Zellige: oltre l’armonia estetica

Zellige: oltre l’armonia estetica

Zellige: oltre l’armonia estetica

Arte, mosaici, confini: lo Zellige marocchino è una forma d’arte a tutto tondo. Scopriamola insieme!

L’arte islamica nacque come confluenza di piĂą tradizioni e tecniche – persiane, greche, romane, indiane – originatesi nelle zone con cui la popolazione araba intratteneva rapporti commerciali o che aveva conquistato. La necessitĂ  di armonizzare la popolazione per creare una vera e propria, distinguibile societĂ  richiese una nuova etica e nuove norme di bellezza. Queste influenzarono profondamente il modo in cui gli artisti selezionarono i motivi di cui appropriarsi dalle diverse tradizioni artistiche. Dovevano infatti soddisfare la crescente domanda per un’arte capace di ispirare la popolazione e rafforzare il sentimento di connessione e comunitĂ .

Per un artista islamico, il carattere fondamentale che definisce la bellezza si trova nelle parole del Profeta. Esse la riconoscono risultare dalla pratica artistica, una forma di culto e di materializzazione della fede, suggerendo quindi l’arte stessa come incarnazione della bellezza. Mentre la personalitĂ  degli artisti era considerata irrilevante per l’apprezzamento dell’arte, la funzionalitĂ  dei prodotti artistici era cruciale. Così, l’arte islamica, proveniente dalla convergenza – e selezione – di un insieme diversificato di ispirazioni, divenne una forma di espressione strettamente funzionale, alla ricerca della bellezza.

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Essendo il monoteismo islamico direttamente contrario all’idolatria e considerando Dio l’artista orginale che dĂ  forma al mondo visibile, gli elementi figurativi sono concepiti come una prerogativa del Creatore. Ogni tentativo di un artista di imitare questa maestria è, infatti, un’illusione, un atto di vanitĂ . Così questa forma d’arte trovò il suo linguaggio, evitando gli elementi figurativi e optando per figure bidimensionali, poichĂ© rifiutava le teorie su luci, ombre e prospettiva. Quest’arte trovò la propria forma espressiva nei motivi geometrici arabeschi, che ebbero diverse applicazioni: tra questi, lo zellige marocchino.

Dunque: questi mosaici a base di tessere colorate sono la manifestazione di una ricerca di bellezza che rifiuta l’elemento figurativo, quindi l’identificazione del soggetto, e che emerge dall’unitĂ  di tutte le tessere, elemento architettonico condiviso da diverse tradizioni antecedenti. Per questo motivo, i mosaici arabeschi sono una metafora appropriata per suggerire una riflessione sul concetto di confine.

I confini sono spesso associati ai concetti di divisione ed esclusione, concetti che causano conseguenze ampiamente note e allarmanti sull’atteggiamento dell’uomo nei confronti dell’alteritĂ . L’incessante creazione e circolazione di stereotipi, lo scetticismo, la tendenza a differenziare sĂ© stessi e il proprio gruppo di appartenenza, sono minacce ricorrenti che compromettono lo sviluppo di un dibattito inclusivo e tollerante, non solo tra culture presumibilmente diverse, ma anche e piĂą pericolosamente, all’interno della stessa. Da un altro punto di vista, una frontiera è anche uno spazio in sĂ©, in cui gli elementi divisi godono di tratti comuni o, almeno, sono in continuo scambio culturale e commerciale tra loro. Contrariamente a ciò che spesso permea il discorso riguardo i confini, essi possono essere intesi come potenziali aree di contaminazione, dialogo, creazione e, in definitiva, di unitĂ . I confini si materializzano anche come elemento costitutivo del mosaico, poichĂ© esistono nella misura in cui diverse tessere vengono armonizzate tra loro. Il fatto stesso di armonizzare tessere diverse, fa dei confini quel particolare tipo di area in cui si crea l’unitĂ , in cui emerge la bellezza, rendendo del mosaico uno strumento visivo e concettuale adatto per riflettere sul tema.

di Carlotta Assalto

 

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La street-art al museo: un compromesso tra gli attori del sistema-arte

La street-art al museo: un compromesso tra gli attori del sistema-arte

La street art al museo: un compromesso tra gli attori del sistema-arte

Nel 2010, l’allora quasi sconosciuto street artist Banksy sbarcò a San Francisco, in California, e lasciò il suo segno su sei muri della cittĂ . Non appena il Comune si accorse della presenza di queste opere, le riconobbe come atti di vandalismo e le condannò alla rimozione immediata. La decisione fu il risultato di un regolamento molto severo in materia di graffiti e di una generale tendenza della pubblica amministrazione ad agire sempre in stretta osservanza e rispetto delle regole, talvolta ignorando – e non beneficiando – dei tratti distintivi di singolaritĂ  come queste. In questa occasione, il collezionista Brian Grief riuscì a salvare uno tra i graffiti, attualmente conosciuto come The Haight Street Rat. Egli sradicò i pali di legno sui quali l’opera era stata dipinta e li conservò nel suo magazzino, in attesa di raggiungere un accordo con un museo o un’istituzione per esporla, sperando avrebbe raggiunto un ampio pubblico.

Questa storia sollevò una serie di critiche e preoccupazioni sia da parte del grande pubblico sia dal circuito interno al sistema dell’arte: cosa succede al significato di una produzione di street art quando entra nel contesto istituzionale, lo stesso che spesso mira a criticare? Si tratta ancora street art nel momento in cui l’opera non si trova piĂą sotto gli occhi dei passanti? Possono le istituzioni culturali preservare l’integritĂ  artistica e poetica di queste opere?

Nel passaggio dal contesto di creazione a quello di fruizione, l’opera d’arte passa tra le mani di intermediari, guardiani che hanno la responsabilitĂ  di preservare e trasmettere il significato originale dell’espressione artistica. Questo è vero per ogni forma d’arte, ma nel caso dell’arte di strada l’istituzionalizzazione rappresenta una contraddizione con l’essenza piĂą profonda della pratica.

Tuttavia la de-contestualizzazione non solo è favorita dalle istituzioni, ma anche parzialmente accettata dagli artisti, rappresentando una decisione pseudo-forzata: l’effimeritĂ  dell’arte di strada non è solo il risultato di una scelta artistica indipendente, ma anche del rigido regolamento a cui spesso l’amministrazione pubblica si attiene. Gli artisti si trovano dunque di fronte a una decisione complessa: compromettere il potenziale dell’opera di gridare un messaggio, perchĂ© potrebbe essere rimossa nel breve termine; lasciare che le istituzioni se ne approprino avendo, spesso, scarse competenze per curare questa forma d’arte; oppure collaborare con le istituzioni per rendere il contesto coerente, per quanto possibile, con le loro intenzioni originali.

Nel discutere il contesto di fruizione dell’opera d’arte bisognerebbe anche considerare la differenza tra l’azione involontaria del vedere e quella intenzionale di guardare. Così come gallerie e musei non sono spazi neutrali, neanche il contesto della strada lo è, permettendo a chiunque di vedere, ma senza garantire che nessuno guardi. Questa considerazione non vuole mettere in discussione le caratteristiche dell’arte di strada come pratica. Al contrario, mira a suggerire che, mentre le persone in strada possono essere impegnate in una conversazione, camminare di fretta o distrarsi con il telefono, il pubblico nei musei o nelle mostre sta certamente vedendo, e forse anche guardando e mettendo in discussione l’opera d’arte. Le istituzioni hanno così l’opportunitĂ  di favorire il dibattito sui significati che gli artisti, di strada o no, intendono comunicare.

Il contesto istituzionale offre quindi, oltre alla maggiore visibilitĂ  e la possibilitĂ  agli artisti di strada di durare nella memoria, di sfuggire alla rigiditĂ  della pubblica amministrazione e di incontrare un pubblico che si impegna a discutere le loro opere. Per preservare l’integritĂ  del significato, gli artisti, siccome molti ancora in vita, dovrebbero essere coinvolti maggiormente nella curatela, avvalendosi ancora una volta della loro libertĂ  di espressione, ora all’interno delle istituzioni: sarebbe a dire coinvolgerli nel processo di ri-contestualizzazione dell’opera d’arte e di beneficiare della loro partecipazione attiva nel processo di creazione del valore.

Che sia questo il compromesso raggiunto nel 2018, da Sotheby’s e l’autodistruttiva Girl with a Balloon di Banksy?