Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Perché nelle notte più buie cerchiamo disperatamente una luce. E il 2022 ci ha regalato una flebile fiammella di una candela…
Il discorso di fine anno di cui non sapevi di avere bisogno, ma che non ti meriti.

Ed eccoci a una nuova fine di un altro anno. Un momento di cui tutti – per quanto non ci piaccia ammetterlo – abbiamo bisogno. Ne abbiamo disperatamente bisogno. Come abbiamo bisogno di Sanremo (la settimana dell’anno in cui possiamo sfogare la nostra frustrazione: insultando il presentatore di turno o insultando chi insulta il presentatore di turno, in un meccanismo tremendamente “Inception”).  Perché un anno che si chiude è un momento per tirare una riga e fare i conti, un momento per ricaricare le pile e ripartire. E no, non è una questione solo di ferie e di riposo. È la necessità di mettere un punto in questo eterno divenire.

Se volessimo usare una locuzione abusata e violentata dalla retorica web degli ultimi anni potremmo definire il 1 gennaio 2023 come un “punto di ripartenza”. Perché fermarci non ci siamo mai fermati, anche se fatichiamo a rendercene conto: ci si muove sempre, si cambia e si vive anche seduti sul divano, con una copertina sulle ginocchia, un occhio alla televisione e un calice di vino in mano (scelta accuratamente dalla nostra Top dei vini del 2022, perché autocitarci ci piace parecchio, ndr.). Tirare le somme, spegnere il cervello per una sera e ripartire con i postumi dell’ennesimo anno passato.

2022
E questo 2022 merita davvero che gli venga tirata un spessa riga sopra. Un annus horribilis che ci ha tormentati, messi alla prova, spinti a guardare nuovamente il nostro futuro con pochi punti fermi e tanti punti di domanda. I venti che hanno soffiato dal nordest ci hanno sussurrato parole che mai avremmo voluto sentire. Venti freddi, gelidi. Venti di guerra tanto vicini a marzo e adesso finiti in un mare dolce di dimenticanza, perché sembra che ci si abitui a tutto, anche alla morte (degli altri specialmente). Venti che adesso sembrano una brezza che infastidisce, ma non un uragano. L’uragano sono l’aumento delle bollette e il caro elettricità. Quello sì che fa male. La morte degli altri, invece, sembra quasi tollerabile.

Venti di guerra, postumi pandemici, i Jalisse fuori da Sanremo. Ma le difficoltà non dovevano esaurirsi il 31 dicembre 2020? No. Lo speravamo, ma lo sapevamo. Non è vero che “va sempre peggio”, ma molto spesso abbiamo troppe aspettative per quello che, in fondo, non è altro che un foglio di carta che viene girato, un numero che aumenta progressivamente. Che cosa cambia da un anno all’altro? Solo una cifra, ma a volte ce lo dimentichiamo.

Gli eventi peggiori dell’anno li abbiamo riassunti in questo articolo firmato dalla nostra Martina Tamengo, ma questo 2022 ci ha lasciato anche qualcosa di positivo, una – seppure molto piccola – rinascita e un ritorno alla normalità. Siamo tornati a saltare ai concerti, a goderci un film al cinema. Siamo tornati a mettere play alle nostre vite, nonostante tutte le accortezze che un inverno post pandemico ci può lasciare. Abbiamo ricominciato a guardarci sorridere e non più solo a immaginarli sotto una mascherina, con in mano un pacco di pane e i minuti contati.
È vero: non possiamo considerare il 2022 come un anno positivo, specialmente alla luce del conflitto russo-ucraino e quella costante sensazione di essere su una pentola a pressione pronta a esplodere. Non è positivo, ma è stato un modo per ricominciare.

Perché nelle notte più buie cerchiamo disperatamente una luce. A volte non si trova, ma non dobbiamo mai smettere di cercarla. E il 2022 ci ha regalato una flebile fiammella di una candela. Perché il meglio non ce lo regala il calendario, ma la voglia di fare un passo avanti verso l’uscita.

Che cosa ci aspettiamo dal 2023? Beh…ditecelo voi. La lezione “Paolo Fox e l’oroscopo del 1 gennaio 2020” l’abbiamo imparata. Col ca**o che facciamo previsioni.

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Alina Gorlova: regista sotto le bombe

Alina Gorlova: regista sotto le bombe

Alina Gorlova: una regista che resiste sotto le bombe

Pordenone Docs Fest assegna uno speciale Premio IMAGES OF COURAGE 2022 alla regista ucraina Alina Gorlova, che resiste sotto le bombe a Kiev e racconta il conflitto…

Dai suoi profili social, la regista ucraina Alina Gorlova, molto celebrata per i lavori dedicati alla guerra in Donbass, ha lanciato un appello per una raccolta fondi e il festival Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario ha deciso immediatamente di rispondere, rilanciando il suo appello in tutta Italia e impegnandosi sin da subito per la popolazione ucraina.
Il sostegno del festival si concretizza con la consegna ad Alina Gorlova, come contributo alla raccolta fondi, di uno speciale Premio Images of Courage 2022. Gorlova si è messa a disposizione per il reperimento di beni di prima necessità, che in città stanno scarseggiando. Il festival aveva precedentemente invitato la filmaker, una delle più brillanti e premiate documentariste contemporanee, a far parte della Giuria del festival (6-10 aprile). La regista ha scelto di rimanere nella sua città, Kiev, in questo momento difficilissimo per il suo Paese, per aiutare la popolazione, usando la sua posizione per intercettare anche contributi dall’estero, e continuare a raccontare e documentare il conflitto.

Restando a Kiev, oggi mi rendo pienamente conto della catastrofe umanitaria in città e in molte altre città e paesi. Da quando è iniziata l’invasione, cerco qualcosa di utile da fare: consegno medicinali, alimentari e prodotti igienici a casa delle persone più bisognose”, scrive Gorlova. “Ma qui manca quasi tutto: benzina, cibo, medicinali. Spesso le consegne da fuori arrivano in ritardo o sono inaccessibili a causa del coprifuoco. Ci sono file enormi nei negozi. Siamo nel panico. Inviate donazioni se volete aiutarci“.

Svincolandosi dalle logiche festivaliere e volendo fare la propria parte in un contesto globale sempre più difficile, tra persone in fuga dai bombardamenti e una vita che si sta rivelando sempre più difficile anche per chi ha deciso di restare, Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario devolve uno speciale premio in denaro a una regista che ha scelto di rappresentare il suo coraggio non solo attraverso le immagini, ma mettendo concretamene la sua vita in pericolo per sostenere il suo paese e il suo popolo.

Il festival invita dunque il pubblico a sostenere a sua volta l’iniziativa partecipando alle donazioni: le coordinate di Alina Gorlova, come da suo appello, saranno postate sui social network della manifestazione.

La giovane regista, classe 1992, ha vinto alcuni dei premi più importanti al mondo per il documentario, con una filmografia tutta dedicata al conflitto ucraino, iniziato in realtà nel 2014. Il festival, che dedicherà a Ucraina/Russia un focus, proporrà alcuni dei titoli più significativi di Alina Gorlova, in particolare il magnifico This Rain Will Never Stop, vincitore nel 2020 e 2021 – fra gli altri – dei principali premi al’IDFA di Amsterdam, al Festival dei Popoli di Firenze, al Festival di Belgrado: un doloroso documentario che ricostruiva la già drammatica situazione nel Donbass, che diventa – paradossalmente – luogo di rifugio del protagonista curdo, in fuga dalla Siria: percorre campi di accoglienza e un susseguirsi di terre di nessuno, incontrando i destini comuni di persone solamente alla ricerca della pace. Ed è con queste immagini negli occhi che il festival Pordenone Docs Fest aveva deciso di invitarla, rinsaldando così il suo rapporto con una terra – e i suoi travagli – che già aveva indagato in passato, come dimostra il Premio della Giuria (in quell’edizione composta dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, dalla regista prematuramente scomparsa Valentina Pedicini e dallo storico e critico del cinema Federico Rossin) nel 2019, conferito al film The Distant Barking of Dogs di Simon Lereng Wilmont, la storia di Oleg, bambino ucraino di soli 10 anni, ostaggio di una guerra sconosciuta ai più, ma tremendamente presente nella sua vita.

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

Tra le tante reazioni di condanna e di boicottaggio delle merci russe, arriva anche la guerra alla vodka

Proseguono le reazioni dell’Occidente all’intervento militare russo ai danni dell’Ucraina. Dopo le sanzioni economiche e la “guerra” agli oligarchi, dopo i boicottaggi e dopo l’estromissione della Russia da quasi ogni competizione sportiva, adesso è il turno della Vodka. Il popolare superalcolico, infatti, sta registrando un netto calo nelle vendite e nelle esportazioni dopo lo scoppio del conflitto, soprattutto negli Usa.

Negli Stati Uniti, per esempio, sono stati gli stessi governatori di diversi Stati a dare indicazioni in prima persona per dare seguito al boicottaggio dei prodotti russi. Il New York Times riporta alcuni esempi.

Nel New Hampshire, ad esempio, dove liquori e vino sono venduti da negozi statali, il governatore ha annunciato la rimozione degli alcolici russi fino a nuovo avviso. Anche il governatore dell’Ohio, dove lo stato stipula contratti con aziende private per la vendita di liquori, ha annunciato l’interruzione di acquisti e vendite statali di Vodka russa. In Virginia è stata richiesta la rimozione di vodka russa e qualsiasi altro prodotto russo dai quasi 400 negozi statali dell’Autorità per il controllo delle bevande alcoliche.

Un’iniziativa sicuramente comprensibile (sul condivisibile ne possiamo parlare, ma scegliamo di non inserire considerazioni etiche), ma che difficilmente sarà efficae. Come afferma il New York Times: “il boicottaggio della vodka russa potrebbe essere più simbolico che strategico”.
Su 76,9 milioni di casse di vodka da nove litri (secondo i Distilled Spirits Council USA), il peso della vodka russa non è rilevanta. Il NYT riporta infatti i dati del 2017, registrando che la vodka russa importata negli Stati Uniti rappresentava poco più dell’1 per cento.

Thrillist ha riferito che la Francia – le cui vodka includono Grey Goose, Cîroc, Gallant e MontBlanc – rappresentava circa il 39 per cento del valore totale delle importazioni di vodka, la maggior parte di qualsiasi altro paese. La Svezia, con vodka come Absolut e DQ, rappresentava circa il 18 per cento. Gli altri principali importatori sono stati i Paesi Bassi (17 per cento), la Lettonia (10 per cento), la Gran Bretagna (5 per cento) e la Polonia (5 per cento)”.

E IN ITALIA?

Anche nel nostro Paese stanno arrivando diverse condanne alla guerra e relativi boicottaggi alle merci russe, come, per esempio, la Bernabei, una enoteca di cui riportiamo uno stralcio del comunicato stampa.

La Bernabei SpA condanna inequivocabilmente l’azione militare in Ucraina e comunica di aver rimosso con effetto immediato dal proprio portale online tutti gli alcolici di fabbricazione e marca russa. Nonostante tali etichette (principalmente Vodka) rappresentino circa il 25% del fatturato della categoria di riferimento, in un periodo storico simile, le valutazioni sulle performances devono necessariamente lasciare spazio al valore etico più alto del ripudio di un conflitto bellico. Non c’è posto per la guerra, tantomeno su Bernabei.it”.