L’Allegria di Naufragi: la forza sacrale della parola

L’Allegria di Naufragi: la forza sacrale della parola

L’Allegria di naufragi: la forza sacrale della parola

Una delle opere più importanti del primo Novecento celebra la forza della parola. E ancora oggi, il suo richiamo, sembra essere più forte

Nel 1916 venne pubblicato a Udine una piccola raccolta di poesia – con il titolo Il Porto Sepolto – di un autore esordiente: Giuseppe Ungaretti. Si tratta del nucleo di poesie che costituirà L’Allegria di Naufragi la più nota raccolta, pubblicata qualche anno più tardi, nel 1931. Ai lettori del tempo apparve straordinaria – come appare ancora oggi a noi – la veste con cui si presenta l’opera. Infatti, L’Allegria è un diario intimo di un uomo che ha combattuto la Prima guerra mondiale e che vuole offrire un resoconto poetico dell’esperienza bellica appena trascorsa.

L’origine e la gestazione dell’Allegria è stata commentata da Ungaretti in più occasione. Il tentativo è quello di restituire al lettore un’immagine di una parte breve della propria esperienza di vita, ma intensamente drammatica: “Questo vecchio libro è un diario. […]. Egli si è maturato uomo in mezzo ad avvenimenti straordinari ai quali non è stato mai estraneo”. Per Ungaretti (ma è un dubbio che interessa tanti intellettuali, nda.) si può descrivere e raccontare quella straordinarietà che è stata la guerra? Si può parlare dello straordinario con l’ordinarietà della parola e della poesia? Si può affrontare la tragica esperienza bellica oppure bisogna rimanere in un rispettoso silenzio? In fondo, la poesia di Ungaretti è una vera risposta al male e alla sofferenza. L’Allegria di Naufragi testimonia che c’è una parola. Che davanti a ciò che annulla l’uomo – e la guerra ne è l’esempio massimo – si può trovare uno spazio di vita, uno spazio in cui aggrapparsi.

Ma per capire meglio, analizziamo la struttura. L’Allegria è composta da una serie di sezioni. Alcune poesie sono ambientate a Milano, prima della partenza per la guerra, e altre a Parigi, al ritorno a casa. Le sezioni centrali raccontano gli anni della guerra. L’autore, sopra ogni poesia, richiama sistematicamente l’hic et nunc, il qui ed ora, sia con la data, sia che con la denominazione di luoghi veri e propri.

Certo, l’idea di una continuità tra vita e poesia è da abbandonare: nessun lettore potrebbe pensare di conoscere Ungaretti leggendo Il Porto Sepolto, L’Allegria o Vita d’un uomo e nemmeno potrebbe sostenere che il diario sia totalmente aderente alla realtà biografica e storica in cui si colloca Ungaretti. Infatti, la forma del diario è un metodo geniale dal punto di vista letterario per tentare di tenere unite queste due dimensioni: l’esperienza biografica e la l’ispirazione poetica. Ma c’è di più.

Ungaretti commenta con queste parole la scelta del diario: “Era un modo di fare almeno idealmente ciò che mi era impossibile nella realtà. Ritenevo allora che lo scrivere fosse il segno d’un impotenza e che racchiudesse il desiderio di una potenza che uomini fatti finalmente liberi e fraterni e sopra ogni cosa pensosi d’essere civili, avrebbero ottenuto con la loro buona volontà”. In sostanza, Ungaretti con la sue poesia fissa e vive un momento in cui è possibile ri-organizzare la vita e la complessità della materia umana. L’uomo, nel suo vivere e nel suo essere nel mondo, è racchiuso da un desiderio di organicità e di senso. Ungaretti non si pone mai come qualcuno che ha raggiunto una conoscenza stabile, oggettiva sulla vita. Ungaretti non insegna niente. Racconta. Racconta la sua vita e di come, in rari momenti, sia stato in grado di amarla, attraversando le grandi sofferenza che lo hanno accompagnato. La vita non sempre mostra un senso in modo chiaro e lineare. Non si può trovare una logica, una linearità. La sfida è provare ad amare se stessi e ciò che si vive, anche il tragico della morte, che attraversa la vita di Ungaretti in tutta la sua forza.

 

Così Ungaretti, con il suo diario, vuole rompere la distanza tra autore e lettore. E vuole accoglierci nella sua intimità. Il diario è lo spazio intimo per eccellenza in cui si è messi a nudo e si racconta davvero tutto. E il diario racconta una vita. La sua. L’Allegria di Naufragi altro non è che un momento in cui si può alzare lo sguardo dalle brutture e dalla distruzione. I naufragi non vanno eliminati, taciuti o negati, ci dice Ungaretti, ma vanno accettati come parte di quell’allegria e gioia di vivere. La sua esperienza può essere l’esperienza di tutti.

 

Così L’Allegria è la celebrazione di un piccolo trionfo. Quello di una parola che non si arrende, che cerca di tenere insieme i momenti più bui della vita per celebrare un momento di salvezza.

 

 

Tra sogno e realismo: la storia dei Fabelmans

Tra sogno e realismo: la storia dei Fabelmans

Tra sogno e realismo: la storia dei Fabelmans

Attraverso la storia di Sammy e della sua famiglia, possiamo leggere una confessione d’amore al cinema e all’arte…

Il film “The fabelmans” è il primo e più personale racconto filmico di Steven Spielberg, una “lettera d’amore” alla sua famiglia e – soprattutto – al cinema, che racconta le vicende del piccolo Sammy e della sua famiglia, i Fabelmans. Il grande regista americano ci consegna un racconto spigliato, allegro e serio sul cinema, e più in generale sull’arte, che incrocia la dimensione autobiografica e familiare senza però perdere quella profondità nel racconto dei caratteri dei personaggi.

L’amore per il cinema. Questo è il fulcro e il cuore della trama stessa. Non a caso, infatti, il film si apre proprio con il cinema: Sammy, che ha 6 anni, sta per andare a vedere il suo primo film, accompagnato da mamma e papà. Il momento per lui si presenta come una grande sfida che richiede un enorme coraggio: nella sua infantile ingenuità ha paura delle proiezioni gigantesche sullo schermo che rendono un film come un sogno e per Sam “i sogni fanno paura”.

Il padre cerca di convincere il piccolo Sammy descrivendo le caratteristiche tecniche che rendono straordinaria la cinepresa, mentre Mitzi gli ricorda quando i film siano dei veri e propri sogni, indimenticabili e imperdibili. In questa prima scena si può cogliere il punto centrale di tutto il racconto, che ritornerà in tutto il film e che, soprattutto, caratterizza il rapporto tra i genitori, Burt e Mitzi Fabelmans: la strada per l’arte comporta sempre una divisione e segna in maniera indelebile l’esistenza, indipendentemente dalla scelta di percorrerla o meno.

 

 

I due genitori nel corso del film sono sempre più distanti, anche a causa del loro diverso temperamento. Mitzi, la madre, una casalinga ed ex pianista che ha dovuto rinunciare alla sua arte per sposare Burt e per seguirlo nelle diverse destinazione previste dal suo lavoro. Questa scelta, però, la resa profondamente insoddisfatta, non essendo riuscita a seguire quel sogno. Al contrario, Burt è un genio della tecnologia e informatica, uomo buono e gentile, ma spesso incapace – forse proprio per questa diversità – di stare vicino a Mitzi, in particolare per le sue sempre più grandi difficoltà ad accettare la sua posizione.

E in questo senso, Sammy, nel corso della sua crescita, vive una divisione tra il realismo paterno, che non capisce l’arte e i desideri del figlio, e vede per lui un altro futuro, e la visionarietà artistica della madre, che lo accompagna e lo inizia al cinema.
Inoltre, nel corso degli anni che seguono la crescita di Sam, oltre ai genitori, molto importante è poi Loewy, migliore amico e collega di lavoro di Burt, lo “zio” dei Fabelmans, che accompagna la famiglia nelle vacanze, gite e trasferimenti.

Sammy e i suoi genitori vanno a vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille, ma all’uscita Sam è spaventato dalla nota scena del deragliamento del treno e – per questo – cerca di replicare più volte, a casa, con un trenino giocattolo, la scena vista al cinema. Sammy prova ad esorcizzare il grande spavento che quella ha lasciato in lui. Solo la madre, però, capisce che per Sam può essere una soluzione riprendere solo una volta la scena con la piccola cinepresa del papà. Così, Sam comprende la forza della rappresentazione cineasta e riesce, finalmente, a non aver più paura. In questa prima scena è racchiuso tutto il significato del film: per Sammy si apre il mondo del cinema, del sogno artistico come forma di comprensione della realtà, di avvicinamento e approfondimento alla stessa. Sammy riconosce, fin da questo piccolo cortometraggio, che nel cinema non c’è qualcosa di artefatto o costruito, ma un modo per raccontare qualcosa, per far trovare una via privilegiata a quell’esigenza di esprimere davvero sé stessi.

Reclutando figuranti tra i compagni di scuola e gli amici, gira i primi cortometraggi, dai western a un film sulla Seconda guerra mondiale (un omaggio a Salvate il soldato Ryan?, ndr.) fino a un piccolo lavoro richiesto dal padre su una gita di familiare. Nel montare il cortometraggio, Sam scopre che la madre ha un rapporto molto profondo e sentimentale con lo zio Loewy, e che, al contrario, con il padre si frappone spesso una distanza inconciliabile.

È difficile non riconoscere una posizione di primo piano alla madre di Sam: nel corso del racconto, dopo i numerosi spostamenti di città in città, è sempre più infelice, subendo una drammatica involuzione e decidendo di rompere il matrimonio con Bart. Grazie alla grande interpretazione di Michelle Williams, Mitzi si staglia sulla scena come un grande personaggio drammatico, profondamente combattuto e attraversato dal conflitto mai risolto tra il sogno artistico, vivere per la musica, e la famiglia.

In realtà, in più momenti nel corso del film, e, soprattutto, nei passaggi più difficili della sua vita, vediamo che Mitzi trova rifugio nel pianoforte, ma ormai quel sogno si è ormai ridotto a semplice e accomodante hobby. La musica diventa momento di protezione, di fuga e di chiusura verso il mondo esterno, di esasperazione della propria dimensione emotiva, senza che riesca davvero a comunicare qualcosa agli altri o a portare a maturazione la sua vita o a un qualche forma di miglioramento.

L’arte nel sogno di Sam, che piano piano viene realizzandosi, è diventa sempre più una vocazione personale e totalizzante, proponendosi anzitutto come momento di condivisione ed espressione. È attraverso il cinema che Sam supera la paura degli incidenti ed è attraverso il cinema che Sam scopre la realtà; la vede in maniera più limpida e chiara ed è attraverso il cinema che riesce a mostrare un’immagine degli altri che in qualche modo agli occhi appare offuscata, non chiara.

Mitzi ha un ruolo centrale, proprio perché rappresenta una possibilità d’esistenza davanti agli occhi di Sam: come gli ricorda lo zio, se non seguirà la sua vocazione artistica, sarà condannato al dolore. Sam riconosce nella madre se stesso, sa che è condannato da quel sentore dentro di sé e che, come il destino, non può che scegliere quel sogno e seguirlo.

Sicuramente, un elemento di forza del film è nella grande coesione interna tra i vari filoni narrativi. La storia di Sam e dell’incontro del cinema non scade in forme intimistiche o autocelebrative proprio perché è costantemente riflesso e sfumato dall’approfondimento dei rapporti all’interno della famiglia Fabelmans e nella capacità di Spielberg di indagare i caratteri dei personaggi.

di Simone Mazza