Il minimo perfetto: intervista a Giovanni La Rosa

Il minimo perfetto: intervista a Giovanni La Rosa

Il minimo perfetto

Intervista a Giovanni La Rosa

A seguito della retrospettiva “Giovanni La Rosa – Grammatica del Segno” allestita a Villa Mirabello a Varese ho avuto il piacere di incontrare Giovanni La Rosa nel suo studio a Varese e di scambiare con lui qualche parola sul suo percorso artistico. Giovanni La Rosa è artista riservato, definito “allergico al mercato” da Irene Caravita nel catalogo recentemente realizzato per la mostra, che grazie al lavoro da insegnante ha potuto dedicarsi liberamente alla sua arte senza le pressioni del mercato.
Artista riservato dicevamo ma non inconsapevole di cosa stesse accadendo nel mondo dell’arte e della cultura, e rimanere concentrato sul proprio fare non è stata una scelta dettata dall’indifferenza ma un passo ponderato e consapevole.
Nel corso di questa intervista ho voluto approfondire proprio il rapporto tra La Rosa, il contesto e le altre discipline che lungo gli oltre 50 anni di carriera si è sviluppato e modificato.

Ritratto Foto Giorgio Lotti, 2023

Christian Vittorio M. Garavello: Grazie per avermi ricevuto nel suo splendido studio. Osservando le sue opere ci si accorge immediatamente di un grande rigore, ci spiega come lavora, partendo dal concepimento dell’opera fino alla sua conclusione.

1 Giovanni La Rosa Risonanza di forme, Tecnica mista. cm 80×80. 1978

Giovanni La Rosa: Tutto nasce da un’idea che man mano mi chiarisco disegnando, devo fare un disegno che sia senza pentimenti. Poi preparo la tela. Eseguo un disegno, a mano libera, in scala 1:1 per evitare cancellature, altrimenti la gomma rischierebbe di sporcare la tela. Dopodiché, rigorosamente a mano libera e con pennini e china, traccio le linee cercando di andare il più dritto possibile, ma un minimo di incertezza, di tremolio, c’è sempre.

CVMG: Il segno realizzato, rigorosamente a mano in maniera ripetitiva con i tremolii, le incertezze e la fatica che esso comporta, cos’è per lei?

GLR: Per me è stato importante, e soddisfacente, recuperare una manualità, una concentrazione, che in certe forme dell’arte moderna si è persa. Fare qualcosa a regola d’arte si dice. Questa dimensione della manualità, del lavoro paziente e meditato è qualcosa che sento molto mio, è parte della mia indole, non sono mai stato un impulsivo. Sui quadri torno anche dopo averli conclusi, dopo circa un mese li riguardo e molto spesso li ritocco, ad esempio, aggiungo una campitura, rafforzo un segno. Ed è anche per questo motivo, ammetto, che mi dispiace venderli.
Non ricordo di aver mai passato un giorno senza disegnare, anche in vacanza al mare, facevo cartoline, oppure lavoravo tranquillamente nel mio studio, ma non abbandonavo mai la pratica del disegno.

Giovanni La Rosa Sequenze AD 25, Tecnica mista, cm 61×61. 1989

CVMG: Nel corso della sua lunga carriera ha sentito il bisogno di ridurre sempre di più, di lavorare sul tema della serialità e dunque della variazione. Ci spiega per lei che valore hanno la serie e la variazione, anche minima di un elemento nella composizione?

GLR: Per tanti motivi, uno su tutti, mostrare le numerosissime possibilità che ci sono con delle minime variazioni. Per esempio, nei quadri con 6×6, 5×5 riquadri, sono solo una parte ma potevo fare molte di più, perché il segno cambia anche in relazione alle condizioni fisiche nelle quali l’autore si trova.
Queste variazioni infinite, ad esempio una composizione fatta con un certo pennino, su una tela con una certa trama, questo lavoro sul minimo è alla base di una infinità di variazioni che trovavo estremamente entusiasmante, perchè continuando a scoprire delle cose e mi chiarivo le idee.
Come uno scrittore o un critico che lavorando si chiarisce le idee.

CVGM: Che rapporto ha avuto con la sperimentazione di nuove tecniche, tecnologie e materiali? Mi spiego meglio. Lei per tutta la sua carriera è rimasto legato alla china e alla tela bianca, però ha anche sperimentato diverse altre tecniche e materiali, cosa c’era che non la convinceva nelle altre tecniche?

GLR: Ricordo che molti critici, appena visti i miei lavori mi suggerivano di provare con l’incisione. Ho provato con vari artigiani ma i risultati non sono mai stati soddisfacenti. Un giorno il giovane collaboratore di un artigiano mi diede il consiglio di provare con la lastra di rame invece che con lo zinco. A quel punto mi si aprì un mondo di possibilità. Tuttavia ero inesperto nella tecnica e per acquisirla adeguatamente mi sarei dovuto fermare diversi anni per sperimentare materiali e tecniche in una bottega. Ci sono artisti che ottengono grandi risultati anche con tecniche d’incisione semplicissime, è un metodo corretto per ottenere quello che vogliono loro, ma non era il mio caso. Io volevo un segno finissimo e netto, preciso, con un certo colore e spessore, e dunque avrei dovuto sperimentare molto. Dunque ho lasciato perdere e ho proseguito con pennino e china, la mia tecnica.

 

CVMG: Lungo l’arco della sua carriera si sono susseguiti tantissimi movimenti, ideologie, correnti, tecnologie. Dall’Arte Povera alla Transavanguardia alla Video Arte e molti altri tra artisti e correnti. Lei è rimasto concentrato sulle sue ricerche, ci può spiegare come e se questo contesto ha influito sul suo fare arte?

Giovanni La Rosa STR AP 39, Tecnica mista, cm 60×60. 2020

GLR: Penso che si viva il momento anche inconsciamente, si percepiscono alcune ricerche, movimenti, ma nel mio caso, le mie ricerche presuppongono un lavoro come detto molto lungo lungo e diventava difficile stare dietro a tutto. Mentre facevo un lavoro, pensavo già al successivo perchè trovavo ispirazioni nuove, per esempio c’è stato un periodo nel quale ero molto interessato alla sezione aurea di un quadrato. Tornando alla questione dell’ispirazione devo ammettere che non ci credo molto, in senso romantico, credo molto invece nel lavoro, nell’avere in mente cosa si vuole fare e sul lavorarci. Ho sempre pensato l’artista come un lavoratore, ad esempio Duchamp ha fatto diverse cose estremamente importanti e ha avuto il coraggio di fermarsi a differenza di altri che hanno fatto troppo.
Ora avrei bisogno di un’altra vita per approfondire molte cose e molti pensieri, tuttavia, sento la necessità di rifugiarmi nella sicurezza della geometria, nella sicurezza del lavoro, il minimo perfetto, assolutamente perfetto. Opere frutto di un lavoro di una riflessione su un’idea e questo si vede molto bene in quello che faccio, impropriamente alla ricerca di una verità anche piccola, che non è facile, “chi sono io?” “da dove vengo?” “cosa faccio?” “alfa e omega” tornando, in pratica, alle grandi questioni che sono semplicissime ma sconvolgenti e sono da sempre con noi.

CVMG: Che rapporto aveva con le altre discipline, per esempio architettura, fotografia, grafica, moda, scultura? Come dialogavano con il suo lavoro?

Giovanni La Rosa STR 3B, tecnica mista, cm 60×60, 2020

GLR: Quello dipende molto anche dalle contingenze, ricordo che da giovane studente d’arte lavoravo per l’ufficio pubblicitario di una grande ditta di abbigliamento, feci disegni per scenografie, illustrazioni per bambini, decorazioni murarie. Ricordo, ad esempio, che durante la fiera del Mediterraneo guadagnavo discrete somme perché collaboravo con alcune aziende per le grafiche degli stand.
Facendo un  confronto con l’oggi dico che un artista in questi ultimi decenni può morire di fame, nell’ottocento per esempio l’artista non moriva di fame. L’artista artigiano poteva decorare una chiesa, una residenza, aveva lavoro anche se non era un genio. Quindi anche senza essere un gigante come Tiepolo, un artista avrebbe comunque potuto lavorare, basti guardare le decorazioni anonime di alcune chiese, lasciano a bocca aperta e sono artisti minori o addirittura degli anonimi.
Un tempo gli artisti erano bravissimi tecnicamente, ricordo di aver avuto professori eccelsi dal punto di vista tecnico, ma poco aggiornati sulla scena artistica a loro contemporanea.

Giovanni La Rosa Sequenze A2, tecnica mista, cm 70×70, 1992.

CVMG: Lei, nel corso della sua carriera, ha fatto delle sculture e alcuni suoi disegni potrebbero ricordare delle architettura. Che rapporto ha con lo spazio e con l’architettura?

GLR: è una cosa che mi ha interessato molto, anche perchè ho studiato scultura, plastica. Quello che ho notato è che nelle città ci sono degli angoli tristi disadorni, bisognerebbe intervenire con qualcosa per riqualificare lo spazio. Credo che un’intervento artistico potrebbe dare qualità a certi contesti. Ecco ho realizzato alcuni bozzetti ma non ho approfondito il discorso.

CVMG: Grazie infinite per il suo tempo, è stato un piacere chiacchierare con lei.

GLR: Ma si figuri, è stato un piacere

 

A cura di Christian Vittorio M. Garavello

Halloween: la notte delle maschere e delle leggende oscure

Halloween: la notte delle maschere e delle leggende oscure

Halloween: la notte delle maschere e delle leggende oscure

Origini lontane, paure vicini. La notte di Halloween ha sempre affascinato grandi e piccini. Parliamone insieme…

Halloween, celebrato il 31 ottobre di ogni anno, è una festività che coinvolge costumi spaventosi, dolcetto o scherzetto e la creazione di atmosfere cupe e misteriose. Tuttavia, dietro il divertimento e l’entusiasmo di questa festa si nasconde una serie di leggende oscure e storie inquietanti, alcune delle quali riguardano decessi inaspettati durante l’innocente gioco del dolcetto o scherzetto.

Halloween ha radici antiche che risalgono a festività celtiche come Samhain, un momento in cui si credeva che il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliasse, consentendo ai fantasmi di vagare sulla Terra. Con il passare dei secoli, questa festa è stata assimilata dalla cultura americana e ha assunto le caratteristiche che conosciamo oggi.

Una delle tradizioni più amate di Halloween è il “dolcetto o scherzetto,” in cui i bambini si travestono da mostriciattoli e vanno di casa in casa chiedendo caramelle. In caso di rifiuto, talvolta fanno scherzi, spesso innocui come il lancio di uova o il “sapone sulle finestre”. Questa tradizione, sebbene divertente, può talvolta sfociare in situazioni pericolose o spiacevoli.

Ci sono alcune leggende e storie inquietanti che circolano riguardo a decessi avvenuti durante il gioco del dolcetto o scherzetto. Si tratta spesso di storie senza fondamento, alimentate dalla fantasia o dalla paura collettiva, ma hanno contribuito a creare un’aura di mistero intorno a Halloween. È importante sottolineare che la stragrande maggioranza delle attività legate al dolcetto o scherzetto sono innocue e divertenti.

Per garantire che Halloween rimanga una festa sicura e divertente, è essenziale prendere alcune precauzioni:

  1. Accompagnamento: I bambini dovrebbero essere sempre accompagnati da un adulto durante il dolcetto o scherzetto.
  2. Visibilità: Assicurarsi che i costumi siano visibili in modo che gli automobilisti possano vedere i bambini di notte.
  3. Esame dei Dolcetti: Prima di mangiare qualsiasi caramella, i genitori dovrebbero esaminare i dolcetti per garantire che siano sigillati e sicuri.
  4. Rispetto delle Regole: Insegnare ai bambini a rispettare le proprietà private e ad astenersi da scherzi dannosi o pericolosi.

Halloween è una festa affascinante che celebra il mistero e l’immaginazione. Anche se alcune leggende oscure circolano riguardo a eventi inquietanti durante il dolcetto o scherzetto, è importante ricordare che la festa è principalmente un momento di divertimento e gioia per i bambini. Con la supervisione e l’attenzione adeguata alla sicurezza, Halloween può essere un’occasione per creare ricordi positivi e godersi il brivido della stagione autunnale senza rischi inutili.

I 5 horror più spaventosi “old style”

I 5 horror più spaventosi “old style”

I 5 horror più spaventosi “old style”

5 film, una sola certezza: urlare dalla paura. Vediamo insieme i cinque film horror più spaventosi realizzati prima del 2000…

Gli amanti dell’horror cercano costantemente quella sensazione di terrore che solo un buon film del genere può offrire. Negli anni, il cinema ha regalato al pubblico una vasta gamma di spaventosi capolavori, ma solo pochi sono riusciti a conquistare un posto permanente nell’olimpo dell’horror. In questo articolo, esploreremo i 5 film horror più spaventosi di sempre, che hanno lasciato un’impronta indelebile nel cuore degli spettatori.

“L’Esorcista” (1973)

Diretto da William Friedkin, “L’Esorcista” è universalmente riconosciuto come uno dei film horror più spaventosi di tutti i tempi. La storia segue il tentativo di esorcizzare un demone che ha posseduto una giovane ragazza. Le scene disturbanti, gli effetti speciali innovativi e le performance straordinarie rendono questo film un’esperienza angosciante.

“Shining” (1980)

Basato sul romanzo di Stephen King e diretto da Stanley Kubrick, “Shining” è un viaggio nell’oscurità della mente umana. Jack Nicholson offre una performance memorabile come il custode dell’Overlook Hotel, che lentamente scivola nella follia. L’isolamento, la paranoia e le forze soprannaturali convergono in un incubo cinematografico.

“Il Silenzio degli Innocenti” (1991)

Non tutti gli horror sono legati a creature sovrannaturali. “Il Silenzio degli Innocenti,” diretto da Jonathan Demme, è un thriller psicologico che segue l’agente dell’FBI Clarice Starling mentre cerca di catturare il serial killer Hannibal Lecter. L’interpretazione di Anthony Hopkins nel ruolo di Lecter è spaventosamente convincente, e il film offre una tensione implacabile.

“Alien” (1979)

Diretto da Ridley Scott, “Alien” è un esempio di horror spaziale che ha reso il pubblico riflettere sulla claustrofobia e sulla paura dell’ignoto. Il mostro alieno che si nasconde all’interno della nave spaziale Nostromo è una creatura terrificante, e il film è una lezione di suspense e tensione cinematografica.

“The Blair Witch project” (1999)

“The Blair Witch project,” diretto da Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, ha aperto la strada al genere dei “found footage” horror. Questo film segue un gruppo di giovani documentaristi mentre esplorano una foresta in cerca di prove sulla leggenda della strega di Blair. La mancanza di effetti speciali tradizionali e l’atmosfera claustrofobica hanno contribuito a creare un’esperienza autentica e inquietante.

La sindrome di Stoccolma: che cos’è?

La sindrome di Stoccolma: che cos’è?

Sindrome di Stoccolma: che cos’è e chi l’ha avuta

Da poco cinquantenne, vediamo insieme che cos’è la Sindrome di Stoccolma e qualche esempio “storico” di essa…

La sindrome di Stoccolma è un fenomeno psicologico complesso e affascinante che si verifica quando una persona presa in ostaggio sviluppa sentimenti positivi o addirittura simpatia verso il suo aguzzino. Questo stato di affiliazione con il carnefice può sembrare controintuitivo, ma è stato osservato in vari contesti nel corso della storia.

Il termine “sindrome di Stoccolma” fu coniato per la prima volta nel 1973 da criminologi svedesi durante una rapina in un banco a Stoccolma, in Svezia. Durante il tentativo di rapina, i sequestratori trattennero gli ostaggi per sei giorni. Sorprendentemente, alla fine del periodo di prigionia, alcuni ostaggi svilupparono un attaccamento emotivo ai loro sequestratori.
La sindrome di Stoccolma è stata definita come un insieme di reazioni psicologiche in cui una vittima sviluppa sentimenti di simpatia, empatia o addirittura affetto verso l’aggressore, nonostante l’abuso o la minaccia subiti.

SINDROME DI STOCCOLMA: CHI NE HA SOFFERTO

Patty Hearst: Nel 1974, la giovane erede dell’industria dei giornali americani Patty Hearst fu rapita da un gruppo radicale noto come l’Esercito di Liberazione Symbionese. Dopo essere stata tenuta in ostaggio per diversi mesi, Patty partecipò a rapine armate insieme ai suoi sequestratori. Il suo comportamento durante e dopo l’esperienza generò un intenso dibattito sulla sindrome di Stoccolma.

Elizabeth Smart: Elizabeth Smart fu rapita nel 2002 a 14 anni da Brian David Mitchell e Wanda Barzee. Durante la sua prigionia di nove mesi, Elizabeth fu costretta a vivere una vita di abusi e privazioni. Sorprendentemente, quando fu ritrovata, sembrava avere una connessione emotiva con i suoi rapitori, un comportamento spiegato in parte dalla sindrome di Stoccolma.

Mary McElroy: Nel 1933, Mary McElroy, figlia del sindaco di Kansas City, fu rapita da un noto criminale di nome Vern Miller. Durante la sua prigionia, sviluppò un legame con Miller, tanto che in seguito testimoniò in suo favore durante il processo.

Colleen Stan: Nel 1977, Colleen Stan fu rapita e tenuta in ostaggio da Cameron e Janice Hooker per sette anni. Nonostante gli abusi subiti, Colleen sviluppò una connessione con i suoi aguzzini e spesso veniva autorizzata a lasciare la cella.

La sindrome di Stoccolma è un fenomeno complesso, ma alcuni fattori psicologici possono spiegarla. Tra questi ci sono il trauma, la percezione di una minaccia costante, la limitazione delle interazioni sociali e la dipendenza dai sequestratori per la sopravvivenza. Questi elementi possono portare la vittima a sviluppare una sorta di affetto o connessione con l’aggressore come meccanismo di sopravvivenza.

In conclusione, la sindrome di Stoccolma è un affascinante e complesso fenomeno psicologico che può verificarsi in situazioni estreme. Gli esempi storici e i personaggi che l’hanno sperimentata ci fanno riflettere sulla profondità delle risposte umane al trauma e sulla complessità della mente umana.

Passione italiana: quando l’espresso diventa arte

Passione italiana: quando l’espresso diventa arte

Passione italiana: quando l’espresso diventa arte

La mostra a Copenaghen che celebra il caffè, per raccontare l’evoluzione del design intorno a uno dei simboli dell’Italia più amati nel mondo. Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen, dal 7 marzo al 31 marzo 2023

Per la prima volta la passione tutta italiana dell’espresso è al centro di un’esposizione che spiega come si sono evoluti nel tempo il design e la tecnologia degli oggetti per il caffè. 

45 fra macchine per uso domestico e da bar, set e tazzine da caffè sono in mostra a Passione italiana: l’arte dell’espresso all’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen dal 7 al 31 marzo in occasione dell’Italian Design Day, indetto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Si tratta di pezzi storici, alcuni introvabili ed esemplari unici, selezionati dalla curatrice Elisabetta Pisu perché rappresentano i cambiamenti nel tempo della produzione e del consumo, e permettono di comprendere quanto sia accresciuta nell’immaginario collettivo la rilevanza sociale di un gesto che oggi il mondo lega inscindibilmente al lifestyle e ai riti del nostro quotidiano. 

Gli oggetti esposti permettono di tracciare un percorso storico nell’arco degli ultimi due secoli fra caffettiere nate dalla matita di grandi designer e che sono diventate vere icone di un’epoca e pezzi più recenti frutto di innovazioni tecnologiche che ne hanno radicalmente trasformato i processi produttivi e innalzato gli standard qualitativi. Un viaggio nel tempo, quello proposto a Copenaghen, che racconta di una ricerca incessante per migliorare la tecnologia, l’ergonomia degli oggetti e il consumo di una delle bevande più popolari e maggiormente consumate nel mondo.

«Innovazione, creatività  e design –spiega la curatrice Elisabetta Pisu–  hanno accompagnato l’evoluzione di macchine da bar, caffettiere e servizi da tavola nel corso di questi due secoli, identificando il caffè espresso come rito sociale e culturale, simbolo di italianità e del made in Italy. Attraverso questi oggetti compiamo un viaggio nel tempo che ci consente di capire come sono cambiati le abitudini, i gesti e, insieme a questi, la rilevanza, il portato emotivo legati al caffè.» 

L’esposizione, due secoli di design e innovazione

I 45 oggetti in mostra portano le firme di alcuni fra i maggiori artisti e maestri del design nostrano e internazionale e fra i più rilevanti brand del made in Italy, capolavori dell’iconografia progettuale che hanno segnato un’epoca, esito di una rilettura approfondita di forme e funzioni.

Si va così da Oggetto Banale: Caffettiera di Alessandro Mendini per la Biennale di Venezia del 1980 all’interpretazione creativa e fuori dai canoni di una moka da parte di Gaetano Pesce con la Vesuvio.

Fino ad arrivare alle realizzazioni che segnano l’incontro fra architettura e design con Aldo Rossi, che trasformava il set per il caffè in una piazza e con La Conica e La Cupola faceva della moka domestica una cattedrale, oppure le Torri del servizio disegnato da Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli. E ancora: le caffettiere domestiche disegnate da Richard Sapper, la Pulcina di Michele De Lucchi per Alessi, la Caffettiera Napoletana 90018 e il Prototipo di latta di Riccardo Dalisi e la serie di tazzine illy Art Collection, decorate da artisti contemporanei del calibro di Michelangelo Pistoletto.

Numerosi i pezzi introvabili in esposizione, come la prima moka, prodotta da Bialetti, brevettata nel 1933 a Omegna da Alfonso Bialetti, che oggi rappresenta il simbolo del caffè italiano nel mondo.

Un’evoluzione che va di pari passo con una ricerca tecnologica approfondita, soprattutto quando si arriva alle macchine professionali, con la presenza di modelli di marchi storici della produzione da bar come GaggiaFaemaLa Cimbali e macchine da caffè espresso domestiche dotate di sistemi innovativi, come A modo mio, prodotta da Lavazza, che si collega con Alexa.

 

Short bio Elisabetta Pisu, curatrice

Elisabetta Pisu è una curatrice di design con una formazione in sociologia e in management culturale. Il suo ambito di ricerca è il design contemporaneo in relazione ai processi produttivi, alle valenze sociali e all’evoluzione dei nuovi linguaggi espressivi. Oggetti, ambienti e architetture sono al centro dei suoi interessi di studio, protesi a indagare il ruolo mutevole del design nella società contemporanea. Nel 2016 fonda EP studio che si occupa di ideazione, organizzazione e curatela di mostre internazionali di design con particolare attenzione alla diffusione e promozione del made in Italy. Ha collaborato con importanti istituzioni culturali e curato mostre in prestigiosi musei, tra i quali: Craft + Design Centre a Canberra (Australia), Design Museum Gent (Belgio), Cube Design Museum (Olanda), Design Museum Holon (Israele), Museum of Craft and Design (San Francisco, USA), MODA – Museum of Design Atlanta (Atlanta, USA), L. A. Mayer Museum for Islamic Art (Israele), COD – Center for Openness and Dialogue (Albania). 

OGGETTI IN ESPOSIZIONE

 

Caffettiere, macchine per caffè espresso e servizi da caffè

    • Caffettiera espresso Moka, Alfonso Bialetti, 1933-1955 – Collezione Enrico Maltoni 
    • Caffettiera espresso 9090, Richard Sapper, 1979, Alessi 
    • Caffettiera espresso Accademia, Ettore Sottsass, 1980, Lagostina – Collezione Enrico Maltoni 
    • Tea & Coffee Piazza Servizio da tè e caffè, Aldo Rossi, 1983; (Progetto: 1979; Prototipi: 1980-1983), Alessi 
    • Oggetto Banale: Caffettiera, Alessandro Mendini. Progetto con Paola Navone, Daniela Puppa, Franco Raggi, 1980-1994 – Archivio Alessandro Mendini 
    • Caffettiera espresso La conica, Aldo Rossi, 1984, Alessi 
    • Caffettiera espresso Carmencita Serie Oro, Marco Zanuso, 1985-86, Lavazza
    • Caffettiera espresso La cupola, Aldo Rossi, 1988, Alessi  
    • Caffettiera Napoletana 90018 e Prototipo di latta, Riccardo Dalisi, 1987 – 2018, Alessi 
    • Zuccheriera 90024, Aldo Rossi, 1989 – 2022, Alessi 
    • Caffettiera espresso Opera, Cini Boeri, 1989, La Pavoni – Collezione Enrico Maltoni 
    • Caffettiera espresso Ergonomica, Angelo Mangiarotti, 1990, Mepra – Collezione Enrico Maltoni 
    • Tazza da caffè ARDT, Aldo Rossi, 1991-2022, Alessi 
    • Caffettiera espresso Vesuvio, Gaetano Pesce, 1992, Zani & Zani – Collezione Enrico Maltoni 
    • Caffettiera espresso L’Ottagonale e Modellino del Teatro del Mondo, Aldo Rossi, 1993 -1994, Alessi 
    • Caffettiera espresso Mach, Isao Hosoe, 1993, Serafino Zani
    • Macchina per caffè espresso Cobán, Richard Sapper, 1997-2003, Alessi  
  • Tazzine da caffè illy Art Collection, 2002-2022, illycaffè
  • Tazzine da caffè Mediterraneo, Marta Laudani e Marco Romanelli, 2002, Driade
  • Tea & Coffee Towers Servizio da tè e caffè, Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli, 2003, Alessi
  • Caffettiera espresso Pina, Piero Lissoni, 2006-2016, Alessi  
  • Caffettiera espresso Ossidiana, Mario Trimarchi, 2014, Alessi 
  • Caffettiera espresso Pulcina, Michele De Lucchi, 2015, Alessi
  • Caffettiera espresso Lunika 360, Francesco Fusillo, 2015, Fi.MA
  • Collar Coffee set, Daniel Debiasi & Federico Sandri, 2016, Stelton
  • Caffettiera espresso Lady Anne, Laura Caffi, 2017, KnIndustrie 
  • Macchina per caffè espresso X1 Anniversary, Luca Trazzi, 2016, illycaffè
  • Tazzine da caffè Lume, Federica Biasi, 2020, Nespresso
  • Macchina per caffè espresso A Modo Mio Voicy, 2022, Lavazza 

 

Macchine da bar

  • Modello Mignonette, Eterna, Pavia, 1925. Modello restaurato – Collezione MUMAC 
  • Serie Brillante, La Cimbali, Milano, 1952. Modello restaurato – Collezione MUMAC
  • Modello America, Gaggia, Milano, 1958. Modello restaurato – Collezione MUMAC
  • Modello E-61, Faema, Milano, 1961. Modello restaurato – Collezione MUMAC