Il pandoro: storia di un brevetto, di fallimento e di rinascita
Il pandoro: storia di un brevetto, di fallimento e di rinascita
La certezza è una sola: il pandoro è nato a Verona. Eppure ci sono moltissime leggende riguardo la preparazione dolciaria che avrebbe ispirato Domenico Melegatti, colui che nel 1894 depositò il brevetto.
Alcuni sostengono che il dolce derivi dall’antico Pan di Vienna, una ricetta austriaca dei tempi dell’Impero Asburgico a sua volta ispirata alle brioche francesi. Ma le caratteristiche che accomunano il pandoro alla brioche francese hanno origini ancora più lontane: nei suoi scritti, Plinio il Vecchio cita un panettiere di nome Vergilius Stefanus Senex e il suo panis con farina, burro e olio.
Un’altra versione della storia sostiene invece che il pandoro sia un lontano parente del Pan de Oro, un dolce veneziano ricoperto da sottili foglie d’oro zecchino servito sulle tavole dell’alta nobiltà . Più probabile è, per somiglianza nell’aspetto e nel sapore, che il pandoro derivi dal Nadalin veronese, un dolce costituito da un tronco a stella con otto punte, non troppo alto e ricoperto da una leggera glassa che le famiglie prepararono per la prima volta nel 1260, per festeggiare il primo Natale sotto la signoria dei Della Scala.
Il pandoro moderno, come racconta la stessa famiglia Melegatti, nasce ufficialmente il 14 ottobre 1894, quando il celebre pasticcere veronese Domenico Melegatti ottiene il brevetto per la sua nuova creazione. Secondo la leggenda che aleggia intorno a questo dato storico, un garzone di bottega, addentando quel dolce morbido e burroso illuminato da un raggio di sole, avrebbe esclamato: “L’è proprio un pan de oro!”. E il nome per il dolce di Natale era stato scelto.
Domenico Melegatti era un pasticcere molto noto a Verona, soprattutto per le sue sperimentazioni in cucina. Un’antica tradizione prevedeva che le donne veronesi si riunissero, la notte della Vigilia, per impastare il levà , un dolce fatto con farina, latte e lievito. Proprio dall’idea di trasformare quel dolce casereccio in qualcosa di godurioso, arricchendolo di uova e burro, nasce il pandoro.
All’inizio del Novecento, i medici consigliavano il pandoro ai convalescenti e alle donne in dolce attesa, ma negli anni Cinquanta diventa un dolce di ampio consumo e Melegatti inaugura il primo stabilimento industriale. Negli anni Settanta il dolce entra nei supermercati, e così inizia l’ascesa di un dolce che diventerà un vero e proprio must have sulle tavole natalizie.
Ma il periodo felice del pandoro Melegatti non era destinato a durare in eterno, e nel giro di una trentina d’anni l’azienda entra in crisi. Si fa risalire l’inizio di questo periodo nero al 2005, quando morì Salvatore Ronca, presidente molto amato dalla società . In realtà il business dei dolci natalizi, essendo richiesti solamente per un determinato periodo dell’anno, era in crisi già da tempo, e i vari competitor dell’azienda veronese si erano già attrezzati per restare attivi sul mercato tutto l’anno, grazie alla produzione di prodotti come brioche e biscotti. Melegatti è rimasta indietro, inaugurando il suo nuovo impianto per i croissant solo nel 2017. Proprio nell’agosto dello stesso anno la situazione precipita: la produzione si ferma, gli stipendi restano non pagati e i sindacati dichiarano lo stato di crisi. I dipendenti finiscono in cassa integrazione a zero ore e il debito sfiora i 30 milioni di euro. E si parla di fallimento.
Nel Natale del 2018, Melegatti torna a sorridere. Come una fenice, l’azienda dolciaria rinasce dalle proprie ceneri e torna a sfornare i suoi mitici pandori. I primi dolci di questa “seconda vita” sono stati prodotti da terzisti in altri stabilimenti, ma la nuova proprietà è riuscita a riportare i suoi pandori in alcune catene della grande distribuzione, dove fedeli compratori provenienti da tutto il Veneto si sono lanciati nell’acquisto.
Se Melegatti è sopravvissuta, il merito va a due personaggi conosciuti ora come gli “angeli del lievito”, Matteo Peraro e Davide Stoppazzoni, due dipendenti che anche durante la chiusura dello stabilimento, senza percepire stipendio o rimborsi, hanno continuato a nutrire il lievito madre. E si sa, in questo periodo in cui la panificazione è diventata di casa grazie alla quarantena e alla corsa al lievito, che il lievito madre deve essere coltivato quotidianamente e rinfrescato periodicamente. Neanche fosse un figlio.
Sono passati molti anni ormai da quel lontano 1894, quando Domenico Melegatti ha realizzato il sogno di ogni bambino proponendo un’alternativa delicata ma altrettanto golosa al sapore più impegnativo del panettone, che già da decenni troneggiava sulle tavole natalizie meneghine. E oggi, la domanda rimane una soltanto: panettone o pandoro?
Gaia Rossetti
Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.