Sostenibilità: i danni della consegna a domicilio sull’ambiente

Sostenibilità: i danni della consegna a domicilio sull’ambiente

Sostenibilità: i danni della consegna a domicilio sull’ambiente

Sostenibilità, è allarme globale per il boom di emissioni causate dall’home delivery (+567% entro il 2050): per gli esperti la soluzione è l’elettrico che le riduce del 37%

L’ascesa dell’home delivery, sulla spinta anche delle prossime festività natalizie con la corsa ai regali, mette a rischio la salute del Pianeta. I veicoli che si occupano delle consegne dei pacchi a domicilio sono responsabili, oggi, del 3% delle emissioni globali di gas serra, ma, entro il 2050, secondo quanto svelato in un articolo del The Washington Post, l’impatto salirà al 17% (+567%) e, come spiegato dai dati della IEA International Energy Agency, il settore del trasporto merci è responsabile di un quinto delle emissioni globali di CO2, dietro solo al settore energetico. L’elettrico è la chiave per ridurre le emissioni di CO2 e ripulire l’aria delle aree urbane delle grandi metropoli, sempre più invase dalle consegne dei pacchi spediti dalle piattaforme di e-commerce e home delivery. Ed ecco che la soluzione migliore per rendere gli spostamenti dei corrieri più veloci, efficienti e sostenibili nei centri cittadini arriva dal processo di elettrificazione delle flotte per il trasporto delle merci. L’impiego di veicoli elettrici, come svelato dal report “Decarbonizzare i trasporti. Evidenze scientifiche e proposte di policy” del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, consente di ridurre del 37% le emissioni di CO2 rispetto ad un veicolo a combustione, anche quando si tenga conto delle maggiori emissioni che derivano dalla loro produzione. Già con l’attuale mix energetico, spiega un rapporto stilato da STEMI, struttura di esperti indipendenti istituita dall’ex ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile Enrico Giovannini pubblicato su Nature, la sostituzione dei veicoli a combustione interna, che oggi rappresentano oltre il 99% del trasporto stradale italiano, con veicoli elettrici porterebbe a una riduzione del 50% delle emissioni del trasporto stradale leggero. Addirittura, nel settore del trasporto pesante, i risparmi di CO2 e l’efficienza energetica del passaggio all’elettrico sono ancora più consistenti considerata la maggiore rilevanza della fase di utilizzo rispetto a produzione e fine vita: in questo caso le stime prevedono che, già oggi, un camion elettrico possa risparmiare fino al 70% delle emissioni sul ciclo di vita.

L’ultimo miglio rappresenta dunque un aspetto decisivo non solo per la catena di distribuzione, ma anche per il futuro della mobilità sostenibile: è necessario trovare un rimedio al traffico eccessivo e ridurre l’inquinamento, entrambi dovuti sempre più anche ai veicoli commerciali. LifeGate, grazie al supporto di Ford, ha deciso di approfondire le tematiche legate alla mobilità sostenibile in un educational digital talk nel quale un panel di esperti, composto da rappresentanti delle aziende e giornalisti, si è confrontato sulle soluzioni e sulle strategie migliori da proporre per un futuro dell’ultimo miglio sempre più green. “La sfida dell’ultimo miglio è tanto semplice quanto complicata e le aziende sono chiamate ad affrontare sfide di mobilità importanti – spiega Roberto Sposini, chief mobility editor di LifeGate – La crescita delle consegne legate alle transazioni online, la capillarità dei servizi estesi sull’intero territorio, senza compromessi di qualità e tempistiche, si combinano oggi con numerosi fattori di contesto che complicano la capacità di realizzare una performance di valore per tutti. Occorre dunque mettere in pratica azioni fondamentali per ridurre la congestione e l’inquinamento dei centri urbani, così da migliorare l’efficienza per le imprese e la qualità generale della vita di residenti e non. Questi sforzi hanno l’obiettivo di promuovere un modello di mobilità urbana che sia più sostenibile, green e sicuro, implementando nuove soluzioni di mobilità in grado di risolvere le criticità legate alla percorrenza dell’ultimo miglio”.

“Già oggi la quasi totalità delle aziende potrebbe essere pronta al passaggio all’elettrico, poiché l’autonomia di un veicolo come Ford E-Transit, o quella di E-Transit Custom che lanceremo il prossimo anno, copre, con largo margine, le necessità di trasporto di una giornata lavorativa tipo – dichiara Marco Buraglio, direttore veicoli commerciali Ford Italia. Le infrastrutture di ricarica pubblica, in questo scenario, diventano secondarie rispetto a quelle installate in rimessa o in deposito per la ricarica notturna. La questione è soprattutto culturale, ma la mentalità non è più un ostacolo quando l’imprenditore, con uno o più veicoli, comprende che l’elettrificazione e la connettività producono effetti particolarmente positivi sull’operatività e sulla produttività. L’elettrico sostituirà l’endotermico in un percorso graduale, che passa anche attraverso l’adozione dell’ibrido Plug-In come tecnologia-ponte. Ford ha già un orizzonte temporale: entro il 2030, due terzi dei veicoli commerciali Ford venduti in Europa saranno elettrici o ibridi plug-in, mentre nel 2035 ogni veicolo commerciale Ford venduto in Europa sarà elettrico”.

Ma i grandi centri urbani sono pronti a questa rivoluzione dei trasporti commerciali, guidata dalle flotte elettriche? In Europa, tra il 2019 e il 2022, il numero totale di LEZ (Low-Emission Zone) o aree a traffico limitato attive è aumentato del 40% e, secondo uno studio della coalizione europea CleanCitiesCampaign, entro il 2025 saranno oltre 500 le città europee ad avere attiva una zona a basse emissioni (+58% rispetto a giugno 2022). Molti centri urbani puntano, quindi, ad elettrificare la consegna delle merci migliorando così la qualità dell’aria, sempre più inquinata dai veicoli che attraversano i quartieri, diffondendo sostanze inquinanti e particolato e inoltre, facendo vedere ai cittadini il processo di elettrificazione dei trasporti, puntano a convincerli a prendere in considerazione, loro stessi, l’acquisto di un veicolo elettrico privato. Inoltre, in prospettiva, le aree a traffico limitato sono destinate a trasformarsi in ZEZ, all’interno delle quali non sarà più consentito l’uso di veicoli a combustione interna: tra il 2030 e il 2035 questa rivoluzione sarà realtà in quasi trenta città europee tra Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Scandinavia. E in Italia? Entro il 2030 è prevista la creazione di 35 zone a emissioni zero, off-limit per i veicoli a combustione, ma finora nessuna città italiana ha avviato gli interventi previsti.

Chi invece, in Europa, sta già facendo ingenti investimenti per elettrificare la propria flotta di veicoli per la consegna delle merci sono le grandi aziende della distribuzione, così come diversi costruttori del settore automotive hanno iniziato a proporre delle versioni elettriche per questo tipo di veicoli. All’estero, invece, sono i giganti della logistica ad aver investito per produrre veicoli commerciali leggeri e a basse emissioni.  Secondo un’analisi pubblicata dal Rocky Mountain Institute, organizzazione di ricerca sulla sostenibilità, entro il 2030 il 60% delle vendite di nuovi camion potrebbe essere elettrico portando così, entro il 2035, a un dimezzamento delle emissioni causate dall’industria degli autotrasporti.

I confronti sulle tematiche legate alla mobilità sostenibile (transizione energetica, cambiamenti climatici, qualità dell’aria, ultimo miglio e transizione elettrica) nel tentativo di provare a proporre delle soluzioni alle principali criticità sono stati i protagonisti di LifeGate talk, il format di educational digital talks promosso da LifeGate, con il supporto di Ford. Quattro appuntamenti, organizzati e promossi attraverso dei dibattiti in studio, alla presenza di un panel di prestigiosi ospiti, esperti di mobilità sostenibile, tra i quali figurano: Marco Alù Saffi, Head of Communication & Public Affairs for Italy, Greece e Edm markets Ford; Luca Zucconi, giornalista di Fleet magazine; Roberta Marsi, Sustainability manager Dhl Italia; Riccardo Miuccio, Lcv manager di Arval; Federico Vignolo, responsabile fleet management dell’azienda di servizi per le telecomunicazioni Sirti; Alessandro De Guglielmo, Adg mobility consulting; Mauro Guerrini, marketing e communication manager Bosch; Simone Molteni, direttore scientifico LifeGate & ad; Paolo Corazzon, meteorologo e divulgatore scientifico di 3BMeteo; Silvia Brini, area monitoraggio qualità dell’aria e climatologia operativa dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra); Silvia Bollani, coordinatrice test comparativi e inchieste di Altroconsumo; Marco Buraglio, direttore veicoli commerciali Ford Italia; Tommaso Perrone, giornalista e direttore responsabile delle testate giornalistiche di LifeGate; Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio di modellistica climatica e impatti dell’Enea; Lisa Casali, manager di Pool ambiente, pool per l’assicurazione e la riassicurazione della responsabilità per danni all’ambiente e Gerard Albertengo, ceo & founder Jojob, app di carpooling aziendale.      

L’architettura tra Europan 16 e il futuro: l’intervista agli architetti di LuMaa Lab

L’architettura tra Europan 16 e il futuro: l’intervista agli architetti di LuMaa Lab

L’architettura tra Europan 16 e il futuro: l’intervista agli architetti di LuMaa Lab

Un progetto vincente a Europan 16 e un futuro roseo (sempre tendente al green). In occasione della mostra ancora “on stage” all’ordine degli architetti di Como abbiamo intervistato Luca Luini e Riccardo Masiero di LuMaa Lab e Christian Vittorio Garavello, curatore della mostra. Tra presente, passato e futuro…

Tre ambiti (urbano, agricolo e naturalistico), sei interazioni diverse, un progetto che unisce un territorio complesso, come quello di Bitonto. Questo, detto con parole troppo povere che arricchiremo in queste righe, è il progetto vincitore di Europan 16, realizzato da Luca Luini e Riccardo Masiero dello studio LuMaa Lab e che in questo momento è esposto all’ordine degli architetti di Como in una mostra curata da Christian Vittorio Garavello.

Da sinistra a destra: Riccardo Masiero e Luca Luini, i fondatori di Lumaa Lab.

Un progetto che ridisegna come centro culturale quelli che nel tempo erano diventati luoghi emarginati, mantenendo al centro un concetto chiaro e diventato sempre più trait d’union del pensiero globale: la sostenibilità. Un must, ma anche una necessità.
Europan è un programma europeo di concorsi di Architettura, tra i più importanti a livello internazionale, per giovani architetti di tutto il mondo che si articola coinvolgendo più siti in svariati paesi dell’Unione Europea”, ci ha spiegato Garavello. “Inoltre è una grande possibilità di riflessione, dibattito e trasformazione che investe varie scale e vari attori del territorio”.

EUROPAN
Quanto e perché è importante un’iniziativa come Europan?
Europan – ci spiegano gli architetti di LuMaa Lab – da la possibilità a giovani professionisti di confrontarsi con un’organizzazione che da un lato agisce fortemente per l’implementazione dei progetti vincitori da una fase concorsuale a una realizzativa, dall’altro lato ponendo come centrale un accrescimento del dibattito teorico sui temi specifici di ogni edizioni che riguardano la città e il paesaggio europeo, nel caso della sedicesima edizione le “Living Cities”. Altro importante presupposto ha a che fare con la ricerca dello scambio e della proliferazione di idee tra progettisti, città , studiosi e cittadini di diverse nazioni europee, che hanno la possibilità di creare connessioni e riflessioni oltre i propri confini nazionali”.

Come ben messo in evidenza da LuMaa Lab – ha aggiunto Garavello – Europan rappresenta un’occasione molto importante di ricerca, sperimentazione e confronto per i giovani progettisti che decidono di impegnarsi in un concorso di questa portata. Inoltre penso sia una grande opportunità anche per le amministrazioni, che si trovano a lavorare e confrontarsi con progetti di qualità alta”.

IL TEMA
Il tema generale di Europan 16 intendeva confrontarsi e dare risposte ad alcune sfide tremendamente attuali, dalla crisi climatica e di risorse fino all’inasprimento e alla nascita di nuove disuguaglianze.
“Le risposte –
hanno scritto in modo molto chiaro nel foglio di sala della mostra – si cercano in nuovi modi di concepire lo spazio in termini di scambio, relazione, e flusso tra sistemi dinamici definibili con i termini di Vitalità Metaboliche e Vitalità Inclusive. Queste due modalità di concepimento dei rapporti spaziali tendono a istituire sinergie natura – cultura e a prendere in considerazione luoghi emarginati ridando loro vita”.

Com’è nato il progetto?
Il progetto nasce dall’analisi del territorio del barese e di Bitonto, nel quale abbiamo intravisto nella Lama Balice l’elemento che avesse in sé la maggiore potenzialità in termini rigenerativi e con le maggiori ricadute sui piani cittadini. Studiando i meccanismi di funzionamento di questo ecosistema in relazione agli altri due principali ambiti (quello urbano e quello rurale) abbiamo dedotto tutte le possibili azioni e meccanismi che abbiamo riproposto a livello di visione generale e che abbiamo poi condensato nel disegno dello spazio aperto”.

È un progetto molto complesso che affronta molte questioni, sintetizzerei e raggrupperei in due grandi aree che necessariamente lavorano assieme: il metodo di lavoro e le scelte di rappresentazione”, ci spiega Christian Garavello.

Christian Vittorio M. Garavello, curatore della mostra.

Per quanto concerne il metodo: penso sia un progetto che si è posto nella posizione di capire i contesti d’intervento prima di agire, senza l’arroganza di imporre un proprio gesto autoreferenziale. È un progetto che è riuscito a capire come far dialogare i diversi ambiti naturalistico, urbano e agricolo e la sua forza è stata proprio quella di aver trovato la giusta misura per proporre la propria soluzione”.

Per la rappresentazione – prosegue – invece il discorso è analogo: come rappresentare i contenuti è un aspetto fondamentale e molto delicato. Si rischia di ottenere un risultato negativo se le informazioni sono confuse, sovraccariche di dati e graficismi. All’opposto, la rappresentazione delle proprie riflessioni può apparire troppo arida. LuMaa Lab ha fatto un importante lavoro di ricerca su questo aspetto, producendo elaborati che mettono in evidenza in maniera efficace la complessità dell’analisi e delle proposte. Proprio su questo aspetto con Margherita Mojoli ed Andrea Gerosa (presidente e consigliere dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Como, ndr.) abbiamo ritenuto che mostrare le tavole fosse indispensabile per far comprendere questo secondo aspetto”.

Credo che il punto di forza del nostro progetto sia stato di aver messo in relazione il territorio e le sue potenzialità latenti rispetto a un disegno dello spazio urbano che necessitava di una rigenerazione in chiave sostenibile. Fornendo per Bitonto sia una chiave di lettura del sistema naturalistico di Lama Balice, sia una rilettura dello spazio urbano che è ripensato in funzione di una città più vivibile e pedonale”, ha commentato Luini.

Quanto è “futuribile” il vostro progetto?
Il progetto di Learning from the lama è futuribile in quanto è stato concepito come strumento e punto di partenza per i piani di rigenerazione della città di Bitonto” ha spiegato Luini. “Alla scala territoriale si evidenziano alcune strategie che l’intera vasta area municipale può adottare in chiave di ripensamento degli ecosistemi, alla scala urbana invece il progetto prova a dare una visione per le piazze di Bitonto e delle sue frazioni coerente con le esigenze della municipalità e con la possibilità di elaborarlo ad una fase successiva”.

Una delle parole chiave del prossimo futuro è – e non può non essere, in un accenno involontariamente parmenideo  – la sostenibilità. Non solo una parola, ma un modo di pensare, industriale e architettonico, che dovrà riuscire a fare un passo “oltre” la difficoltà dell’uomo nel guardare al futuro senza pensare troppo all’oggi.
Come in tutti i settori economici e della vita umana l’epoca che ci si pone davanti esige un ripensamento nei meccanismi in cui si progetta. L’architettura e l’urbanistica sono già oggi tra i settori maggiormente impattanti la realtà fisica e la vita dell’uomo in senso lato. Il green, o preferibilmente la sostenibilità di un progetto in senso lato, (che può anche esulare dalla componente prettamente naturale), deve diventare elemento strutturale nel progetto”.
C’è molto da riflettere sul come Architettura ed Urbanistica, in ogni loro fase, debbano rispondere alle domande che il futuro pone all’oggi”, ha concluso Garavello. “Quindi, la progettazione sostenibile deve necessariamente essere una delle pietre angolari della pratica progettuale fin dalle primissime fasi.
Ciò che va scongiurato è la superficialità nell’approccio alla progettazione sostenibile. Non penso sia più possibile rimandare questo tipo di riflessione”.

La vittoria a Europan 16 è un punto di partenza. E il futuro?
Il gruppo di lavoro ha come obiettivo quello di continuare la propria ricerca nel campo architettonico e dell’urban design nel solco dell’esperienza di Europan, dal quale ovviamente abbiamo tratto un profondo arricchimento tematico e di esperienza”, hanno concluso gli architetti di LuMaa Lab.

A noi non resta che ringraziare per il tempo dedicatoci e invitare i nostri lettori ad andare a visitare la mostra all’ordine degli architetti di Como.

 

A cura di Francesco Inverso

IL PROGETTO
Il progetto vincitore di Europan 16 – Learning from the LAMA – ha affrontato queste delicate questioni intervenendo nelle città di Bitonto, Palombaio e Mariotto e analizzando il rapporto tra la LAMA Balice, lo spazio urbano e il paesaggio naturale.
La Lama Balice è uno dei canyon (le LAME) con larghezze e profondità variabili che caratterizzano il paesaggio tra il parco dell’alta Murgia e la città di Bari e presenta una varietà di flora e fauna notevole. Il punto focale è come questo ecosistema possa rapportarsi positivamente innescando processi migliorativi per gli ambiti urbano ed agricolo.

Lo studio dei meccanismi naturali esistenti nel Lama genera modelli di scambio che, se implementati e replicati, contribuiscono a rafforzare la biodiversità con ricadute positive in termini di qualità ambientale, vivibilità urbana e processi economici”.
In questo senso vengono individuati tre ambiti che devono essere messi in relazione reciproca per poter far fronte alle sfide brevemente elencate in apertura di testo.

Tre ambiti, come abbiamo accennato. La città (ambito urbano), ovvero Bitonto e i relativi borghi di Mariotto e Palombaio; la campagna (ambito agricolo), ossia la piana olivetana e la Lama Balice (ambito naturalistico), lo spazio della biodiversità.
Tre ambiti che hanno generato sei interazioni diverse, tra Lama e la città che lavora sulla gestione delle acque e della presenza del verde in città; tra la città e la campagna che punta l’attenzione sul turismo agricolo e sul miglioramento della produzione agricola;
infine tra Lama e campagna, che interviene sui bordi della Lama e sul rapporto tra Lama e campagna letto dal punto di vista di una miglioria dei rapporti reciproci tra i due ecosistemi.

Kavinum, il vino della “generazione Netflix” raccontato da chi lo ha ideato

Kavinum, il vino della “generazione Netflix” raccontato da chi lo ha ideato

Kavinum, il vino della “generazione Netflix” raccontato da chi lo ha ideato

Kavinum è sostenibilità, rispetto del territorio e vini biologici per i giovani che amano stare insieme e vogliono imparare di più su questo mondo. L’intervista a chi ha reso possibile tutto questo.

Avevamo già parlato su questi schermi di Kavinum, l’e-commerce di vini sostenibili che con un quiz promette di scegliere il vino più adatto ai tuoi gusti al posto tuo. Sorpresi ed entusiasti di questa novità abbiamo deciso di intervistare Franck-Morel Beugré, la mente che si nasconde dietro Kavinum, per farci raccontare come nasce l’idea (e qualche segreto sul mondo del vino naturale, di cui purtroppo non sappiamo ancora abbastanza).  Fondatore e CEO di Kavinum, 29 anni e un percorso formativo che con il vino ha poco a che fare, ma che ha molto a che vedere con la passione e la curiosità: dopo un importante inizio nel mondo della moda, Franck si è dedicato al mondo dell’enologia per amore nei confronti della bevanda di Bacco. Dalla nostra intervista emerge perché noi siamo così contenti di questo suo “cambio di rotta”.

La scheda prodotto

Iniziamo con le presentazioni. Qual è il percorso che ti ha portato a fondare Kavinum?
“La mia formazione è molto lineare. Dopo il diploma professionale in ambito turistico ho iniziato a lavorare nel campo della moda con la celebre casa di moda statunitense Abercrombie&Fitch. Un ambiente giovanile, gioioso e molto accogliente che mi ha permesso di maturare esperienze nel marketing e customer service e nella gestione aziendale e di capire alcuni KPI (Key Performance Indicators, un insieme di misure quantificabili che un’azienda utilizza per valutare le sue prestazioni nel tempo, ndr.). L’avvento della pandemia ha scombussolato un po’ tutti e molti, come me, hanno deciso di cambiare vita. Avevo bisogno di nuovi stimoli e di nuove sfide: sono un ex giocatore di basket a livello agonistico, uno sportivo, e per me questi elementi sono vitali. Da quel momento ho iniziato a sviluppare l’idea Kavinum”.

Come nasce Kavinum?
“Kavinum si basa su una semplice idea: ‘Acquistare un ottimo vino che ami dovrebbe essere più facile, meglio se sostenibile’. Il prezzo rispetto al valore è sempre stato un problema chiave per l’acquisto di una bottiglia di vino. Kavinum parte quindi alla base dei problemi che potrebbero incontrare sia i neofiti che gli appassionati di vino: una bottiglia è buona perché è costosa? Come posso determinare il valore di una bottiglia? Una bella etichetta significa vino buono? Mi piacerà di più questa bottiglia solo perché è costosa? Il prezzo significa qualità? Mi stanno fregando?
Cercare di rispondere a queste domande è uno dei nostri obiettivi principali. Il cliente grazie al nostro servizio avrà più possibilità di provare vini che altrimenti non sarebbe stato in grado di scegliere da solo. Non solo, le opzioni di prezzo renderanno il suo viaggio nel vino personalizzato per adattarsi al suo budget mensile e soprattutto ai suoi gusti. Abbiamo semplificato le schede di degustazione che accompagnano ogni scatola di vino e reso le informazioni più intuitive per offrire un’esperienza di apprendimento gioiosa su un argomento spesso considerato proibitivamente intimidatorio.
Tornando alla domanda, Kavinum è un servizio online in grado di trasformare i gusti di ogni consumatore in bottiglie di vino consegnate direttamente a casa sua. Con il nostro team esperto, fatto di “persone reali”, e della nostra tecnologia di personalizzazione, offriamo un servizio digitale che aiuta l’utente a scoprire le migliori gemme da tutto il mondo (vino biologico o biodinamico, altrimenti prodotto e vinificato in modo sostenibile), spesso difficili da trovare, e riserva questi vini esclusivi ‘naturalmente’ prodotti in piccoli lotti. Kavinum è l’unico wine club che seleziona vini in base alle recensioni o preferenze di ogni membro. È il vino a modo tuo!”.

Il nome “Kavinum” invece da dove arriva?
“Volevo qualcosa che iniziasse con la lettera “K” come punto di partenza. Dietro questa “K” c’è tanto! Kavinum è la nostra filosofia che non si vuole fermare solo alla vendita di una semplice bottiglia di vino, ma vorrebbe essere una cultura. Il tema di Kavinum è amici, vino e bei momenti e per questo le prime due lettere “KA” rappresentano la casa, elemento ripreso anche nel logo: questo è composto da acini di uva su cui la stessa kappa è sistemata in modo da rappresentare un tetto. Gli acini che stanno sotto rappresentano ovviamente il vino, “vinum”. Qui non si valorizzano solo produttori di vino indipendenti che hanno scelto di produrre il vino in un modo molto più vicino alla natura senza nessuna aggiunta né chimica, solo l’uva che viene trasformata, ma rappresentano anche tutte le persone che stanno sotto Kavinum, sotto la nostra casa, nel segno dell’inclusione. Che tu sia qualcuno che non sa nulla di vino, qualcuno che ne sa o qualcuno che si colloca nel mezzo, siamo tutti qui insieme, attorno ad una sola cultura, quella del vino. Dobbiamo solo assaggiare e decidere se quello che stiamo bevendo ci piace o meno senza linguaggi troppo specifici. Perché alla fine l’unica cosa che chiunque debba fare con il vino è gustarlo in buona compagnia”.

Una foto dal sito kavinum.com

In Italia il vino naturale è ancora poco conosciuto. Si sente tanto parlare di vini ancestrali, vini biologici, vini biodinamici e su Kavinum ce n’è un’ampia scelta… cosa significano queste parole?
“In giro è molto difficile reperire del buon vino naturale, persino nel milanese, dove l’offerta della ristorazione è più ampia. Quando si trova qualcosa, la persona che hai davanti fa molta fatica a spiegare e raccontare la bottiglia. Posso dedurre che alcuni si affidano al concept per fare business, pochi sono quelli che sanno davvero ciò che trattano. 
Ho avuto la fortuna di avere tanti amici vignaioli che sono riusciti a spiegarmi di cosa stiamo parlando e a farmi capire che il vino naturale è molto semplice: uva che viene trasformata in un prodotto, il vino, senza nessuna aggiunta. Si prende l’uva, si fa la pigiatura, dalla pigiatura si ottiene il mosto che si lascia fermentare e si porta alla vinificazione, il vino viene poi imbottigliato ed è fatta. Questo è il vino naturale, non si aggiunge niente, l’uomo usa le sue mani e usa solo la materia prima raccogliendo solo i grappoli più buoni, poi la porta nel processo di produzione.
Per il vino biologico, bisogna sottolineare che è più una certificazione per poter vendere su mercati esteri all’export. La certificazione più conosciuta qui in Italia è quella rilasciata da ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, ndr.), ma ce ne sono anche tante altre che permettono di vendere in paesi esteri come il continente americano – perché gli statunitensi amano molto il vino italiano, soprattutto nel campo dei naturali – o l’Asia. I vignaioli naturali che desiderano richiedere la certificazione si recano presso l’ente ICEA e la richiedono direttamente lì, ma il processo per ottenerla è abbastanza lungo e può durare anche tre o quattro anni. Poi, una volta ottenuta, può vendere. Il vignaiolo naturale produce piccoli lotti in base alla sua raccolta. Una piccola produzione, che ora con il cambiamento climatico diventa ancora più vincolante poiché spesso in seguito a grandinate o alluvioni i produttori si ritrovano il più delle volte con il 90% della produzione che va persa.
Quando ci addentriamo nell’agricoltura biodinamica il discorso è ancora diverso: puoi essere certificato biologico sia in vigna che in cantina, ma è il tuo metodo di approccio alla natura a essere biodinamico. Esiste un’agricoltura biodinamica, ma non esiste un vino biodinamico. Si tratta di un’agricoltura che  utilizza preparati naturali che vengono messi in vigna e riescono a mantenere in salute la vite. Un concetto molto interessante che spieghiamo sul blog “Bicchieri a Tavola” del nostro sito. 
Il metodo ancestrale, invece, è un metodo molto antico, che prevede una tecnica simile a quella che usavano i nonni per i vini spumanti. Sono i vini che vengono imbottigliati con il tappo a corona per immagazzinare all’interno della bottiglia la CO2 necessaria a creare le bollicine senza utilizzare i classici metodi (metodo charmat o metodo classico, ndr.) per non aggiungere nulla al vino, ma per lasciare che sia la natura a completare il processo”.

È un mondo complesso e sono poche le figure che te lo sanno raccontare…
“Persino i sommelier non sono preparati in questo campo e li capisco, durante il percorso di studi viene loro insegnato ciò che è sempre stato spiegato e fatto nel settore del vino, ciò significa metodi e processi convenzionali. I vini convenzionali sono quelli che si trovano nella grande distribuzione, l’esatto contrario dei vini naturali che non hanno nessuna tecnica di produzione, sono puri, allo stato grezzo e molto buoni, perché quando li bevi si sente che sono fatti di sola materia prima: l’uva.
Il progetto Kavinum poggia su tre pilastri: etica, innovazione e sostenibilità. Etica significa prezzi accessibili per tutti, comprensione dei vini per tutti grazie alle nostre schede che inseriamo nei vari ordini che riportano informazioni sui produttori, le storie dietro alle bottiglie, le note di degustazione e le ricette abbinate ad ogni bottiglia nella tua scatola per offrire al cliente un’esperienza personalizzata. L’innovazione è rappresentata dal nostro algoritmo, che traccia le preferenze del singolo membro e va a ricercare quello che può piacere. La sostenibilità riguarda il fatto che Kavinum seleziona solo vignaioli che abbiano adottato una certa filosofia di vita, che eseguono un lavoro quanto più vicino possibile alla natura senza usare additivi che vadano a distruggere il suolo, spesso non usano neanche un trattore eseguendo ogni lavoro manualmente. Vogliamo far conoscere questo tipo di lavoro, quello delle persone brave e buone che hanno a cuore il loro territorio”. 

Parliamo invece dei vostri clienti. Chi è il vostro cliente tipo? Cosa apprezza di voi?
“Amiamo definire il nostro target come la “generazione Netflix”. Siamo giovani, adoriamo i contenuti, le esperienze personalizzate, le cose che ci piacciono, la convivialità: i nostri clienti sono come noi, persone che amano il vino buono, siano esse neofiti, appassionati o esperti. Sono persone che cercano una buona bottiglia, ma che non hanno tempo di scorrere i soliti cataloghi online con milioni di etichette, che non hanno voglia di perdere le ore davanti allo schermo cercando qualcosa che possa piacere loro perché il loro tempo è molto prezioso. Quando si rivolgono a noi, ricercano qualcosa di buono e nuovo che possa soddisfare le attese del loro palato, senza offendere le loro papille gustative. Il quiz sulla nostra piattaforma è ciò che fa per loro. Un quiz, sole sei domande e hanno le tre bottiglie di vino più adatte ai loro gusti che verranno consegnate direttamente a casa in meno di 24 ore (48 per le località italiane più difficili da raggiungere)”.

Una delle domande del quiz

Come vi è venuta l’idea del quiz? Come funziona l’algoritmo che c’è dietro?
Ancora una volta parliamo di diversità, però nel campo del vino. C’è chi ha iniziato da poco a bere vino. C’è chi compra vino regolarmente e c’è chi è interessato al vino e vorrebbe ampliare i suoi orizzonti, ma non ha abbastanza tempo di cercare bottiglie “nei soliti cataloghi”. Quindi l’idea alla base era avere una piattaforma digitale che ci consenta di soddisfare i palati di tutti. Sono una persona molto curiosa e quando ho iniziato con il vino ho iniziato a informarmi su tutte le cose che non sapevo per poterle interiorizzare. Questa curiosità l’ho portata verso il quiz: gli altri hanno un catalogo, noi vogliamo creare un club. Molti produttori fanno fatica a vendere le loro bottiglie e devono passare attraverso intermediari come grossisti, distributori, importatori e questo ha delle conseguenze anche sui prezzi. Noi cercavamo invece qualcosa che ci permettesse di non avere nessuno in mezzo per poter rendere il prezzo più accessibile a tutti, quindi fungiamo noi direttamente da intermediario fra il produttore di vino indipendente e il cliente finale.
Fondamentalmente ciò che facciamo è cercare di rendere l’esperienza di acquisto del vino un processo meno intimidatorio rispetto a quello che ha sempre presentato l’industria del vino per il consumatore medio. Il cliente può quindi scegliere il vino prima di tutto in base al tipo di cibo che abbinerà o al suo budget (perché è molto importante), altrimenti può semplicemente trovare il vino che risponda al suo gusto personale.
Il quiz ci aiuta allora ad accorciare i tempi e ad assegnare la bottiglia adatta a ogni palato. Abbiamo così stabilito tre range di prezzo e li abbiamo inseriti fra le domande: fino a 15€, da 16 a 25€ e da 26 a 40€. Dovevamo poi capire come riuscire a fare amare il vino a chiunque, quindi il quiz si informa riguardo le preferenze sui cibi salati e in base a quello sappiamo quanta mineralità il cliente ricerca in un vino, la salinità che apprezza. Domande come ‘quali sono i frutti che vorresti sentire nel tuo vino‘ o ‘quale cioccolato vorresti poter mangiare per sempre senza ingrassare‘ ci aiutano a capire quali profumi e quanto tannino si ricerca in una bottiglia – cioccolato bianco per un basso tannino, al latte per un tannino medio dal corpo medio, o fondente per un tannino persistente. Così possiamo trovare la bottiglia perfetta per chiunque. Tutto questo è in realtà solo la prima parte di Kavinum, grandi cose arriveranno”.

Come selezionate le bottiglie che scegliete di vendere su Kavinum?
“Il nostro modello di business ci consente di andare solo da chi il vino lo produce, quindi niente intermediari: nessun grossista, distributore o venditore.  È un processo stancante, molto impegnativo e ci consideriamo ‘esploratori del vino’ proprio per questo. Non tutti i produttori sono organizzati per dare un veloce feedback alle mail.
I produttori ci fanno vedere i loro poderi e le loro terre e li trattiamo come se fossimo amici. All’inizio ho detto che Kavinum è tre cose, amici, vino e bei momenti, e la parte dell’amicizia è fondamentale, sacra: il primo contatto con una persona deve sempre essere amichevole, poi si va a creare questa convivialità, questo modo di stare insieme che è il nostro obiettivo. Cerchiamo di far diventare i produttori nostri amici fin dal primo momento. Assaggiamo e selezioniamo personalmente quello che ci piace affinché possa piacere anche ai nostri clienti. Quindi, i vini scelti vengono mappati all’interno della nostra tecnologia di personalizzazione e da lì parte tutto il processo di vendita”.

Etichette in vendita su Kavinum con schede di degustazione

Qual è la parte più impegnativa di questo lavoro? E quale la più divertente?
“Il mondo del vino ha tante sfumature. Parliamo proprio dei vini di oggi dove troviamo il rosso, bianco, macerato ‘alias orange wine’, rosé e perfino i diversi stili di bollicine… Incontrare e conoscere nuovi produttori è impegnativo, ma allo stesso tempo anche divertente. Ci si incontra, si assaggiano i vini, si chiacchiera. Si nota che ognuno ha la propria filosofia. Ad esempio, alcuni vinificano solo in legno, altri invece non lo utilizzano assolutamente perché preferiscono che nei loro vini si senta solo il gusto puro dell’uva e non i sentori che a volte si sviluppano all’interno delle barrique.
La parte difficile invece è proprio la tecnologia di personalizzazione. Quando c’è l’inserimento di nuovi vini diventa molto fastidioso perché ogni bottiglia va mappata per poter soddisfare tutti i nostri utenti. Non dimentichiamo che abbiamo tutti un palato diverso, quindi meglio non dare del riesling a chi preferisce il pinot. Vogliamo offrire un’esperienza di vino completamente personalizzata al cliente. Crediamo fortemente che il vino debba essere divertente e per questo forniamo ai nostri membri una piattaforma per consumare contenuti, conoscere il vino, valutarlo, incontrare le persone dietro le bottiglie e fornire informazioni dettagliate per una selezione migliore. Penso che tutto questo rappresenti la parte più eccitante.

Quante persone siete oggi in Kavinum?
“Kavinum ad oggi è un piccolo team di appassionati del buon vino ‘sostenibile’. Persone unite dietro a quelli che sono anche i valori della piccola azienda: inclusione, avventura, passione e attenzione alla biosfera. Siamo partiti in tre a luglio 2021: io, il mio braccio destro nonché responsabile marketing e PR Barbara Saronni e un esperto sommelier certificato dall’AIS (Associazione Italiana Sommelier, ndr.) con più di vent’anni di esperienza. Le giornate sono lunghe, impegnative, ma soprattutto belle. Perché ci alziamo la mattina? Perché stiamo facendo del nostro meglio per scuotere un intero settore. Siamo diversi, offriamo qualcosa di diverso, ma siamo tutti uniti attorno a quel buon succo di uva”.

Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
“Gli obiettivi di Kavinum sono diversi, che siano a medio o lungo termine. L’obiettivo primario che si è fissato Kavinum è quello di aprire il mondo del vino sostenibile (in tutte le sue sfumature) a tutti, dal neofita all’appassionato, reinventando l’esperienza di acquisto al dettaglio del vino online a vantaggio dei nostri clienti. Vogliamo che tutti possano provare la gioia di un vino eccezionale, con un buon rapporto qualità-prezzo, senza le pretenziosità e l’esclusività della tradizionale industria del vino. Spiegare che cos’è un vino da agricoltura biologica e/o biodinamica non è per niente facile. Ecco perché per evitare di essere troppo accademici abbiamo aperto una nuova parte sul nostro sito, il nostro blog “Bicchieri a Tavola”, che permette di scoprire e comprendere di più di questo fantastico mondo del vino. I nostri utenti potranno capire facilmente termini come Vecchio vs. Nuovo Mondo del vino, le diverse filosofie dei loro produttori, le regioni del vino, l’abc del vino con le spiegazioni di termini come acidità, dolcezza, tannino, mineralità o corpo…”. 

Alcune bottiglie in vendita su Kavinum

Un mondo affascinante, ampio e diversificato che al giorno d’oggi risulta ancora estraneo anche a chi il vino lo conosce bene. Eppure, di vini naturali se ne sente parlare sempre più spesso. Che sia questa la piega che l’enologia prenderà in futuro? È ancora troppo presto per dirlo, ma siamo sicuri che la “rivoluzione-Kavinum” non passerà inosservata e darà del filo da torcere ai palati più titubanti. Provare per credere.

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Tutte le immagini sono gentile concessione dell’intervistato.

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.