Sa(n)remo pronti prima o poi?!

Il Festival e il linguaggio delle canzoni come critica alla divisione sociale

“[…]Che in questo giorno tu m’hai ricordata
Ma se l’amore nostro s’è perduto
Perché vuoi tormentare il nostro cuor?[…]”

Il miglior modo di esprimere il festival di Sanremo. Quella scritta qui sopra è parte della seconda strofa di Grazie dei Fior, brano vincitore, nel 1951 della prima edizione, cantato da Nilla Pizzi.

Dal 1951 ad oggi in Italia il linguaggio musicale si è evoluto, nonostante gli estremi sforzi da parte della direzione artistica per nascondere la cosa. Siamo passati da Nilla Pizzi ai Måneskin attraverso anni di Anna Oxa e Iva Zanicchi (passando anche da parentesi di cui tutti avrebbero voluto fare a meno, anche gli stessi organizzatori della gara: un saluto ai Jalisse).

Il linguaggio musicale italiano si sta evolvendo, ma questa cosa, passa dal Festival di Sanremo?

Siamo positivi, nell’ accezione più covid-free possibile, e diciamo di sì.

A tutti noi piace fare i radical-chic quando parliamo del palco più famoso della Liguria, ma oggettivamente ogni anno si riflette nei testi delle canzoni (e spesso nelle immagini che danno gli artisti di sé) uno specchio del nostro paese che, volenti o nolenti, guardiamo e, col nostro guardare, confermiamo. È per logica quindi che possiamo affiancare all’evoluzione del linguaggio musicale quello “normale”, di tutti i giorni, quello sociale, insomma.

Bene, allora, come mai con i testi, gli ospiti, i direttori artististici con le loro dichiarazioni, le vallette e i fiori però arrivano anche, sempre, le polemiche sui testi delle canzoni?

Quest’ anno uno dei più chiacchierati è quello di Achille Lauro con la sua Domenica. Ne riporto un piccolo estratto.

“[…] Città peccaminose / Donne pericolose /
L’amore è un’overdose / 150 dosi
Oh sì, sì / Fan**** è Rollin’ Stone […]
[…] Ah ah ah / Sta vita è un roller coaster,
Romanzo rosa, no piuttosto un porno / Oh […]”

Se i testi sono sottoposti a una commissione che prima di accettarli si fa garante della loro qualità ed idoneità ai parametri imposti dal Festival (censura?! .ndr) come ci ritroviamo poi, ciclicamente a scontrarci con i pensieri/ le emozioni espresse dai cantanti e dai loro autori?

Questa esperienza è indubbiamente ogni anno la più elettrizzante di Sanremo: vedere le polemiche di chi è affezionato al “vecchio ordinamento” della musica italiana legata al linguaggio aulico vs. il “nuovo che avanza” e a sua volta tenta di lasciare un segno nella cultura.

Le parole scritte nel testo di Domenica sono solamente un esempio e non le prendo per essere stigmatizzate o elogiate all’ infinito. Non per paragonare a livello di poetica Achille Lauro e Lucio Dalla (che comunque nel 1971 fu colpito dalla scure della censura proprio del Festival per il testo di “4/3/1943”), ma credo sia una grande espressione di come noi a livello di popolazione italiana siamo attualmente spaccati a metà a livello culturale e sociale fra chi vorrebbe rimanere legato alle tradizioni e non avanzare, in onore di un fastoso passato e chi ormai si sente distante dai binari culturali tracciati da altri, e chi invece vorrebbe far sentire la propria voce anche attraverso la musica e il suo linguaggio.

Gli ultimi anni, fra pandemia, lockdown, desensibilizzazione da parte dei media per il rapporto con il lutto, hanno aumentato il divario e accorciato i tempi per un sano, normale e comprovato passaggio di consegne fra il vecchio e il nuovo, è indubbio. E la selezione degli artisti presenti al Festival di Sanremo 2022 sembra proprio espressione di questa frattura che porta due emisferi a scontrarsi e va seguito con particolare attenzione per veder scontrare due modi di vivere ed intendere la cultura – musicale, ma in realtà sociale – del nostro paese.

 

Quest’anno seguirai anche tu il Festival di Sanremo? Allora ripassa qui.​