerità dell’arte di strada non è solo il risultato di una scelta artistica indipendente, ma anche del rigido regolamento a cui spesso l’amministrazione pubblica si attiene. Gli artisti si trovano dunque di fronte a una decisione complessa: compromettere il potenziale dell’opera di gridare un messaggio, perché potrebbe essere rimossa nel breve termine; lasciare che le istituzioni se ne approprino avendo, spesso, scarse competenze per curare questa forma d’arte; oppure collaborare con le istituzioni per rendere il contesto coerente, per quanto possibile, con le loro intenzioni originali.

Nel discutere il contesto di fruizione dell’opera d’arte bisognerebbe anche considerare la differenza tra l’azione involontaria del vedere e quella intenzionale di guardare. Così come gallerie e musei non sono spazi neutrali, neanche il contesto della strada lo è, permettendo a chiunque di vedere, ma senza garantire che nessuno guardi. Questa considerazione non vuole mettere in discussione le caratteristiche dell’arte di strada come pratica. Al contrario, mira a suggerire che, mentre le persone in strada possono essere impegnate in una conversazione, camminare di fretta o distrarsi con il telefono, il pubblico nei musei o nelle mostre sta certamente vedendo, e forse anche guardando e mettendo in discussione l’opera d’arte. Le istituzioni hanno così l’opportunità di favorire il dibattito sui significati che gli artisti, di strada o no, intendono comunicare.

Il contesto istituzionale offre quindi, oltre alla maggiore visibilità e la possibilità agli artisti di strada di durare nella memoria, di sfuggire alla rigidità della pubblica amministrazione e di incontrare un pubblico che si impegna a discutere le loro opere. Per preservare l’integrità del significato, gli artisti, siccome molti ancora in vita, dovrebbero essere coinvolti maggiormente nella curatela, avvalendosi ancora una volta della loro libertà di espressione, ora all’interno delle istituzioni: sarebbe a dire coinvolgerli nel processo di ri-contestualizzazione dell’opera d’arte e di beneficiare della loro partecipazione attiva nel processo di creazione del valore.

Che sia questo il compromesso raggiunto nel 2018, da Sotheby’s e l’autodistruttiva Girl with a Balloon di Banksy?