La forza della squadra contro il “Covid-19”: la storia del Rolling Goat

Che cosa ne è stato del mondo della ristorazione in questo 2020? Com’è stato dover alzare e abbassare la serranda non sapendo mai che cosa sarebbe successo il giorno dopo? Lo abbiamo chiesto a Claudio, Emanuele e Richard, i proprietari del Rolling Goat di Cassano Magnago.

Sono passati oltre nove mesi da quando le serrande dei negozi si sono abbassate la prima volta a causa della pandemia. Nove mesi dal lockdown, dieci dal primo caso accertato di “Covid-19” in Italia. Eppure siamo ancora nella stessa difficile situazione di incertezza: guardiamo il domani e non sappiamo che cosa succederà, usciamo da un locale e non sappiamo se potremo tornarci prima del 2021.

Questo 2020 ha messo tutti in difficoltà e ha obbligato a rivedere delle scelte, a rimettere in discussione quelli che in inglese vengono definiti i Business Plan, a cercare il modo di reinventarsi, tirando, come si suol dire, a campare in attesa di tempi migliori. Per capire meglio com’è andato questo 2020 nel mondo della ristorazione abbiamo chiesto a Claudio CattaneoEmanuele Eriani e Richard Temporiti (rigorosamente in ordine alfabetico), i “ragazzi del Rolling Goat”, un pub, una birreria, un piccolo angolo di pace “liquida” a Cassano Magnago, in provincia di Varese. Li chiamiamo ragazzi perché sono giovani, non per sminuire quella che, a tutti gli effetti, è una delle realtà più interessanti (e lungimirante) nel mondo della ristorazione del varesotto.

Avevamo tanti sogni nel cassetto, tante idee, tanti progetti per questo 2020”, ci racconta Richard. “Avevamo appena rifatto la cucina, la cella, gli impianti e poi è arrivato il “Covid-19”. È stato uno schiaffo che ha colto tutti impreparati. Ci ha obbligato a rivedere tutto e ci ha costretti a reinventarci. In un paio di giorni quello che era il nostro lavoro non era più lo stesso”.

Reinventarsi, la parola chiave del 2020, soprattutto per realtà come la vostra. Come avete reagito?
Non è stato semplice, ci siamo trovati catapultati in un mondo sconosciuto per tutti da un giorno all’altro – ci spiega Emanuele –, tra norme che cambiavano quotidianamente e restrizioni sempre più accentuate. Sarebbe stato facile lasciarsi andare, cercare di vendere i nostri prodotti il più rapidamente possibile, magari con offerte quasi a prezzo di costo, pur di rientrare delle spese, ma noi non l’abbiamo fatto. Anche con le spalle al muro abbiamo deciso di non piangerci addosso. Ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di mantenere i nostri impegni, di continuare a proporre quello “stile Rolling Goat” basato sulla qualità del prodotto che in questi anni ci ha fatto togliere diverse soddisfazioni”.

Aperture ordinarie, aperture a pranzo, chiusure anticipate, un nuovo servizio d’asporto…
Non è stato semplice cambiare format, ma quello che è stato ancora più difficile è stato comunicare tutti questi cambiamenti ai clienti – racconta Claudio –, sapevamo letteralmente la sera prima quali sarebbero stati gli orari del giorno dopo. L’incertezza non ha aiutato, noi abbiamo cercato di essere il più chiari possibile. Abbiamo aperto a pranzo, lanciato il delivery…”.
“È inizialmente è andato bene – 
spiega Emanuele –, i clienti venivano in pausa pranzo, ci sostenevano, forse attratti da fascino della novità. Poi, come c’era da aspettarsi, il tutto è andato un po’ scemando”.
“Alla fine aprire a pranzo non è “nostro” – 
continua Richard – noi siamo un pub, una realtà serale dove venire a socializzare. Non abbiamo messo nemmeno la televisione, proprio per rispettare questo nostro concept. Ci siamo “riadattati”, abbiamo reinventato il possibile, ottimizzato il sito internet, creato un buon servizio d’asporto, ma non noi non siamo un ristorante. Possiamo dire di esserci reinventati, ma sempre seguendo la nostra linea…Non dobbiamo dimenticare chi siamo. Siamo un pub, tutto quello che viene in più, come l’e-commerce deve essere qualcosa in più, un’estensione, non il core business. Alla fine il punto è questo: fai ciò che sai fare meglio”.
“La parte più difficile – 
conclude Emanuele – è stata proprio quella comunicativa. Noi, anche in questo caso, abbiamo optato per la chiarezza: inizialmente a livello di orari, con tabelle chiare e aggiornate, e poi a livello di regole. Abbiamo sempre specificato a tutti i clienti che cosa si potesse fare e cosa no”.

Avete avuto un punto di vista (sfortunatamente) privilegiato su questa pandemia. Come avete visto le persone durante le due chiusure e cavallo tra di esse?
Durante il primo lockdown – sottolinea Claudio – le persone erano più spaventate nell’ordinare d’asporto. Temevano il contatto umano, ti accoglievano con guanti, mascherine, mantenendo ben oltre i due metri di distanza. Durante la zona rossa, invece, non era più così. Forse la stanchezza, forse la frustrazione, ma quella paura di marzo non c’era più…”.
“E non c’è stata nemmeno a cavallo dei due 
lockdown”, ci spiega Richard. “Basti pensare che abbiamo registrato, tra giugno e settembre un aumento del fatturato di oltre il venti per cento. Probabilmente le chiusure e le limitazioni hanno fatto venir ancora più voglia di bere, di divertirsi e di recuperare il tempo perduto. Non è stato semplice fare rispettare tutte le regole durante l’estate. Noi siamo stati il più possibile ligi al dovere, tra mascherine, posti distanziati e servizio rigorosamente al tavolo. Ci siamo anche ritrovati a chiudere prima del previsto di nostra iniziativa quando vedevamo che la serata iniziava a salire di giri e far rispettare le regole diventava complicato. A livello economico non era vantaggioso, ma era giusto.
Quando ci siamo dovuti fermare ancora a settembre provavamo astio, soprattutto nei confronti di altre realtà che hanno scelto di non rispettare i regolamenti, come abbiamo visto non solo a livello locale chiaramente. Magari se si fosse fatta più attenzione…”.

Capitolo economico: i ristori promessi sono arrivati?
“Dobbiamo essere molto onesti a riguardo: tutto quello che ci è stato promesso è arrivato”, dice Richard. “Dal bonus per le partite Iva, il rimborso dell’affitto come anticipo delle tasse, la cassa integrazione, il nuovo bonus del secondo lockdown – che ci è arrivato senza nemmeno doverne fare richiesta –, insomma, è arrivato tutto. Non abbiamo mai fatto polemica: ci siamo trovati in una situazione nuova per tutti e lo Stato ha scelto la salute prima dell’economia, possiamo comprendere la decisione…”
“Si poteva fare meglio?”, 
aggiunge Claudio. “Forse. Ma le promesse fatteci sono state mantenute”.

Quanto avete perso in questo 2020?
Adesso siamo aperti tre sere a settimana per l’asporto e in tre sere non facciamo i numeri di un normale venerdì sera prima della pandemia…”, risponde Emanuele.

Alla riapertura di giugno vi siete presentati con una novità: il formato unico di birra.
Ci tengo a precisare che non è stato per la pandemia. Era un’idea che avevamo in cantiere già da tempo”, ci spiega Claudio. “Il dubbio che avevamo era quanto potesse attecchire un formato unico, la birra da 0,3 definita in gergo “pinta romana” in questa zona. Temevamo che la clientela non capisse, ma invece ha risposto con entusiasmo…”.
“E questa scelta ci ha permesso anche di tenere bassi i prezzi e portare più persone ad assaggiare i nostri prodotti, a sperimentare nuove birre mai provate e ci siamo potuti concedere anche qualche sfizio, magari qualche birrificio che per prezzi sembrava irraggiungibile all’inizio”, 
aggiunge Richard.

Quali sono stati i tipi di birra più vendute in questi anni?
Le luppolate”, hanno risposto in coro. (Per chi non fosse pratico di birra, oltre a invitarvi ad andarli a trovare, le luppolate sono le birre che in linguaggio meno tecnico sono le “amare”, le IPA, le APA, le English Pale Ale, insomma, quelle birre che, per quanto maltate, avranno sempre il luppolo e il suo amaro a farla da padrone).

Com’è nato il Rolling Goat?
Il Rolling –  ci racconta Claudio –  è nato nel novembre di 4 anni fa, quando tornando a casa in macchina con Simone, il mio ex socio, abbiamo deciso di aprire un bar. Poteva sembrare una delle tante chiacchiere che si fanno tanto per, ma non lo era. Abbiamo cercato una location con un buon potenziale. Eravamo quattro soci, dopo un annetto gli altri tre hanno optato per altre strade. Richard ed Emanuele hanno deciso di scommettere su questa realtà e…beh, il resto è storia.
All’inizio – prosegue – non sapevamo che cosa sarebbe successo, come sarebbe andata, ma avevamo un’idea chiara in testa: fornire prodotti di qualità. I modi, le possibili iniziative che ci balenavano in mente erano molte, e molto diverse. Non è semplice decidere di investire sulla birra artigianale in una realtà come Cassano Magnago, i rischi sono molti, ma se c’è una cosa di cui sono orgoglioso è che in questi anni non siamo mai scesi a compromessi, specialmente sulla qualità
Adesso siamo in sette. Noi tre soci e quattro collaboratori. Un’ottima base”.

Scenario ideale: dal primo gennaio non ci sono più limitazioni e le aperture tornano quelle di una volta. Quali sarebbero gli obiettivi per il 2021?
La prima cosa che mi verrebbe da dire – spiega Richard – è di tornare alla normalità. Ma tornare semplicemente ai livelli del 2019 non sarebbe una vittoria. La vera vittoria sarebbe riuscire a crescere, a recuperare tutto e a ripartire da dove avevamo interrotto a febbraio. Dalla nuova cucina, dalla nuova cella, dal nuovo staff…”.
“E inoltre – 
aggiunge Emanuele – abbiamo ancora un quarto compleanno da festeggiare…”.