House of Gucci: una tragicomica lotta al potere

House of Gucci è il nuovo film di Ridley Scott uscito nelle sale italiane il 16 dicembre. Tanto atteso per il cast d’eccezione e la promessa di svelare i retroscena della casa Gucci, si è rivelato un prodotto cinematografico complessivamente deludente, ma vediamo perché.

 

Ridley Scott decide di raccontare la seconda e terza generazione dei Gucci, famiglia la cui ascesa ha inizio nel 1921, quando Guccio Gucci fonda un’azienda di pelletteria a Firenze, nucleo originario della casa di moda Gucci. Fino agli anni Settanta sono Aldo e Rodolfo Gucci a detenere le redini dell’azienda paterna, ma, nel 1983, la scomparsa di Rodolfo apre la strada a intrighi e conflitti familiari, veri protagonisti del film. La spartizione delle quote dell’impresa genera la tracotante contrapposizione tra due fazioni senza scrupoli: Maurizio Gucci e la nuova consorte Patrizia Reggiani da un lato (Adam Driver e Lady Gaga nel film) e Aldo e il figlio Paolo Gucci dall’altro (interpretati da Al Pacino e Jared Leto).

La lotta per il potere

La pellicola inscena una lotta per il potere darwiniana, in cui solamente i più forti e avidi possono sopravvivere allo scontro. Inizialmente, Maurizio e la scalatrice sociale Patrizia sembrano i favoriti all’acquisizione dell’intero patrimonio grazie alle numerose astuzie illegali di cui si avvalgono. Falsificano firme, pubblicano documenti scomodi che costringono Aldo a un anno e un giorno di carcere e tentano di incastrare Paolo Gucci, dichiarandolo non autorizzato a usare il marchio in una sfilata suggeritagli da loro stessi. Tuttavia, la lotta non eleggerà né vinti né vincitori, la selezione delle specie farà soccombere tutti. Chi tradito e ucciso dai più cari, chi in prigione. È così che la famiglia Gucci sarà unita solamente nell’epilogo, sotto l’insegna del fallimento e della perdita collettiva, poichè Gucci cesserà per sempre di essere un marchio a conduzione familiare.

La triade potere, famiglia, lotta, e i suoi strascichi, è tematizzata visivamente in due scene. La prima in cui nell’umile dimora di Aldo Gucci sul Lago di Como, Villa Balbiano, ha luogo un violento gioco tra gli invitati. Tutti i partecipanti si accalcano gli uni sugli altri per conquistare il pallone. La lotta sportiva, apparentemente eccessiva e grottesca come molte altre del film, non è altro che il preludio degli scompigli che si verificherrano in casa Gucci: tutti si gettano nella mischia, focalizzati solo sul fine ultimo di conquistare la vittoria, il potere, noncuranti di ferire chi sta loro attorno. Inoltre, il film si addentra nelle problematiche della gestione del potere ai suoi vertici più alti, senza soffermarsi su chi si trova ai margini della piramide, ai gradini inferiori. L’alterità di queste due realtà è circoscritta a una singola scena, quando Maurizio e Patrizia si recano per il compleanno di Aldo in una delle aziende rurali in cui si conciano le pelli Gucci. Qui gli ospiti altolocati mangiano allo sfinimento e festeggiano con una torta imponente. Intorno a loro gravitano gli umili in vesti povere, in modo da rendere una fortissima e cruda contrapposizione tra le classi sociali.

Buono e cattivo gusto

Un cast eccezionale, una griffe di fama internazionale e una tematica ricca e di interesse per un mondo capitalista come il nostro. Il film parte con i migliori presupposti per divenire un successo campione di incassi acclamato dalla critica. Eppure qualcosa è andato storto. Il problema di House of Gucci è essere un lungo, lunghissimo, lungometraggio di 2 ore e 38 minuti che dopotutto approfondisce ben poco, dimostrandosi, anzi, tanto carente di contenuti quanto straripante di cattivo gusto americano. Per esempio, il personaggio interpretato da Lady Gaga, la cui recitazione è uno dei pochi elementi in grado di garantire postura al film, è stato caricato di stereotipi. Ne risulta una Patrizia Reggiani che gesticola in maniera insistita e quasi fastidiosa, che si esprime adottando un accento che vuole scimmiottare la parlata italiana, ottenendo invece una cadenza russa (vedi qui). Anche Paolo Gucci, animato da un irriconoscibile Jared Leto, è una figura estremamente caricaturiale e grottesca, protagonista di scene comico-realistiche volgari che paiono stonare in un film che dovrebbe raccontare il drammatico declino dei Gucci. La stravaganza si trasforma poi in blasfemia quando la Reggiani riproduce il segno della croce pronunciando le parole “Father, Son and House of Gucci”.

Eppure in questo scenario tragicomico che lascia interdetti spettatori e critica trionfa, perlomeno, un godimento esteticoche sgorga dalle lussureggianti ambientazioni italiane e dai costumi eccezionali. Sfondo delle vicende sono principalmente, Milano (l’Università Statale, il Duomo, San Babila e Villa Necchi), Roma e Como, bellezze italiane che impreziosiscono la narrazione. Il marchio Gucci, invece, veste i personaggi e rende le scene vivide e attraenti. Oltretutto, lo stile sfoggiato da Patrizia Reggiani evolve di pari passo con il proprio personaggio. Più la donna diviene bramosa di potere e influente nella vita del marito e di casa Gucci, più i sontuosi gioielli e le ingombranti pellicce la ammantano di un’aura di fortezza e invincibilità.

Tra falsità storiche e cause legali

House of Gucci si presenta come un documentario tratto da fatti realmente accaduti, ma la storia della famiglia viene invece distorta in più punti. Non vengono rispettate né verità storiche più banali, come la falsa rappresentazione di Paolo Gucci come un fallito privo di gusto, né quelle più tortuose, come l’omicidio di Maurizio Gucci. L’intero film, infatti, sembra tendere naturalmente verso la scena decisiva, quella dell’uccisione di Maurizio Gucci nel marzo 1995, orchestrata dalla moglie con l’aiuto di un sicario. A rigor di cronaca, egli viene ucciso a Milano, in Via Palestro, sede di casa Gucci, nel film la scena è invece collocata a Roma. Inesattezza? Leggerezza? Sicuramente un ingenuo errore per un film che si investe del vanto di essere un documentario.

Questo, altri punti critici e il ritratto familiare di incompetenti, avidi e calcolatori che ne traspare, assicura al film un’azione legale dalla famiglia Gucci in persona. A conclusione della lettera i Gucci dichiarano “I membri della famiglia Gucci si riservano ogni iniziativa a tutela del nome, dell’immagine e della dignità loro e dei loro cari”. Uno sconcerto comprensibilissimo, ma che sta rapidamente per essere ripagato da un vertiginoso aumento del valore del marchio e delle vendite di Casa Gucci.

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!