Manet: il maestro del carpe diem raccontato attraverso Il Bar delle Folies-Bergère

Il 30 aprile 1883, all’età di 51 anni, scompare Edouard Manet, ma non prima di concludere il suo testamento artistico: Il Bar delle Folies-Bergère.

Manet ha impressionato e continua tutt’oggi a impressionare appassionati d’arte e profani della disciplina. Non è casuale la scelta del termine impressionare poiché egli contribuì proprio allo sviluppo della corrente impressionista, sviluppatasi negli anni Settanta dell’Ottocento. Ciò che vale per gli impressionisti vale anche per Manet: l’arte è trasporre su tela la realtà filtrata dal proprio sguardo, non una realtà fotografica e limitatamente ricalcata.    Dipingere non è un processo di riproduzione ma è una reinterpretazione personale della scena, sempre e comunque fissata a partire da un’impressione, un attimo fugace, il carpe diem oraziano colto dall’occhio sapiente dell’artista.

Il Bar delle Folies-Bergère è un olio su tela del 1882 che al meglio rappresenta la prontezza dell’occhio e del pennello di Manet. In questa sua ultima opera l’artista ci scaraventa nel bel mezzo del locale parigino delle Folies-Bergère, tra musica, danze, rumorosi chiacchiericci e nuvole di fumo che impregnano le pareti e gli assidui frequentatori del locale. Non è una descrizione esageratamente romanzata della scena, tutto ciò è ben visibile e percepibile alle spalle della cameriera, sullo specchio che riflette l’interno della sala.

Le Folies-Bergère è un caffè-concerto, tra i preferiti di Manet, inaugurato nel 1869 e tutt’ora visitabile. Qui la media e alta società parigina di quegli anni si accalcava ogni sera per assistere a spettacoli di varietà sorseggiando audaci drink. Uno scenario che per noi giovani dell’era covid è solo un vecchio ricordo, ma nell’attesa della riapertura di locali e discoteche osservare questo dipinto può essere una timida alternativa.

Tra la gioia e la confusione generale si erge imponente al centro della scena Suzon, una cameriera malinconica la cui espressività crea un forte contrasto con l’atmosfera del locale. Manet riesce magistralmente a cogliere l’espressione della giovane: è pensierosa e annoiata, ha uno sguardo assente, quello che per i clienti è un luogo per staccare dalla quotidianità e svagarsi per lei è il luogo di lavoro. Osservandola è naturale chiedersi a cosa stia pensando. Forse agogna disperatamente la fine del turno, forse teme che l’avventore del locale che le si è posto di fronte le ponga una delle domande più temute da tutto il popolo delle cameriere: “Siamo in 18, possiamo fare conti separati?” oppure “Potrei avere gentilmente un’acqua minerale?” (ignorando che minerale non è sinonimo di frizzante).

La tela di Manet è stata accusata dalla critica di riportare errori di prospettiva. Solo successivamente si è compreso che il punto di vista da cui osservare correttamente la scena è quello del cliente al di là del bancone. Prospettiva fedele o fantasiosa che sia, non importa, ciò che conta è che Manet, fino al suo ultimo respiro, ha dato prova di possedere un incredibile occhio fotografico. In più il Bar delle Folies-Bergère fissa a pieno la realtà di quegli anni, come in un’istantanea, e rende omaggio alla categoria delle cameriere di cui Suzon è portavoce.

Manet ci offre, infatti, una duplice prospettiva. Da un lato è raffigurata in modo chiaro e nitido colei che si trova al di qua del bancone, Suzon, con cui possiamo empatizzare facilmente perché l’artista ci dà la possibilità di guardarla direttamente negli occhi, comprendendo nell’immediato la sua condizione. Dall’altro lato sono rappresentati coloro che si trovano al di là del bancone, i ricchi borghesi che vengono serviti da Suzon e rappresentati attraverso l’artificio dello specchio, che riflette, filtra e deforma la realtà.

È così che da una tela bidimensionale emergono molteplici piani, Manet riesce a offrirci una scena tridimensionale e fortemente immersiva. Ma nel quadro non mancano alcune piccole chicche, probabilmente già evidenti ai più attenti e curiosi: la firma di Manet sull’etichetta della bottiglia rossa di sinistra e, sempre sulla sinistra, un trapezista di cui si scorgono solamente le calzature verdi.

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!