Sanremo: le 5 canzoni vincitrici più brutte di sempre (fino ad ora…)

Vincenti, premiate e…dimenticabili Qual è la peggior canzone vincitrice di Sanremo? Scopriamolo.

Sanremo è alle porte. Forse per fortuna, forse purtroppo, forse ce ne importa il giusto, ma l’evento nazional popolare per eccellenza è ormai arrivato. E dobbiamo ammetterlo: mai come negli ultimi anni si è notato il tentativo della direzione artistica di svecchiare il dinosauro, con esiti di dubbia riuscita magari.

Da Francesco Gabbani (eletto a giovane tra i giovani tanto perché se hai meno di 40 anni sei automaticamente un ragazzino) a Mahmood, da Lo Stato Sociale alle edizioni degli ultimi due anni che, dopo anni di fuoriusciti dai talent, ci hanno regalato la classica edizione che rincorre la moda del momento, facendo sfoggio del meglio tra i gruppi ex indie italiani (perché sì amici, se la tua etichetta è la Warner sei indie quanto Giulia De Lellis è colta).

E quindi, dopo le lunghe introduzioni che non saranno mai lunghe come una puntata condotta da Amadeus, ecco le cinque canzoni vincitrici più brutte della storia, messe in ordine più o meno casuale.

5 – Il Volo, Grande Amore

Una canzone “vecchio stile”, dove per vecchio intendiamo di un paio di secoli fa. Per carità, il ritmo è anche orecchiabile, le voci dei tenori fanno sempre la loro figura, ma il testo è imbarazzante, la creatività non è pervenuta e… il video è quanto di più cringe possa esistere, tra riferimenti mal recitati a Ghost e una serie di espressioni facciali che… beh, giudicate voi.

4 – Peppino di Capri, Non lo faccio più

Siamo onesti, non è la più brutta, ma in ogni altra edizione avrebbe meritato un ventesimo posto. Perché ha vinto? Perché le altre erano peggio.

3 – Marco Carta, La forza mia

Direttamente dal successo di Amici, Marco Carta presenta a Sanremo una canzone orecchiabile, con quel sano ritmo a metà tra i primi 2000 e l’oratorio estivo. Nessun riferimento immotivato alla religione, un testo sciapo che sembra tratto dai “link” di Facebook (e non ci sentiamo di escludere che il testo sia stato partorito proprio tra un post e l’altro), una benedizione di Maria e si va a vincere Sanremo.

2 – Giò di Tonno e Lola Ponce, Colpo di fulmine

Sanremo 2008: l’edizione dimenticata (e dimenticabile). Non vi ricordate la canzone? Non riuscite nemmeno a farvi tornare in mente il ritornello? Non sapete se Giò di Tonno sia vero o solo un errore di battitura? Tranquilli, è normale. Nessuno ricorda Colpo di Fulmine, per cui ve la raccontiamo noi.


Era il 2008, non c’erano notti buie e tempestose, solo Pippo Baudo come direttore artistico, una lunga serie di partecipanti di dubbia bravura, i fuoriusciti dai talent sarebbero arrivati l’anno successivo e Colpo di fulmine arrivò a scontrarsi con mostri sacri della musica italiana: i Finley, Paolo Meneguzzi e altre canzoni di cui non ricordiamo (fortunatamente) l’esistenza. Che cosa ricordiamo invece di Sanremo 2008? Eppure mi hai cambiato la vita di Fabrizio Moro che – inspiegabilmente – non ha superato il terzo posto e il clamoroso flop dei dati auditel, con la kermesse sanremese surclassata anche dai Cesaroni e dalla storia d’amore tra Eva e Marco (vuoi leggere un giudizio particolarmente impopolare sul personaggio? Clicca qui).

Insomma. Un disastro. E ci dispiace per Giò di Tonno, perché lui negli anni ha dimostrato di valere il palco ed è un peccato che la sua edizione sarà per sempre associata a… a niente. Nessuno la ricorda in fondo.

1 – Povia, Vorrei avere il becco

La vittoria di Povia a Sanremo 2006 con Vorrei avere il becco è il più lampante caso di titolo assegnato ad honorem nel nostro Paese. Reduce dal successo de I bambini fanno “ooh”, che nel 2005 lo portò alla ribalta (la canzone doveva presentarsi all’edizione 2005 condotta da Bonolis, ma dato che non era inedita venne messa fuori dalla kermesse), Povia si è presentato a Sanremo 2006 con una canzone tendenzialmente paraculo piena di frasi e pensieri intrisi di quel “moralismo da applausi” degno di una prima serata su Rai Uno, in pratica la versione 2.0 di quella dell’anno prima, con l’esaltazione delle piccole cose ripetuta all’infinito: nel 2005 voleva essere un bambino, nel 2006 voleva essere un piccione.

Il testo era di una banalità da lacrime agli occhi, la melodia era la rivisitazione di quella dell’anno prima e i versi onomatopeici ci hanno torturato per mesi (comunque più sensati delle “critiche sociali” mosse da Povia negli anni). Insomma, quando rinfacciamo alle generazioni di oggi la pochezza della loro musica e gli ricordiamo quanto la “musica di una volta” sia meglio della loro ripensiamo a Vorrei avere il becco.
Ah, signora mia, una volta qua era tutto cantautorato di qualità…