Perché La scuola cattolica è vietato ai minori (ed è giusto così)
Perché La scuola cattolica è vietato ai minori (ed è giusto così)
La scuola cattolica di Stefano Mordini, tratto dall’omonimo romanzo Premio Strega di Edoardo Albinati, è stato vietato ai minori di 18 anni. Per molti l’ennesimo caso di censura, ma non è proprio così.
La trama è arcinota, anche se forse non troppo presso i Millennials: il delitto del Circeo. Roma, 1975. In un istituto scolastico maschile di stampo cattolico, dove le famiglie della migliore borghesia iscrivono i propri figli per tutelarli dai drammi della politica italiana di quel periodo nella speranza che una rigida istruzione possa prepararli ad affrontare il mondo. Qui, Edoardo (voce narrante e autore del romanzo) li osserva attentamente mantenendo un atteggiamento quasi sempre super partes, e si rende conto che la rigida morale impartita a scuola fa emergere le molte contraddizioni della loro piccola comunità, entro la quale il più debole viene sempre sottomesso dal più forte e qualsiasi ambizione, fantasia o impulso di ribellione viene prontamente represso in ambito scolastico e familiare.
Fra i consueti problemi di quell’età, il confronto con le ragazze e la scoperta della sessualità, le famiglie alle spalle piene di moralità e incomprensioni, l’intera scuola viene sconvolta dal massacro del Circeo. Il culmine di un clima di violenze, una tragedia che era nell’aria da tempo, attuata da tre studenti dell’istituto. Angelo Izzo e Gianni Guido adescano le ventenni Donatella e Rosaria e le portano in una villa al Circeo; qui le violentano e massacrano fra il 29 e il 30 settembre in compagnia del loro amico Andrea Ghira. Rosaria sarà uccisa nel bel mezzo delle violenze. Donatella, dopo molte altre sevizie, si finge morta e viene caricata nel portabagagli della Fiat 127 di Gianni insieme al coro esanime dell’amica. Qui, pur stordita e malridotta, riesce ad attirare l’attenzione di un metronotte, che la libera.
In primis, un problema interpretativo. Nonostante gli appelli del regista Stefano Mordini, del produttore Roberto Sessa, delle interpreti Valentina Cervi e Valeria Golino e dello stesso autore Edoardo Albinati, il divieto è arrivato lo stesso. Ed essendo una manovra usata in rarissimi casi, per molti ha il volto della censura, soprattutto dopo le dichiarazioni del Ministro della Cultura Dario Franceschini che, lo scorso aprile, avrebbe affermato che ogni tipo di censura sarà abolito con la nuova legge sulla revisione cinematografica.
In ogni caso, il Ministero si libera dall’accusa di aver censurato i film: “Lo stesso Ministero della Cultura, paradossalmente pure finanziatore del film, sottolinea come La scuola cattolica esca in sala, quindi senza censura e senza tagli, ma con uno dei divieti previsti anche dalla nuova normativa a tutela dei minori”, riporta la ricostruzione del Giornale. Dunque, non esattamente una “censura” nel suo significato vero e proprio, ma un tentativo di protezione nei confronti di un pubblico generalmente più fragile e, per certi versi, più facilmente condizionabile.
Questo perché? Perché qui non si parla solo di scene di nudo o di scene di violenza, qui la verità è un’altra. Perché questo è un film tratto da una storia vera, che parla della violenza alle donne, è interpretato da ragazzi che hanno aderito a un progetto difficile e vogliono farlo vedere ai giovani. È cattiveria nuda e cruda, raccolta e documentata e registrata e sputata sul grande schermo. “Non pensavo che questo Paese fosse ancora al Medioevo”, dice Roberto Sessa, mentre Albinati è convinto “che una ragazza e un ragazzo di oggi siano perfettamente capaci di distinguere il bene dal male senza qualcuno che gli nasconda la verità, con la scusa di proteggerli”. Il problema, però, non è certo la trama.
Ciò che fa più paura è quello che non appare sullo schermo, le attrici dai volti impestati di sangue che vengono colpite con colpi di karate, rassicurate e poi nuovamente chiuse in una stanza e seviziate per quelle che, nella vita vera, sono state 36 ore. È Donatella Colasanti che viene drogata con una sostanza in una siringa e si risveglia con una cintura stratta intorno al collo. È Rosaria Lopez seduta su una poltrona, nuda e piena di graffi, e qualche scena dopo stesa nel rigor mortis del bagagliaio di una 127 bianca con gli occhi chiusi per sempre. Balzi temporali, corpi nudi che si susseguono davanti allo schermo senza nulla di malizioso, solo uno sguardo crudele che si spegne nel passaggio da una scena a quella dopo senza dire niente, ma lasciando intendere tutto.
Questo non significa voler chiudere gli occhi davanti alle violenze che, ora come allora, sono all’ordine del giorno, né tantomeno voler fomentare una rape culture che nel bel paese dove il sì risuona non è ancora vista come un problema. Questo significa rispettare la delicatezza di chi, per questioni anagrafiche, potrebbe uscirne emotivamente segnato. Parlate ai vostri figli di Donatella e di Rosaria, parlate loro di Angelo Izzo, di Gianni Guido e di Andrea Ghira e di tutte le vittime e di tutti i carnefici. Non nascondeteli alla violenza che prima o poi li spiazzerà come ha spiazzato chiunque altro prima di loro. Ma usate le parole giuste, i ritmi giusti e i tempi giusti. Perché per conoscere la cattiveria, quella vera, questi ragazzi hanno ancora tempo.
di Gaia Rossetti
Gaia Rossetti
Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.