Nicola Pietrangeli, once upon a time in Rome

Il tennis come pretesto per viaggiare e conoscere il mondo; le amicizie, le donne e il divertimento con i colleghi. Quando il tennis era povero ma bello.

Racconta Nicola: “Questa barzelletta è fortissima: gara di tiro all’animale. Un francese con un solo colpo di fucile fa fuori due anatre. Un inglese uccide un paio di volatili con una freccia. Infine, arriva un giapponese che sguaina uno spadone, con cui, dopo aver emesso alcuni suoni gutturali, fende l’aria scagliandosi contro una zanzara che però continua a volare. Al termine dell’esibizione il capo della giuria lo convoca sul palco e gli dice: guardi che la zanzara vola ancora. Sì, risponde lui, ma non scopa più. Ogni volta che gliela raccontavo, Mastroianni si contorceva dalle risate. Con il Principe Ranieri invece era più difficile; quando ne raccontava una, guai a fargli capire che la sapevo già”.

Mastroianni, Ranieri di Monaco; con il protagonista di questa storia si finisce sempre per arrivare alle teste coronate. Come gli rimproverava con il sorriso il suo amico e compagno di doppio Orlando Sirola: “tu esci solo con le principesse, sei un arrampicatore sociale!”. Eh sì, Parigi, Montecarlo, la Swinging London; e poi Roma, Via Veneto, la Dolce Vita… Anitona… Marcello… Nicola, come here.

E Nicola Pietrangeli ci arriva davvero a Roma. Da Tunisi. La madre, Anna, è una russa di buona famiglia in fuga dal regime sovietico; il padre, ingegnere, che aveva portato la famiglia lì per lavoro, viene internato in un campo di prigionia alleato durante la Seconda Guerra mondiale, e la prima partita di tennis per Nic è un doppio con il suo genitore, in un campo vicino al carcere fatto costruire proprio dall’ingegnere.  Ha tredici anni, e parla francese e russo; “imparando l’italiano”, dira poi, “ho perduto la lingua di mia madre, e non ho potuto imparare l’arabo”.

Si divide tra calcio e tennis, e continuerà così per qualche anno. Dopo un triennio nelle giovanili della Lazio e la prospettiva di un passaggio alla Viterbese, sceglie la racchetta. Non per i soldi, che sono pochi in entrambi gli ambiti, ma per la libertà di non essere di proprietà di nessuno, e per i viaggi: “con il tennis magari arriverò fino a Milano…”.

Eccolo, il senso di Nic per la vita: viaggiare, incontrare, divertirsi, ma con classe: “L’importante non è essere miliardari, ma vivere come un miliardario”. Ricco di aneddoti intorno al campo da gioco e benevolo con sé stesso e quelli della sua generazione, instancabile promoter di sé medesimo.

Sin dall’inizio mostra alcuni aspetti della sua indole che ne segneranno la carriera e nondimeno gli accadimenti off court; la pigrizia e la sostanziale indifferenza verso il tennis.

Il disprezzo verso la routine e il genio a indulgere verso atteggiamenti poco da atleta. Racconta il suo amico intimo Gianni Clerici, ex tennista non fenomenale ma grande scrittore e giornalista scomparso lo scorso maggio, che una volta, avendo un incontro di finale a Como, Pietrangeli passa la mattina a fare sci d’acqua sul lago, per approdare poi a Lezzeno (circa venti chilometri dalla città) e pranzare, non accusando minimamente inappetenza da prepartita. Dopo un altro po’ di pratica sul pelo dell’acqua il gruppetto si presenta in città, e Pietrangeli distrugge in poco tempo il malcapitato finalista.

Vita notturna, donne e feste saranno un continuum per il nostro eroe, e Clerici, di tre anni più grande, racconterà nel suo “500 anni di tennis” di come cercò più volte di staccarlo dalle sue “distrazioni” preferite, soprattutto quando vi indulgeva a poche ore (teoricamente di sonno) dalla disputa di un incontro importante.

Vince due volte gli internazionali d’Italia, in una delle finali sconfigge Rod Laver: roba seria. Nello stesso anno il suo amico Mastroianni rifiuta la parte di Yuri Zivago nel film tratto da Pasternak; al telefono chiede a un amico di dire “io da Roma non mi muovo”. Quell’amico, come racconterà divertita la “voce misteriosa” stessa, è Nicola: “Marcello era più pigro di me”.

Vince due Roland Garros, nel 1959 e 1960, e perde due finali nel 1961 e 1964, contro il giovane Manuel Santana. Alla vigilia della terza finale torna a Roma per la nascita del suo primo figlio; rientra a Parigi giovedì e si accorge che lo hanno aspettato. Di queste pietre miliari della sua carriera lui si diverte a ricordare i premi irrisori in denaro, l’amicizia con Santana (“dopo che mi sconfisse in finale, saltai la rete per congratularmi e non trovai nessuno: Manolo aveva strisciato sotto la rete ed era passato di là, come faceva quando era un povero raccattapalle”) e il piacere di incontrare gente, di presentarsi in smoking in alberghi bellissimi a Cannes. Va fiero delle sue amicizie con Sinatra, Sean Connery e Anthony Quinn; parla disinvolto persino della sua amicizia con il mafioso Joe Adonis (“persona squisita”).

Anni dopo, nel 1989, all’annuale ricevimento dei giocatori durante il torneo di Montecarlo, Nicola si presenta in coppia con l’amico di scorribande Ilie Nastase, entrambi agghindati in un femminile echeggiante il Charleston anni 20, roba da far impallidire Pola Negri. Sia Nick che il ragazzaccio rumeno appaiono più disinvolti di Jack Lemmon in “A qualcuno piace caldo”.

Pietrangeli è il giocatore che in assoluto ha disputato più incontri con la maglia della propria nazionale: 164 tra doppi e singolare, vincendone 120. Negli anni 60 la Federazione Italiana Tennis era una delle poche che pagava gli atleti, e la sua longevità è anche quella di Sirola, Merlo e Fausto Gardini. Giocherà due finali, perdendole entrambe. La vince da capitano non giocatore nel 1976, resistendo alle pressioni di chi in Italia non voleva che la Nazionale andasse a giocare a casa di Augusto Pinochet.

Nel 1977 perde la finale di Davis In Australia e viene messo in discussione; i rapporti interpersonali con la squadra, soprattutto con Adriano Panatta, non sono buoni. Pietrangeli viene messo da parte. Dopo più di quarant’anni i rapporti non sono migliorati. Incomprensioni, polemiche, frasi di troppo o parole non dette che avrebbero migliorato le cose. Nic pubblicamente rimprovera ad Adriano di non essere sincero; salvo poi dire di sé stesso: “nemmeno io sono la bocca della verità; ogni tanto anche io sbaglio…”.

La mancata verità come sbaglio, come ricordo non più limpido…

I ricordi sono come pietre composte da materiali di diversa consistenza; con il tempo vengono limati e perdono le parti più volatili e leggere, portate via dalla lenta e incessante opera degli agenti atmosferici, rimanendo le parti più consistenti e dure. Il negativo delle memorie si perde nelle traiettorie invisibili del vento dell’oblio, e il bello degli attimi passati rimane a dirci che è valsa la pena di vivere ogni istante. Nicola Pietrangeli ad ottantanove anni (complimenti!), è uno degli ex sportivi più intervistati. Più di tanti campioni di calcio di Spagna ’82; in lui si cerca l’opinione del grande vecchio, l’immancabile “il nostro tennis era più divertente”. Ma anche e soprattutto l’aneddoto, la storia bislacca, incredibile ma che “se la dice lui è vera”.

Perché Nic ha diritto alla sospensione dell’incredulità. Se l’è meritata. A noi appare come un ragazzino pronto ogni volta a stupirsi e a stupire, a guardare al giorno che inizia come a una nuova occasione per sperimentare il mondo e la gente; un uomo che, come disse Orson Welles di Fellini, forse a Roma non ci è ancora arrivato, perché sente che, ancora oggi, il viaggio più bello sarà il prossimo.

Grande Pietrangeli, forse il più grande tennista italiano di sempre, sicuramente il più titolato.

A proposito Nicola, ci racconti di quella volta che…

 

Danilo Gori