Samuel Beckett, l’assurda condizione umana alla ribalta

Il genio di Samuel Beckett ha manifestato sul palcoscenico l’immobilità tragica dell’essere umano, divenendo colonna portante del “Teatro dell’assurdo”

Samuel Barclay Beckett ha portato alla ribalta l’assurdo.

Nato a Dublino il 13 aprile 1906, si distinse ben presto nell’universo culturale del secondo dopoguerra, sia come drammaturgo, sia come traduttore, scrittore e sceneggiatore.

Così, una volta terminati gli studi presso il Trinity College di Dublino, divenne lettore d’inglese alla Scuola normale superiore di Parigi.

A seguito dell’incontro con James Joyce, ritornò al Trinity college in qualità di lettore di francese.

Ma, come definire una così grande “assurdità” nata dal suo genio?

Ebbene, tutto ha inizio dalla condizione dell’uomo che, tra gli anni Quaranta e Sessanta del secolo scorso, si trova in una situazione di totale assurdità.

Infatti, il muto grido straziante lanciato durante il Secondo Conflitto Mondiale, si trasforma in un riso frivolo, figlio del benessere.

Così, l’uomo è alienato, in preda all’angoscia e alla solitudine. In questo modo, dunque, si perde ogni possibilità di comunicazione.

Quindi il linguaggio e la realtà quotidiana sono distorti, straziati e ricostruiti in un crescente nonsense.

E anche Beckett, per l’appunto, abbraccia tale stile, divenendone una colonna portante.

Pertanto, i personaggi e i mondi generati dalla sua penna, vivono in mondi dalla realtà capovolta. I loro discorsi altro non sono che accozzaglie di luoghi comuni, frasi fatte e motti clowneschi.

Certamente l’opera più famosa di Beckett è “Aspettando Godot”, del 1952. In essa si esaspera il concetto dell’attesa tout court.

I protagonisti, Vladimiro ed Estragone, sono due clochard e lo spettatore li osserva presso un desolato albero quasi senza foglie. I due attendono un certo Godot.

Sulla ribalta si avvicendano altri personaggi strampalati. Pozzo, e il servitore muto Lucky. E ancora un giovane che, alla fine del primo atto, annuncia che Godot sarebbe arrivato il giorno seguente.

L’attesa frustrata continua anche nel secondo atto. Vladimiro ed Estragone annunciano più volte, così come al termine della pièce, la volontà di andarsene. Tuttavia, nulla accade.

Così i due rimangono immobili, sempre nel medesimo luogo.

Pertanto, Beckett, tramite l’opera, mostra la mancanza di evoluzione e di mobilità dell’uomo contemporaneo. Il linguaggio non è più, quindi, depositario della realizzazione della volontà e svanisce il legame tra la parola e l’azione.

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Quindi, l’essere umano vive in una dimensione priva di senso, scandita dal muto scorrere del tempo.

Tale modalità di rappresentazione viene definitivamente battezzata come “Teatro dell’assurdo” dal critico Martin Esslin, in un saggio del 1961, intitolato “The Theatre of the Absurd”.

Inoltre, Beckett è sì consacrato dalla pièce, ma la sua carriera è costellata di opere di varia natura.

Malone muore”, “L’innominabile”, “Testi per nulla”, e altri capolavori realizzati negli anni Cinquanta danno lustro al suo genio.

Così, grazie al proprio talento, il drammaturgo irlandese fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1969.

Ebbene, nella produzione beckettiana si osserva una totale paralisi spirituale, in cui ogni itinerario psicologico e ogni desiderio è frustrato da una tragica consapevolezza.

E tale dimensione si evince anche dalla lapide in granito in cui giace Beckett stesso, scomparso il 22 dicembre 1989, estremamente grigia, muta.

L’immobilità dilaga e l’angoscia divora, inesorabile, ogni barlume di speranza.

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Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.