Tra “Bramaterra” e futuro: il vino di Ceruti Lorenzo

Tra “Bramaterra” e futuro: il vino di Ceruti Lorenzo

Tra “Bramaterra” e futuro: il vino di Ceruti Lorenzo

Trevino è stata l’occasione per incontrare Lorenzo Ceruti, il titolare dell’omonima azienda agricola di Sostegno, in provincia di Biella, e conoscere una realtà che unisce tradizione e modernità in un bicchiere di Bramaterra”…

Il nuovo che avanza tra colli e campagne ricchi di tradizione. Durante l’edizione di Trevino, la due giorni dedicata al vino e organizzata da Vale20 in quel di Treviglio Fiere, appena trascorsa abbiamo avuto il piacere di conoscere Lorenzo Ceruti, titolare dell’omonima azienda agricola di Sostegno, un paese nel biellese, tra colli e campagne. Una bella opportunità per entrare in contatto con una realtà giovane e in crescita, che fa della qualità e delle idee chiare un marchio di fabbrica, e con un vino che segue la tradizione, senza rinunciare a un tocco di modernità.

L’avventura è iniziata nel 2014”, ci racconta Lorenzo Ceruti. “Ero ancora un universitario, ma con una grande passione per il vino. Non è semplice creare una realtà simile da zero, bisogna fare i conti con tante competenze da acquisire, capacità che vanno coltivate, sia quelle economiche che quelle pratiche, ma è andata bene”.
E otto anni dopo la passione è andata avanti senza fermarsi, ha preso una forma consistente, ha una produzione in crescita e punta verso il futuro. “In questo momento abbiamo la produzione è di circa 3mila bottiglie, ma voglio che continui a crescere. Per questo ho ampliato i nostri terreni, investito su nuovi vigneti e sono pronto ad aumentare la produzione in questi anni”.

Occhi sul futuro, ma uno sguardo sul passato di una storia breve, ma che ha dovuto affrontare subito una situazione difficile, il biennio pandemico dal quale siamo (si spera) usciti. Quanto è stato difficile affrontare una situazione del genere per un’azienda giovane?
Non è stato semplice chiaramente, ma non c’era certamente da rassegnarti. Si è fatto di necessità virtù, lavorato molto sui prodotti, sfruttato il momento per coltivare al meglio i vigneti, approfittato dei rallentamenti per migliorare. Certo, questo ha influito sulle vendite, ma sono convinto che la qualità dei vini ne abbia giovato”.

LA LINEA
Ed è proprio il “Bramaterra” il prodotto di punta dell’azienda agricola biellese. Un vino di un rosso intenso dalle sfumature violacee che lascia intravedere anche dei riflessi granata nell’unghia del bicchiere. Un vino che al naso e in bocca rilascia in maniera netta il sentore del legno e dei suoi 24 mesi trascorso in botte, con note di frutti rossi, spezie e anche un piacevole sentore di cannella che, assieme a un tannino accentuato il giusto, lascia in bocca una “tonda” sensazione persistente.
Un vino DOC ottenuto da uve di nebbiolo, croatina e vespolina.
Sicuramente il “Bramaterra” è il nostro prodotto di punta”, ci conferma Lorenzo Ceruti. “Un prodotto di cui sono orgoglioso e che rispecchia in pieno la tradizione di questa terra. L’azienda agricola parte dell’Associazione produttori Bramaterra e Lessona, che ha come finalità proprio la promozione di questo storico vino e la valorizzazione del territorio in cui viene prodotto”. 

Non solo “Bramaterra”. La linea di Ceruti Lorenzo viene completata da altri due rossi, il “Costa della Sesia“, un vino ottenuto da nebbiolo, croatina e vespolina, con alle spalle 12 mesi di affinamento in botte, e – a completare il tutto – un rosso più giovane e beverino, perfetto per accompagnare i pasti.
Nel prossimo futuro non penso di ampliare la gamma di vini”, ci spiega Lorenzo Ceruti. “L’intenzione è quella di affinare ulteriormente i prodotti ed espandere il mercato. In questo momento mi affido a un distributore che copre le province di Varese e di Milano, mentre io seguo personalmente il vercellese e il biellese. Nei prossimi anni sarebbe interessante portare il marchio più lontano, sia in altre regioni italiane, sia all’estero. Vediamo che cosa succederà”. 

E il futuro? “L”azienda fa parte di un progetto di filiera assieme ad altri produttori che ha realizzato un sito di e-commerce e che punta a promuovere i nostri prodotti in tutta Italia. Un progetto importante in cui tutti noi produttore crediamo e che siamo convinti possa aiutarci a sviluppare le nostre aziende e far conoscere ancora di più i prodotti della nostra terra”. 

Tradizione e modernità. Due parole chiave per il futuro, due parole che abbiamo potuto “sentire” nel Bramaterra di Ceruti Lorenzo. Che altro dire? Prosit! 

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Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Il vuoto incolmabile di un figlio perduto – “I barattoli della memoria” e il sostegno al lutto perinatale – intervista

Il vuoto incolmabile di un figlio perduto – “I barattoli della memoria” e il sostegno al lutto perinatale – intervista

Il vuoto incolmabile di un figlio perduto – “I barattoli della memoria” e il sostegno al lutto perinatale – intervista

La perdita di un figlio, a prescindere dall’età, è sempre un evento sconvolgente nella vita di un genitore. Ancor di più quando questo lutto si verifica durante la gravidanza da cui si aspetta la vita e invece, ci si ritrova bruscamente a dover interagire  con l’esperienza del vuoto e della morte.

 

Cos’è il lutto perinatale è un’esperienza traumatica che si vive quando si perde un bambino durante la gravidanza, durante il parto o dopo la nascita. È un evento che segna le famiglie che lo vivono e che può avere delle conseguenze sulla salute dei singoli genitori e sulla coppia. L’interruzione del progetto di genitorialità si ripercuote in maniera diversa tra il padre e la madre. Se la madre deve confrontarsi con l’assenza del vuoto dopo essere stata per quel bambino custode e culla, anche il padre seppur parta da un vissuto differente, non vive un dolore meno intenso; anzi, la donna ha avuto nove mesi per abituarsi all’idea di diventare genitore, ha persino i segni fisici di una gravidanza addosso, un papà invece, prende consapevolezza nello stesso istante della nascita e della morte del suo bambino facendosi carico, con un certo senso di impotenza sia della vita spezzata, che del dolore della compagna.

Un figlio perduto lascia un vuoto incolmabile ed insostituibile. È dunque fondamentale affrontarlo, parlarne, liberare dolori e pensieri, confrontarsi e non temere il giudizio degli altri.

Lo sanno bene i volontari dell’associazione “I barattoli della memoria” di Cassano Magnago (VA) che operativi sul territorio dal 2017 offrono supporto a coloro che hanno vissuto questo lutto, indicando quale strada percorrere per ritrovare la luce. L’associazione nasce dall’esperienza diretta dei suoi fondatori che per primi hanno imparato sulla loro pelle quanto sia utile trovare supporto e quanto sia impossibile affrontare un dolore così forte da soli.

Abbiamo parlato con Diana Pasin, vicepresidentessa dell’associazione varesina, che ha raccontato a noi quanto il peso delle parole sia importante e di come sia possibile sopravvivere al dolore.

 

 

INTERVISTA

 

Quando nasce l’associazione “i Barattoli della memoria” e cosa vi ha spinto a creare tale associazione?

“Dopo aver perso la nostra bambina nel 2014, io e mio marito decidiamo di intraprendere un percorso psicologico. Durante questo percorso incontriamo altre cinque coppie che come noi stavano affrontando lo stesso dolore e conoscendoci, ci siamo resi conto di quanto ci sentissimo liberi di parlare con qualcuno che poteva davvero capire quello che stavamo vivendo. Questo nostro parlare ci faceva stare bene, così pensammo “se parlare ha fatto così bene a noi, quante persone potremmo aiutare se consentissimo anche agli altri di poterlo fare?”. Nasce così “i Barattoli della memoria”, fondata da coppie per le coppie, ma aperta a tutti quei volontari che vogliono offrire il proprio aiuto. Non forniamo direttamente alcun aiuto medico o psicologico, siamo semplicemente coppie che tramite l’ascolto e la condivisione si aiutano a vicenda ad affrontare e superare questo dolore”.

Da quante persone è composta la vostra associazione? Avete anche associati o volontari? Come è strutturata gerarchicamente?

“L’associazione è stata fondata da me, mio marito e da altre cinque coppie che hanno condiviso con noi il percorso psicologico post-parto. Si può aderire tramite tessera e una quota associativa annuale simbolica (euro 10). Attualmente contiamo un centinaio di tesserati”.

Da dove nasce il nome dell’associazione? 

“Il nome “i Barattoli della memoria” prende spunto dagli statunitensi Memory Jar, dei contenitori usati per conservare i ricordi legati ad una vacanza, ad un avvenimento importante o ad un anno specifico. Noi abbiamo voluto fare lo stesso. Creare un barattolo da riempire di ricordi dei bambini volati in cielo ma il nostro barattolo – come quello presente sul logo- è aperto, perché lasciato libero di essere colmato di nuovi ricordi e di nuove esperienze ad esso legate”.

Quale tipo di supporto offrite alle coppie che richiedono la vostra consulenza? Come avviene l’incontro?

“L’obiettivo della nostra associazione è di aiutare tramite il dialogo e la condivisione le coppie a superare il lutto nella piena e totale libertà di sentirsi finalmente capiti da chi questo dolore lo conosce e lo ha vissuto sulla propria pelle. Perché ammetto che è difficile parlarne fuori, le persone faticano ancora ad accostare la parola “morte” alla parola “neonato” e questo le fa cadere talvolta, anche in buona fede in domande o risposte che non fanno altro che ferire chi questo dolore lo vive quotidianamente. Le coppie del circondario (perché siamo una realtà territoriale) ci contattano tramite social o tramite mail oppure tramite i recapiti forniti dagli ospedali e psicologi varesini. Dopodiché organizziamo gli incontri scegliendo coppie che hanno storie simili. Ci incontriamo nel nostro salottino e iniziamo a raccontarci”.

Hai avuto supporto o ostruzionismo da parte delle istituzioni nella realizzazione di questo progetto?

“La mia esperienza è stata positiva, ho sorprendentemente trovato tanta collaborazione e comprensione dalle istituzioni sia a livello burocratico che a livello istituzionale. Ricordo che all’inaugurazione dell’associazione erano presenti il primario e le ostetriche dell’ospedale di Gallarate, il ginecologo e gli psicologi della zona tutti interessati a conoscere meglio questo fenomeno”.

Quanto è stato importante per te affidarti ad percorso psicologico nel superamento del dolore?

“Fondamentale. Ho desiderato il percorso psicologico fin da subito appena uscita dall’ospedale. Ogni coppia si rialza in modo diverso, nel mio caso di aiuto è stata la fede. Io consiglio di rivolgersi ad un professionista, perché a volte si ha l’illusione di aver passato il trauma, di esserne usciti ma in realtà se non viene affrontato se non si impara ad elaborarlo nella maniera corretta questo continuerà sempre a ripresentarsi anche a distanza di anni”.

Secondo te, la mancanza di un percorso può intaccare la solidità di una coppia che affronta questo dolore?

“Non è detto che il percorso psicologico salvaguardi dalla rottura del matrimonio. I fatti vissuti e le emozioni provate sono estremamente soggettive, ci sono troppe variabili per poter definire una regola”.

Come dovrebbe comportarsi la famiglia invece?

“Ci sono coppie che si sono avvicinate molto alla propria famiglia dopo questa esperienza, io invece ho voluto chiudermi in me stessa. Non esiste un manuale d’istruzioni per le famiglie, credo che l’unica cosa che si possa fare è dimostrare vicinanza senza che questa diventi invadenza, sarà poi la coppia quando si sentirà pronta a cercare il loro aiuto”.

In base alla tua esperienza e al tuo percorso che consiglio daresti a chi sta affrontando questo dolore?

“Direi di non nascondere il dolore, non fare finta che non sia mai successo ma affidarsi ad uno specialista, imparando a vivere tutte queste emozioni, senza però rimanerne intrappolati. Esternarle e poi andare avanti, perché dal dolore ci si può rialzare e perché dalle esperienze negative si può sempre imparare”.

Ci sono coppie che, dopo un lutto perinatale, decidono di avere altri bambini: come si racconta agli altri figli?

“Una delle nostre coppie aveva già una bambina e lei si è affidata ad un percorso psicologico su come comunicarle la notizia. Io invece ho avuto figli dopo, e nonostante avessimo potuto tacerglielo abbiamo deciso di fargli sapere che prima di loro c’era una bambina che adesso è in cielo con Gesù. Abbiamo ritenuto che fosse giusto così, perché un bambino percepisce il dolore dei genitori… ma non esiste un modus operandi comune, è necessario però chiedere aiuto, perché senza il giusto supporto questo dialogo può diventare rischioso”.

 

 

Elaborare un lutto di questo tipo non significa in alcun modo dimenticare il bambino scomparso, ma imparare a collocarlo nel posto giusto della propria storia personale, riuscendo ad utilizzare i ricordi per restituire dignità e memoria a quella vita interrotta in maniera così prematura. E quando ci si rende conto che gli affetti non bastano, occorre sapere di poter fare affidamento sui gruppi di auto-mutuo-aiuto, in cui confrontarsi con chi ben conosce il sapore di quelle lacrime, oppure ricorrendo a professionisti specializzati che possano accompagnare i genitori e la famiglia ad integrare la perdita con un possibile sguardo sul futuro.

Per saperne di più è possibile visitare il loro sito internet a questo link

e-mail: ibarattolidellamemoria@gmail.com

facebook: I Barattoli Della Memoria (facebook.com)

 

Nicole Prudente

Laureata in scienze della comunicazione, ho acquisito esperienza nel campo digital e ufficio stampa. Curiosa per natura, testarda di carattere e scrittrice nel sangue. Scrivere per me è un impulso a cui non so resistere.