Il piacere e la vergogna di mentire ne “La Vita Bugiarda degli Adulti” di Elena Ferrante

Il piacere e la vergogna di mentire ne “La Vita Bugiarda degli Adulti” di Elena Ferrante

Il piacere e la vergogna di mentire ne “La Vita Bugiarda degli Adulti” di Elena Ferrante

Ero ormai quasi convinto di non scrivere nulla in merito a “La vita bugiarda degli adulti” di Elena Ferrante. Ne ero ormai convinto ripetendomi: «Non posso in tutta sincerità parlar male di qualcosa di bello». Ne ero tanto convinto che finito il libro lo appoggiai nell’angolo più remoto della libreria nella speranza di dimenticarmene.

Ma questo è uno di quei libri che non si dimenticano, e non vale nemmeno la pena sforzarsi di farlo. Perché la Ferrante è maestra di narrativa e ogni pagina scorre veloce fino a quella successiva in un vortice complicato che, nel giro di poco tempo, ti porta inevitabilmente alla sua chiusura. Una chiusura, per altro, che tanto chiusura non lo è stata. All’ultima pagina ho continuato a sfogliare il libro convinto di trovarne delle altre.

Non volevo parlar male di questo romanzo ma devo ahimè farlo, perché questo è un libro pieno di menzogne, che cerca prima di tutto di ingannare il lettore. Alert spoiler, ci riesce: ma se un libro ha come obiettivo parlare del mondo bugiardo degli adulti, non si può che constatare come di fatto il libro riesca a fare il suo lavoro, e a farlo anche bene.

La storia parla di Giovanna – o Giannina – e il pretesto che sta alla base del tutto è funzionale: «Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta». Attenzione però, perché questo incipit è nientemeno che la prima bugia del romanzo. Veniamo a sapere infatti che il padre disse: «Sta facendo la faccia di Vittoria». Vittoria è la zia di Giovanna. Certo, malvoluta dalla famiglia, sorella a cui Andrea non parla da decenni, povera e rappresentante di un mondo da lasciarsi alle spalle, quello della Napoli che sopravvive tra quartieri malfamati e, forse, luoghi comuni. Vittoria è per Giovanna una figura misteriosa, una zia mai vista e associata a bruttezza e follia da quando era piccola. Nasce da qui il desiderio della ragazza di conoscerla e, pian piano, di entrare a far parte del suo mondo.

Questo libro ci schernisce mentendoci, e lo fa dandoci il punto di vista di una ragazza adolescente, che fatica a comprendere le bugie nelle quali vivono tutti gli adulti della sua vita. Questo libro mente dal momento che la protagonista comincia a rendersi conto delle bugie che la circondano e che fanno parte della vita degli adulti. Di conseguenza, inizia a mentire anche a noi lettori.

Lo fa dal primo momento all’ultimo, lo fa dalla bugia che dona vita al romanzo e continua a farlo affabulandoci mendacemente pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo. Lo fa perché è la stessa Giovanna a farlo man mano che entra nel mondo degli adulti. Lo fa perché ogni personaggio sotto sotto non ce la racconta giusta, fingendo nelle frasi e nei comportamenti; e noi lo sappiamo. Noi adulti. Ogni dannatissima volta.

Quindi di questo libro non posso che parlarne male. Anche perché, probabilmente non sono (o non mi sento) il lettore tipo di questo romanzo. È un romanzo di formazione; di crescita e supporto e racconta le emozioni proprie del diventare adulti piano piano. Di fatto un romanzo che racconta e si chiude proprio in quello che può definirsi il passaggio alla vita degli adulti.

No, questo non è un libro per me, mi ha mentito dall’inizio alla fine, e quindi de “La Vita bugiarda degli Adulti” non solo posso ma devo parlarne male. Perché…

Perché sotto sotto provo piacere a mentirvi anche io.

Anche se questo libro forse non lo lascerò nell’angolo più remoto della mia libreria, ho capito che fa parte della vita bugiarda degli adulti anche il piacere di parlarvi male di qualcosa di bello.

​di Christian Abbate

Perchè leggere L’Uomo Immaginario è un’esperienza da non lasciarsi sfuggire nella vita

Perchè leggere L’Uomo Immaginario è un’esperienza da non lasciarsi sfuggire nella vita

Perchè leggere L’Uomo Immaginario è un’esperienza da non lasciarsi sfuggire nella vita

Leggere L’uomo Immaginario di Al Ewing è un’esperienza che ognuno dovrebbe fare. Perché sì, L’Uomo immaginario è prima di tutto un’esperienza. Un’esperienza magnifica…

…e per questa esperienza bisogna ringraziare la casa editrice 451, tanto quanto Valerio Stivè, perché ci hanno portato un gioiello di rara bellezza. Ma i ringraziamenti più grandi li voglio fare ad Al Ewing stesso per questo suo esordio nel mondo della narrativa. Per quelli che non conoscono l’autore, Al Ewing è un autore di Comics, famoso per i suoi lavori in Marvel (Guardians of the Galaxy per citarne uno) e sceneggiatore.

La storia parla di Niles Golan, un qualunque scrittore di medio successo, che si muove all’interno di un mondo nel quale la clonazione è stata sì impedita dai vari comitati etici, ma dove, a seguito di cavilli legali e falle nel sistema, le fabbriche cinematografiche ne hanno preso il controllo.

Diventa normale in questo mondo avere diverse versioni di Sherlock Holmes, per esempio, che passeggiano per le strade della città degli angeli. Ma cosa succede a questi cloni (immaginari nel libro) quando la macchina di soldi che il mondo del cinema comporta si interrompe per loro? Quando la saga non viene più seguita, e il loro posto nel mondo viene meno?

Il romanzo, raccontando le avventure di Niles, si muove in un mondo in cui finzione e realtà si confondono. Ti instilla man mano un dubbio, che sia la percezione di ciò che vivi a rendere il mondo reale. Nel frattempo che in te si attanaglia questo dubbio, al protagonista viene affidato un compito ironicamente vitale: rielaborare un film trash degli anni ’60 e portare in vita il suo immaginario.

Conosceremo meglio Niles pagina dopo pagina, lo vedremo compiere un viaggio prima mentale ed emotivo, poi fisico, per capire e accettare una verità: «siamo dei tipi a posto, tutto sommato». Per carità, restiamo tutti stronzi sotto sotto, ma spesso ci creiamo dei demoni che non vale la pena sopportare, e che se non affrontati potrebbero corroderti o, anche peggio, fuoriuscire.

A smuovere la trama dalle prime pagine è il compito che viene affidato a Niles: reinterpretare un vecchio film anni ’60 (un Austin Powers per intenderci) per creare la nuova saga cinematografica che porterà soldi, e presentare il soggetto in pochi giorni così da cominciare la creazione del clone/protagonista.

Snocciolare la trama e la creazione di quel film insieme a Niles, mentre nel frattempo Los Angeles mette in mostra tutte le pecche dello Star System e ne eleva le problematiche a questioni esistenziali, è decisamente un esperienza che ognuno dovrebbe fare.

P.S. Non posso non riportarvi la magnifica autobiografia di Al: «Al Ewing è un personaggio immaginario – In una commedia, scrive e porta a termine un ambizioso romanzo metanarrativo intitolato L’uomo Immaginario; tuttavia, il tentativo finale di sfoggiare uno slancio di sagacia nello spazio riservato alla biografia lo porta, attraverso una serie di bizzarre coincidenze e disavventure, a finire sperduto nelle terre selvagge dell’Alaska, inseguito da un orso. L’autore ha espresso il desiderio di umiliare ulteriormente il personaggio in opere successive».

di Christian Abbate