Il vino friulano “a modo nostro”: la cultura delle uve di Villa Job
Il vino friulano “a modo nostro”: la cultura delle uve di Villa Job
Una rilettura del vino friulano che esce dagli schemi: questa la filosofia di Alessandro Job, proprietario di Villa Job a Pozzuolo del Friuli. 9 ettari di terreno, 7 etichette, 30mila bottiglie all’anno e la voglia di reinterpretare i vini di questa terra in maniera decisamente meno tradizionalista.
“In questi anni di forte cambiamento sociale e climatico abbiamo capito sempre di più il valore sociale del vignaiolo. I nostri vini sono il nostro pensiero, la nostra passione, le nostre idee; come tali devono essere libere e personali, non legate al solo fattore commerciale. Una bottiglia di vino può e deve contenere cultura”.
In occasione di Vi.Na.Ri, la due giorni milanese all’insegna del vino naturale svoltasi il 12 e 13 febbraio, abbiamo avuto l’occasione di scambiare due parole con Alessandro Job, proprietario dell’Azienda Agricola Villa Job, il quale concepisce le vigne ereditate dal nonno in un’ottica circolare, che cerca di limitare all’osso ogni tipo di scarto e di assecondare il naturale corso della vite, della pianta e del mosto. Noi lo abbiamo intervistato per farci raccontare la filosofia dietro le coloratissime etichette.
Chi è Villa Job? Qual è la vostra storia?
“Siamo una piccola azienda di Pozzuolo del Friuli, a pochi chilometri da Udine. Siamo quattro persone che lavorano nove ettari di vigneto. Oltre al vino abbiamo un bosco, un fiume, venticinque alveari e una fattoria sociale”, ci ha raccontato. “Abbiamo iniziato a confrontarci con il vino naturale sei anni fa, nel 2017, quando abbiamo “preso in mano” l’attività del nonno. Inizialmente abbiamo portato avanti la sua filosofia, ma nel corso del tempo abbiamo cominciato a tracciare la nostra strada”.
Che tipi di vini producete?
“Facciamo sia vini del territorio che vini internazionali, principalmente parliamo di vitigni classici friulani come Tocai, Sauvignon, Pinot grigio, Refosco e Schiopettino. Ogni vino ha un’etichetta e un nome che lo caratterizza proprio perché secondo noi ogni bottiglia ha una propria personalità e una propria storia. Ad esempio il nostro Sauvignon si chiama Sudigiri, perché è un Sauvignon che esce dagli schemi, diverso dal solito. E noi non potremmo esserne più contenti perché è in questo che sta la nostra filosofia: dare una nostra personalissima reinterpretazione dei grandi classici del Friuli.
Untitled è il nostro Friulano, che abbiamo lasciato senza nome perché in Friuli il Tocai non si può più chiamare così, bisogna chiamarlo “friulano”. Per noi è – concedetemi il termine – una bestemmia: se non può essere nominato, piuttosto che dargli un appellativo a caso abbiamo preferito lasciarlo senza nome. Piantagrane perché con un amico agricoltore qualche tempo fa riflettevamo su quanto si parla di Pinot grigio, si parla sempre di Pinot grigio, quindi “piantagrane” ci sembrava rispecchiare la nostra voglia di cambiamento, Guastafeste per rincarare la dose e così via”.
Nomi che vi caratterizzano, quindi?
“Sì, i nomi delle bottiglie caratterizzano noi e la filosofia di Villa Job, ma soprattutto caratterizzano il nostro vino. Quando lo bevi devi aspettarti qualcosa, è come dire che ogni vino ha un’identità molto ben definita e il nome deve rimandare a quello che poi assaggerai. Vogliamo che chi lo beve possa dire ‘ah, ecco però si chiama Guastafeste’ oppure ‘capisco perché l’abbiano nominato Piantagrane’”.
Quante bottiglie producete in un anno?
“Siamo sulle 30mila bottiglie. Con nove ettari di vigneti potremmo anche fare di più, ma ci interessa il giusto in questo momento. Preferiamo restare molto attenti alla qualità piuttosto che puntare alla quantità”.
Nel mondo del vino naturale i mercati di riferimento per i produttori italiani sono soprattutto esteri, con un’esportazione maggiore rispetto alla vendita interna. Qual è invece il vostro mercato di riferimento?
“Il 60% della nostra produzione è rivolta all’Italia, un mercato che curo tanto e su cui lavoro tanto perché per quanto riguarda il vino è uno dei mercati più difficili. L’Italia per il vino ha storia e tradizione e i produttori vinicoli non si contano. Riuscire a vendere il proprio vino in una zona così ricca e competitiva vuol dire avere un prodotto valido, in grado di dare qualcosa di “diverso” dal solito vino ai nostri consumatori, qualcosa che valga la pena di essere assaggiato e ricordato. Questo è il motivo per cui per me l’Italia è così importante. Per quanto riguarda l’estero invece siamo forti in Corea, in Giappone, Canada, America, nord Europa, Parigi… insomma, siamo presenti su davvero tanti mercati”.
C’è un “cavallo di battaglia” a Villa Job?
“Onestamente, non abbiamo una “gerarchia di prodotto”, un vino che reputiamo migliore degli altri di nostra produzione. I nostri prodotti, come la nostra filosofia, seguono una certa orizzontalità: siamo orgogliosi di ogni bottiglia, perché in ogni nostro vino c’è ricerca, qualità, storia, un modo tutto nostro di reinterpretare la tradizione. Per questo non parleremmo mai di un nostro vino come dell’espressione tipica del Tocai friulano, perché è il nostro Tocai, quello che viene dalla nostra terra, con le sue note erbacee e agrumate. Per questo diamo valore a tutti i nostri prodotti e se un vino non è all’altezza quando lo assaggiamo non viene imbottigliato. Come ho accennato, la qualità è fondamentale ed è il nostro biglietto da visita”.
Villa Job sui social
Sito web: www.villajob.com
Facebook: Alessandro Villa Job
Instagram: @villajob
Gaia Rossetti
Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.