Black Thursday 1929
Black Thursday 1929
Il crollo della borsa di Wall Street
L’economia, così come la politica, sanno talvolta essere intangibili. Così estremamente legati a quella sfera astrale che, al di là di ogni logica più razionale, non smettono di lasciare una scia di perplessità nelle menti di chi soprattutto di economia e politica ne capisce ben poco.
Per la crisi, il debito pubblico e la disoccupazione? Stampate più moneta! E invece no, troppo facile. Ma immaginate dover affrontare una crisi di eco globale, una disoccupazione del 25% della forza lavoro ed essere la prima super potenza economica mondiale. Questo è esattamente ciò che accadde il 24 ottobre 1929, ma per fortuna c’era Roosevelt che di economia ne capiva più di noi.
L’America degli anni ’20
Pronta ad affacciarsi e a conquistare con eleganza il ruolo di nuova economia mondiale scalzando il primato a un’Europa in crisi e difficoltà, c’è la grande America degli anni ’20. Intervenuta a fianco della Triplice Intesa negli ultimi anni della Grande Guerra, gli Stati Uniti d’America vantano una perdita minima di capitale umano ed economico grazie all’iniziale isolazionismo americano che consentì alla neo-super potenza di vincere e di segnare le sorti del conflitto, impiegando il minimo sforzo bellico. A un catastrofico scenario europeo si affiancava energica una nuova potenza che mise rapidamente fine a secoli di eurocentrismo e diede inizio a una nuova pagina di storia che si colorerà di un nuovo termine: “americanismo”. Come una brava madre l’America non si limitò a dirigere il nuovo ordine economico ma intervenne in un “patto sociale” con le ex potenze europee per osteggiare la ventata inflazionistica che colpì in particolar modo la Germania. Spogliata, per mano della “pace punitiva” del suo bacino industriale nella Ruhr, la società tedesca venne ristabilizzata (parzialmente) grazie a due piani di investimenti, il piano Dawes e il successivo piano Young creando una conseguente dipendenza dell’economia europea da quella statunitense.
Sviluppo economico e produzione in serie
Fra guerra e dopoguerra negli Stati uniti si attivò un circolo virtuoso tra produzione e consumo: la produzione in serie di beni di consumo teneva bassi i prezzi di queste merci mentre gli alti livelli di occupazione e i salari relativamente alti ne consentivano l’acquisto anche alle classi lavoratrici. Il risultato della nuova organizzazione del lavoro e la produzione in serie di oggetti standardizzati fu la condizione che permise un nuovo tipo di consumo di massa parallelo all’affermazione di un nuovo ceto medio e una nuova cultura definita appunto “società di massa“. L’America capitalistica aprì la strada a un individualismo acquisitivo volto ad ancorare l’identità a status symbol facilmente acquistabili, su un mercato caratterizzato dalla frammentazione del ciclo produttivo e dalla parcellizzazione del lavoro.
Protagonista di questi anni fu senza dubbio Henry Ford che già nel 1913 ebbe la lungimirante intuizione di un sistema produttivo basato sulla catena di montaggio e il successo della sua Ford modello T fu tale che il leader comunista italiana Antonio Gramsci definì l’intero sistema “Fordismo”.
Il crollo della borsa di Wall Street
I processi di concentrazione economica e finanziaria erano negli Stati Uniti degli anni ’20 più intensi che mai. Accanto ai trust e ai cartelli comparvero le holding che concentrarono nelle proprie mani i pacchetti azionari delle maggiori imprese, accentuando l’intreccio fra banca e industria. Gli investitori acquistavano azioni con l’obbiettivo di rivenderle a breve scadenza nella certezza di lucrare facili guadagni e nella fiducia che i prezzi continuassero sempre a salire. Ma nel 1929, per la prima volta dopo molti anni, l’indice della produzione industriale statunitense calò: le economie europee erano orma in ripresa e gli sbocchi di mercato a disposizione delle merci americane cominciavano a ridursi. Così il mercato borsistico crebbe più della produzione e del consumo gonfiando una “bolla speculativa” e il valore dei titoli perse ogni rapporto con i valori dell’economia reale. Il 24 ottobre 1929 quella bolla speculativa scoppiò e l’indice della borsa di New York crollò segnando un ribasso pari al 50% del valore dei più significativi titoli azionari.
Cinque giorni dopo crolla anche la borsa valori dello Stock Exchange, sede del mercato finanziario più importante degli Stati Uniti. Il 29 ottobre 1929 verrà ricordato nella storia come “Black Thursday”, il primo giorno della più grave crisi economica mondiale della storia, la Grande Depressione.
La Grande Depressione
Una volta iniziata, la discesa dei titoli proseguì a precipizio: un’enorme quantità di azioni fu svenduta dai possessori nella speranza di limitare le perdite. I risparmiatori ritirarono i loro depositi; gli istituti di credito fallirono e la chiusura di migliaia di piccole banche fu rovinosa in un paese dove l’indebitamento privato era la pratica più diffusa. La Grande Depressione, dal 1929 al 1933, smentì le previsioni ottimistiche alimentate dalla precedente fase di prosperità, estendendosi a gran parte del mondo. La Germania fu il paese in cui la crisi provocò gli effetti più disastrosi ma ne risentirono anche l’Argentina, il Brasile e, seppur con meno impatto, anche Francia e Gran Bretagna.
La crisi del ’29 è tra le cause del secondo conflitto mondiale?
La fisionomia della società capitalistica uscì profondamente mutata dalla svolta del 1929-32. Tra i più importanti progetti di riforma economica il New Deal del neopresidente democratico Franklin Delano Roosevelt fu certamente rivoluzionario. Per la prima volta negli Stati Uniti lo stato si trasformò in imprenditore assumendo i compiti di regolazione dell’economia e di intervento a sostegno delle fasce più deboli della popolazione. Il New Deal ridimensionò il potere delle grandi corporations e costruì un modello di welfare state sintetizzando le linee fondamentali della politica economica, più tardi nota come “keynensismo”, fondata su un intervento statale a sostegno della domanda interna. Tuttavia, la riforma capitalistica riuscì solo in parte a risolvere gli squilibri economici e sociali della crisi. Solo la congiuntura bellica avrebbe infatti permesso di rilanciare la produzione e di riassorbire la disoccupazione superando la fase recessiva apertasi nel 1929. Ma sul piano delle percezioni individuali la crisi si sommò alla guerra del 1914-18 nel generare una diffusa disaffezione per la democrazia e il sistema parlamentare. Dall’altra parte, fascismo e comunismo, sembravano promettere l’alba di un mondo nuovo, sacrificando la libertà e la sicurezza.
Per altri articoli simili clicca qui.
Giulia Villani
Giulia, classe ’99, laurea in Comunicazione e un sacco di idee per la testa. “Il mio problema è ciò che resta fuori, il non-scritto, il non-scrivibile. Non mi rimane altra via che quella di scrivere tutti i libri…”. Molto probabilmente non scriverò tanti libri quanti Calvino, ma ogni storia che merita di essere raccontata.
IoVoceNarrante? La mia penna.