Nabucodonosor: dall’hybris di chi si crede Dio a un canto melanconico

Nabucodonosor: dall’hybris di chi si crede Dio a un canto melanconico

Nabucodonosor: dall’hybris di chi si crede Dio a un canto melanconico

La straordinaria opera verdiana nel Nabucco vede protagonista il re di Babilonia, inserito nell’intricato gioco del potere, della religione e della speranza

Nabucodonosor, sovrano di Babilonia, è protagonista della celeberrima opera verdiana: Nabucco.

Ebbene, tale capolavoro, che decretò il successo del compositore di Busseto, fu realizzato su libretto di Temistocle Solera ed esordì con grande plauso il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala di Milano.

Così dichiarato, è giunto il momento di addentrarsi in tali fitte trame, tessute tra la sete di potere e la religione.

Ed ecco Nabucco, re di Babilonia, trionfante conquistatore di Gerusalemme. Nemmeno la cattura della figlia Fenena da parte di Zaccaria, il Gran Pontefice gerosolimitano, ne hanno arrestato l’impeto.

Ma Ismaele, nipote del re di Gerusalemme Sedecia, libera la principessa babilonese, poiché innamorato di lei. Dal canto suo, Fenena, si converte all’ebraismo e fa ritorno in patria.

E, nel frattempo, la sorella di Fenena, Abigaille, morbosamente invaghita di Ismaele, scopre di essere la figlia illegittima di Nabucodonosor. Non solo: essa viene a conoscenza della morte in guerra del sovrano babilonese e ne approfitta per salire al trono.

Pertanto, Fenena, decide di unirsi agli ebrei, sconvolta dalla notizia della morte del padre e della proclamazione illegittima di Abigaille.

A un tratto, la crudele regina irrompe sulla scena, cercando di sottrarre la corona a Fenena, quando sopraggiunge inaspettato Nabucco.

Così, egli riprende il potere e ripudia sia il Dio dei Babilonesi, che ha indotto gli astanti al tradimento, sia quello degli Ebrei, da cui sono stati a suo dire indeboliti.

Dunque, la temibile hybris di classica memoria si impossessa di lui, che si paragona a un dio. Quindi il Non son più re, son Dio, pronunciato da Nabucco in un impeto di delirio di onnipotenza, scatena un fulmine che lo getta a terra.

Abigaille riprende la corona, fa rinchiudere suo padre e condanna a morte Fenena e tutto il popolo ebraico.

E gli archi respirano dapprima sommessamente. Poi un flauto serpeggia nel silenzio e sembra quasi avvelenare il respiro degli archi che si uniscono alle percussioni, in un crescendo.

Fonte immagine.

Sulle sponde dell’Eufrate, gli ebrei ripensano alla loro patria lontana, intonando un canto celeberrimo: il Va’ pensiero.

Tuttavia, Nabucco rinsavisce e riprende il trono, liberando Fenana e gli ebrei, e si converte al giudaismo. Abigaille, si toglie la vita avvelenandosi.

Ecco: uno scacchiere costruito su equilibri precari e delicati. Gli archetipi femminili contrapposti, la complessità del meraviglioso personaggio di Abigaille, tra i ruoli canori più ardui da interpretare.

Così la genialità di Verdi si esprime in tutta la propria potenza, unendo i pericolosi effetti della tracotanza di un re alla forza salvifica dell’unione e del perdono.

E nella cornice del Bel Paese allora nel mirino degli austriaci, attenti a qualsivoglia atto di propaganda, risulta commovente osservare il grido degli ebrei, simbolo degli italiani a quel tempo: l’unica certezza erano le speranze.

Ma, dopotutto, nessuno può fermare un’idea, poiché il pensiero vola su ali dorate!

Fonte immagine in evidenza.

 

 

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Figaro, servus callidus protagonista de “Il Barbiere di Siviglia”

Figaro, servus callidus protagonista de “Il Barbiere di Siviglia”

Figaro, servus callidus protagonista de “Il Barbiere di Siviglia”

Dal genio di Beaumarchais nasce, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, la trama dell’opera lirica rossiniana per eccellenza: “Il Barbiere di Siviglia”. Figaro, factotum della città, ottiene tutto ciò che vuole grazie alla propria astuzia esilarante. 

Figaro qua, Figaro là, Figaro su, Figaro giù”.

E che si abbia in mente la scena di apertura di Mrs. Doubtfire o si sia comodamente seduti in panciolle su una elegante poltrona di velluto a teatro, poco importa.
Ciò che conta è che chiunque ha sapientemente canticchiato tale motivetto!

Ma chi è questo Figaro? Ebbene, egli altri non è che il protagonista de Il Barbiere di Siviglia, opera buffa di Gioachino Rossini in due atti, con libretto di Cesare Sterbini.

L’opera, data dal genio di Pierre Beaumarchais nel 1775, viene commissionata a Rossini da Francesco Sforza Cesarini, impresario teatrale. Così, la prima andò in scena il 20 febbraio 1816 al Teatro di Torre Argentina di Roma, in occasione del carnevale.

Tuttavia, il titolo dell’opera non era originariamente quello noto oggigiorno, bensì Almaviva, o sia L’inutile precauzione, per rispetto nei confronti de Il Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello del 1782.

Purtroppo, la sera della prima, la pièce non fu accolta favorevolmente: nel pubblico si trovavano infatti molti sostenitori del maestro Paisiello, che agognavano al fallimento dell’opera del giovane compositore. Ma Figaro non si arrende!

Fortunatamente durante la rappresentazione successiva il lavoro di Rossini fu acclamato trionfalmente. Ben presto Il Barbiere di Siviglia rossiniano oscurò la precedente versione di Paisiello.

Ma è il momento di puntare i riflettori alla ribalta. Figaro non può attendere ancora!
Ecco Siviglia, di notte. In una piazza compaiono dei musicisti che, quatti quatti, attendono un uomo.

E, così, giunge il Conte d’Almaviva che organizza una serenata per la sua dolce bella, ma…la fanciulla non si affaccia!
Il tapino non ha più speranze
di riconquistare l’amata, fino a quando Figaro fa la propria comparsa sulla scena.

Pertanto, è doveroso spostare l’attenzione verso quest’ultimo, protagonista indiscusso dell’opera.

Fonte immagine. 

E Figaro, barbiere, apre la propria bottega ed è in questo esatto momento che l’orchestra di ogni teatro del mondo genera la magia di uno dei componimenti più famosi di tutti i tempi: La cavatina di Figaro.

Infatti, compare alla ribalta un uomo avvolto da un’aura che trasuda pura energia. Figaro è a tutti gli effetti il servus callidus di classica memoria: un uomo del popolo che, grazie alla propria astuzia, riesce a ottenere tutto ciò che vuole.

E ciò che più sbalordisce è la grande critica sociale che soggiace tra i pentagrammi e tra le parole di tale opera sia letteraria, sia musicale. Il testo di Beaumarchais, infatti, venne scritto all’alba della Rivoluzione francese.

Quindi l’iter de Il Barbiere di Siviglia, figlio di un periodo di incredibile cambiamento ideologico, porta alla ribalta quel meraviglioso sgretolarsi progressivo di una nobiltà derisa, tra i lazzi e gli sghignazzi dei servitori e degli astanti.

Fonte immagine in evidenza.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Robin e Wagner, due marinai alla ricerca della sazietà

Robin e Wagner, due marinai alla ricerca della sazietà

Robin e Wagner, due marinai alla ricerca della sazietà

Il viaggio che l’uomo intraprende a vele spiegate per soddisfare ogni desiderio è rispecchiato dall’avventura vissuta da Robin e Wagner nella pièce che li vede protagonisti

Due marinai disperati in mezzo alla tempesta. La nave è in balia delle onde.
L’angoscia è un liquido denso e viscoso che nasce dalla mente, scende e arriva allo stomaco. Lo strazia, lo affoga.

Così, non resta altro da fare che stringere un patto con il diavolo. Il sangue sigilla l’accordo.

E i due si avventurano per il mondo, avuta salva la vita, nella speranza di saziare la titanica fame che li rende schiavi.

Ebbene, è dunque doveroso presentare i due protagonisti. I loro nomi sono Robin e Wagner. Le interpreti sono Ilaria e Silvia Gattafoni, ballerine professioniste che hanno accolto questa fantastica avventura intitolata proprio “Robin e Wagner”, spettacolo prodotto dalla Compagnia della Marca (direzione artistica di Roberto Rossetti e con Fabio Tartuferi in qualità di produttore esecutivo).

Il regista, Giacomo Gamba, ha costruito la pièce sul testo de “La tragica storia del Dottor Faust” di Christopher Marlowe. Robin e Wagner sostituiscono Faust, in una rocambolesca ricerca. La ricerca della sazietà, la ricerca perenne dell’essere umano.

Pertanto, in una full immersion di circa un mese, le interpreti si sono nutrite di quelle meravigliose parole, unite a un intenso lavoro di improvvisazione.

E le due ballerine si cimentano in un viaggio emozionante pieno di sfide, che le ha condotte a esplorare caratteri con sfumature differenti dalla propria indole.

Nonostante ciò, Robin e Wagner sono stati magistralmente personificati.

Dunque, il primo, alias Ilaria, è il grottesco mozzo con la voce simile al garrito di un pappagallo. Divertente e astuto, è spinto dalla viscerale fame che lo attanaglia.

Sebbene possa apparire come una creatura buffa e animalesca, Robin dimostra un grande cuore.

Infatti, riversa il proprio amore verso Chomo, il mocio che porta sempre con sé. Non esita a difenderlo, a tratti possessivamente, e cerca in ogni modo di farlo divertire.

Ma se Robin è il ventre, Wagner, alias Silvia, è la mente. È un personaggio intellettuale, o presunto tale, che con una voce bassa ma con picchi di follia, considera Robin come suo subalterno.

E Silvia, ispiratasi alle movenze tipiche della giraffa, dà vita a un carattere complesso, dalle mille sfaccettature.

Quindi, divorato dalla brama di onnipotenza, esaspera ed esplora ogni genere drammatico: a tratti tragico, a tratti melodrammatico, a tratti quasi comico.

Fonte immagine.

I due personaggi sono specchi della società. Mossi dalla fame, reale e ideologica, squadernano sul palcoscenico i loro piccoli e grandi egoismi.

Nondimeno portano in auge anche la grandezza insita nell’umano.

Inoltre, i loro aspetti androgini permettono a ogni spettatore di immedesimarsi nelle anime alla ribalta. Si osservano i dissidi interiori, il desiderio che spinge ognuno a cercare quel Qualcosa.

Ma cosa?

Forse qualcuno già lo sa, forse qualcun altro brancola nel buio.

Insomma, come questo stesso spettacolo è in costante evoluzione, così ognuno continua a cercare, come Robin o Wagner, oppure come entrambi.

E l’augurio è seguire le orme dei due personaggi. Chiunque aneli a quel Qualcosa vada avanti, sperimenti, come Wagner, ogni registro che la vita offre. Digrigni i denti come Robin, e apra il proprio cuore all’ignoto.

Così, la tempesta, per quanto forte, può essere affrontata da chi, nonostante tutto, accoglie ogni sfaccettatura di sé, spiegando le vele al vento.

Fonte immagine in evidenza.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

“La contea nella nebbia”, un docufilm che narra la storia di un piccolo mondo

“La contea nella nebbia”, un docufilm che narra la storia di un piccolo mondo

“La contea nella nebbia”, un docufilm che narra la storia di un piccolo mondo

Le vicende di Barco di Orzinuovi, in provincia di Brescia, sono descritte dai racconti degli ormai pochi abitanti nel docufilm “La contea nella nebbia”. La ricchezza di questo tesoro immerso nella foschia non deve essere dimenticata.

Una contea nella nebbia.
Si procede per la strada principale, avvolti nella foschia invernale.

Ecco il cartello di benvenuto che indica il nome del luogo incantato: Barco di Orzinuovi. Ci si trova, infatti, in una piccola frazione di un comune della Bassa Bresciana.

Così, appena varcata la soglia, si entra in uno scrigno che il tempo ha ovattato. Si avanza piano. Dalla sinistra provengono muggiti, dalla destra i rumori della vita contadina.

E, procedendo ancora, si svolta a destra, entrando nel cuore di Barco. Un cuore caldo, immerso nel silenzio della campagna bresciana. Un cuore che pulsa di ricordi, di storia.

Ebbene, è proprio da questo cuore che nasce la volontà di raccontare.

Perciò, Mario Bonetti e Giovanni Zanotti, abitanti di Orzinuovi molto legati al piccolo borgo, concretizzano questo desiderio. Ma non sono soli nella loro impresa.

Infatti, Marco Brognoli, meglio noto come Marco “Pigna”, e Nicola Fratelli li affiancano in qualità rispettivamente di executive producer e di operatore, nonché curatore della campagna pubblicitaria.

Ed ecco come questa avventura a ritroso nel tempo ha avuto inizio.

Nel 2021 Mario, Giovanni, Nicola e Marco realizzano una serie di interviste ad alcuni barcensi, mossi dalla volontà di conservare barlumi di storia e di ricordi.

Da novembre 2021 a febbraio 2022, si sono quindi svolte le riprese delle interviste e, come Mario stesso afferma, tutto si è allineato in modo incredibile.

Così una casualità ha causalmente creato i fili per tessere una meravigliosa trama.

Dunque, queste storie piantano un seme non pronosticato: dai filmati nasce un docufilm, intitolato “La contea nella nebbia”.

E…tutto è pronto.

Il centro culturale Aldo Moro di Orzinuovi, comune di cui Barco è frazione, veste i panni di sala cinematografica. Il docufilm viene proiettato dall’8 al 15 dicembre 2022.

Quindi ha inizio il susseguirsi di memorie, di racconti che abbracciano il piccolo paese.

Ed ecco chi racconta di alberi della cuccagna e di risate d’infanzia. Chi descrive il duro lavoro nei campi. Chi, per proteggere i preziosi affreschi di una chiesetta, fronteggia dei ladri.

Inoltre, una sezione è dedicata al pittore Giacomo Bergomi, nato il 31 dicembre 1923 proprio a Barco. Una delle persone intervistate, Tonino Zana, mostra alcune opere di Bergomi conservate in casa propria.

Ebbene, il pittore ha rappresentato la vita contadina in tutte le sue sfaccettature, anche dall’altra parte del mondo. Ma nelle sue pennellate corpose e dense si respira, tra i pigmenti, il ricordo delle immagini di Barco, le immagini che il pittore ha nel proprio cuore

Fonte Immagine.

Ancora, si ha la descrizione magnifica degli affreschi del castello di Barco.

Così, continuano i racconti commossi dei coniugi Ascanio e Mariateresa Quaranta. Abitanti di un’ala del maniero, mostrano come le proprie vite siano da sempre state intrecciate a quel luogo magico.

In particolare, in una delle sale del castello, sono conservate rappresentazioni pittoriche che fungevano da decorazione della “camera degli sposi”. Lo stemma presente nella stanza indica l’unione tra le nobili famiglie Colleoni e Martinengo.

E le vicende legate all’arte proseguono, vedendo come protagonisti gli affreschi della piccola chiesa all’ingresso del paese. Realizzati forse dal Romanino, hanno attirato dei ladri, ma il proprietario dell’azienda agricola accanto al luogo sacro ha impedito il misfatto.

Inoltre, lo stesso Giuseppe Ferrari, l’eroe degli affreschi, con il fratello Antonio racconta episodi legati alla propria gioventù, trascorsa a Barco. Aneddoti che riguardano altri compaesani si susseguono tra momenti comici e altri agrodolci.

In seguito si ha la testimonianza di Don Antonio Lanzoni, parroco di Barco dal 1998 al 2013. Il sacerdote narra commosso la storia degli affreschi e di altre vicende storiche legate al paese.

E i ricordi della scuola, raccontati da Clara Monfredini. Le avventure del bidello Romeo e della moglie, scherzosamente soprannominata la “Romea”.

Ecco il ritratto di un piccolo mondo di un mondo piccolo, un mondo che non deve essere dimenticato. Il futuro, per essere solido, deve avere radici forti.

Pertanto, questa fiaba continuerà a crescere, e a raccontare di un passato che ha colpito gli spettatori, facendo ridere e piangere il loro cuore.

Fonte immagine in evidenza.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Samuel Beckett, l’assurda condizione umana alla ribalta

Samuel Beckett, l’assurda condizione umana alla ribalta

Samuel Beckett, l’assurda condizione umana alla ribalta

Il genio di Samuel Beckett ha manifestato sul palcoscenico l’immobilità tragica dell’essere umano, divenendo colonna portante del “Teatro dell’assurdo”

Samuel Barclay Beckett ha portato alla ribalta l’assurdo.

Nato a Dublino il 13 aprile 1906, si distinse ben presto nell’universo culturale del secondo dopoguerra, sia come drammaturgo, sia come traduttore, scrittore e sceneggiatore.

Così, una volta terminati gli studi presso il Trinity College di Dublino, divenne lettore d’inglese alla Scuola normale superiore di Parigi.

A seguito dell’incontro con James Joyce, ritornò al Trinity college in qualità di lettore di francese.

Ma, come definire una così grande “assurdità” nata dal suo genio?

Ebbene, tutto ha inizio dalla condizione dell’uomo che, tra gli anni Quaranta e Sessanta del secolo scorso, si trova in una situazione di totale assurdità.

Infatti, il muto grido straziante lanciato durante il Secondo Conflitto Mondiale, si trasforma in un riso frivolo, figlio del benessere.

Così, l’uomo è alienato, in preda all’angoscia e alla solitudine. In questo modo, dunque, si perde ogni possibilità di comunicazione.

Quindi il linguaggio e la realtà quotidiana sono distorti, straziati e ricostruiti in un crescente nonsense.

E anche Beckett, per l’appunto, abbraccia tale stile, divenendone una colonna portante.

Pertanto, i personaggi e i mondi generati dalla sua penna, vivono in mondi dalla realtà capovolta. I loro discorsi altro non sono che accozzaglie di luoghi comuni, frasi fatte e motti clowneschi.

Certamente l’opera più famosa di Beckett è “Aspettando Godot”, del 1952. In essa si esaspera il concetto dell’attesa tout court.

I protagonisti, Vladimiro ed Estragone, sono due clochard e lo spettatore li osserva presso un desolato albero quasi senza foglie. I due attendono un certo Godot.

Sulla ribalta si avvicendano altri personaggi strampalati. Pozzo, e il servitore muto Lucky. E ancora un giovane che, alla fine del primo atto, annuncia che Godot sarebbe arrivato il giorno seguente.

L’attesa frustrata continua anche nel secondo atto. Vladimiro ed Estragone annunciano più volte, così come al termine della pièce, la volontà di andarsene. Tuttavia, nulla accade.

Così i due rimangono immobili, sempre nel medesimo luogo.

Pertanto, Beckett, tramite l’opera, mostra la mancanza di evoluzione e di mobilità dell’uomo contemporaneo. Il linguaggio non è più, quindi, depositario della realizzazione della volontà e svanisce il legame tra la parola e l’azione.

Fonte immagine.

Quindi, l’essere umano vive in una dimensione priva di senso, scandita dal muto scorrere del tempo.

Tale modalità di rappresentazione viene definitivamente battezzata come “Teatro dell’assurdo” dal critico Martin Esslin, in un saggio del 1961, intitolato “The Theatre of the Absurd”.

Inoltre, Beckett è sì consacrato dalla pièce, ma la sua carriera è costellata di opere di varia natura.

Malone muore”, “L’innominabile”, “Testi per nulla”, e altri capolavori realizzati negli anni Cinquanta danno lustro al suo genio.

Così, grazie al proprio talento, il drammaturgo irlandese fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1969.

Ebbene, nella produzione beckettiana si osserva una totale paralisi spirituale, in cui ogni itinerario psicologico e ogni desiderio è frustrato da una tragica consapevolezza.

E tale dimensione si evince anche dalla lapide in granito in cui giace Beckett stesso, scomparso il 22 dicembre 1989, estremamente grigia, muta.

L’immobilità dilaga e l’angoscia divora, inesorabile, ogni barlume di speranza.

Fonte immagine in evidenza.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.