ARCHETYPE: tra artigianato, industria e simboli
ARCHETYPE: tra artigianato, industria e simboli
Installazione realizzata per AATC marmi e graniti da VGA Architects
Milano Design Week 2021 04/10 settembre, piazza del Cannone Milano
In un salone del mobile inusuale, tra mascherine e green pass, tra la speranza della ripartenza ed i timori di un futuro incerto incontriamo l’Architetto Vittorio Grassi dello studio VGA Architects che ci racconta Archetype un’imponente installazione a base quadrata di 3 x 3 x 6 m, situata in piazza del Cannone a Milano, un’installazione ricca di significati e storie che racconta di tecnologia ed artigianalità .
L’installazione, collocata all’interno di DDN HUB (DDN è un sito giornalistico che si occupa di design e architettura), è realizzata per AATC marmi e graniti (azienda veronese specializzata nell’estrazione e lavorazione di marmi ed affini) e celebra la prima partecipazione dell’azienda alla Design Week di Milano.
Prima domanda per inquadrare l’evento e il suo contesto, ci dia le sue impressioni su questo salone del mobile tra mascherine, green pass, affluenza e limitazioni, fiducia e diffidenza. Insomma, le sue impressioni dato che lo vive da entrambe le facce del progettista, da un lato autore di un’installazione dall’altro fruitore degli altri eventi.
“Dunque, affluenza chiaramente ridotta poiché a causa delle restrizioni per molti che provengono da paesi come, ad esempio, Cina e Stati Uniti era più complicato arrivare in Italia, una buona affluenza invece dai paesi del Golfo, quindi affluenza ridotta rispetto agli anni precedenti ma che lancia un buon segnale di ripartenza.
Per quanto riguarda il salone a Rho Fiera invece la densità era maggiore, ma gli spazi erano anche più piccoli, mentre in città , essendoci più eventi, si percepisce di più il calo di visitatori, ci sono parecchie persone ma il numero è sicuramente inferiore rispetto agli altri anni”.
Spostiamoci ora su Archetype, ci spiega la genesi del progetto, come si è rapportato al ruolo della materia, al tema, insomma, come ha dato forma all’installazione.
“Siamo partiti con l’idea di realizzare un’installazione più architettonica che di disegno industriale, e poi dal luogo, quando è stato deciso che l’installazione sarebbe stata collocata in piazza del Cannone, tra il Castello Sforzesco e a parco Sempione; dunque, un luogo che si prestava ad una struttura di grande impatto, forte, e quindi abbiamo pensato di portare a Milano, al fuorisalone, in pratica una cava di marmo, con tutto quanto ne consegue, ovvero, artigianalità , fatica, logistica.
In questo senso sono emerse le capacità di AATC di seguire, con grande competenza, tutte le fasi della lavorazione della materia, dalla cava alla posa, e l’installazione voleva essere anche un’espressione di questi aspetti dell’azienda, anche perché abbiamo saputo dell’installazione il 28 di giugno, quindi il tempo era veramente poco. Dunque, abbiamo deciso di prendere otto blocchi di marmo Grolla di Chiampo, una cava di Vicenza, di 1.5 m per 1.5 m per 3 m, sbozzati, cioè tagliati in cava e lavorati solamente dove ci sarebbe stata interazione con il pubblico e con i bambini.
In questo senso l’aspetto grezzo richiama l’archetipo nel senso di qualcosa di molto antico ma che è lì per una ripartenza che si lega alla ripartenza post COVID e poi ha tanti altri significati anche legati al luogo dove si trova. Oltre alla pietra sulla quale si appoggia, al calcestre dei percorsi e della piazza come rimando cromatico, ma rimanda anche all’arco della Pace, al Castello Sforzesco, anche nei simboli utilizzati, ad esempio la bocca del coccodrillo che in realtà è la bocca del biscione che guarda il biscione dello stemma degli Sforza, alla pietà Rondanini dove dalla materia, dal pieno, esce la forma. Dunque, nonostante il poco tempo e lo sforzo proferito abbiamo cercato di mantenere la potenza del comunicare la vita della cava tra industrializzazione ed artigianalità ”.
Lei prima accennava alla bocca del coccodrillo che poi è la bocca del biscione, però ci sono altri simboli che avete inserito nella composizione come, ad esempio, la fascia di specchi che taglia in due l’installazione, una scala ed altri ancora. Ce li racconta?
“Sì, dunque, sono sette elementi ricavati, il primo è lo specchio per dare l’idea in lontananza che la parte alta del blocco fosse sospesa, e questo aspetto è risultato molto evidente al momento della posa, la notte del 30 agosto, poi ovviamente il resto è stato montato nei giorni successivi, però la prima cosa posata è stata questa struttura.
Poi c’era la bocca del biscione; c’è un cannocchiale, una fenditura che attraversa tutto il blocco e guarda verso il cielo; c’è una scala al contrario che consente foto in pose “simpatiche”; una piccola porta sarà alta circa 70 cm, in basso, dove mio figlio è andato subito a giocare a calcio (ride ndr.) e si è nascosto dentro; molto interessante è quello che abbiamo chiamato “la voce della cava”, ovvero un punto dove accostando l’orecchio si sentono i rumori dei mezzi e degli strumenti che vengono utilizzati in cava, camion, gru, cicalino dei bulldozer, in somma, un po’ di soluzioni per avvicinare la struttura al pubblico.
Per esempio, c’è un punto composto da una seduta, da uno specchio e da una piccola scala, in un angolo sempre all’ombra che è stato imprevedibilmente utilizzato da moltissime persone per sedersi al fresco in questi giorni e riposarsi un attimo.”
Quindi si può dire che dal punto di vista del coinvolgimento del pubblico l’obiettivo è stato cercato, voluto e infine trovato?
“Sì, direi di sì, poi secondo me essendo nel parco, in una posizione non centrale ma comunque ben visibile per cui molte persone, magari diretti in Triennale, la trovano anche senza cercarla, notano l’installazione, alta, imponente e quindi vengono attirate, poi lo specchio è un vero e proprio magnete per foto.”
Prima lei ha accennato all’artigianalità , all’attenzione per le lavorazioni, avete dedicato quindi un’attenzione particolare ai dettagli, ovvero, capire fino a che punto lavorare la materia per ottenere l’effetto desiderato, grezzo in questo caso per essere toccato e percepito come tale, richiede comunque una riflessione e una certa attenzione verso la materia. Ci spiega un po’ questo aspetto?
“Certo, nonostante l’installazione abbia un aspetto così brutale, ha subito diverse lavorazioni, sia per il taglio che per il trasporto, soprattutto per alcuni punti particolari, sono stati resinati dei perni, i pezzi sono stati segati e poi ricomposti, però alla fine l’effetto è quello di un non finito. Però la cosa bella per me, che poi è la cosa bella del marmo, che è un materiale naturale, è che non è mai uguale a sé stesso sia nella stessa cava che tra marmi.
Nell’installazione si vede bene, in alcuni punti è tagliato lungo la vena e in altri punti contro la vena, aspetto questo che per un addetto ai lavori lo sa perfettamente, ma ad una persona non del mestiere fa sorgere delle domande tipo “ma è lo stesso marmo?” risposta “Si è lo stesso marmo, risultato della “stratificazione di milioni di anni in quel punto”e quindi ti racconta anche una storia.
Poi sono visibili, ad esempio, i segni lasciati dalle funi utilizzate per sollevare e trasportare i blocchi, quindi potrei raccontare ad un visitatore, ad esempio, la storia di quel blocco dal momento che è stato segato in cava, trascinato, sollevato e poi posato. Che poi è il fascino del marmo e della pietra, hanno dietro il racconto e la storia di persone che vanno in giro per il mondo a cercare le cave, e non si trovano mai in posti agevoli, ma sono in montagna o nelle foreste, in posti assurdi, un po’ come capita ad Indiana Jones (ride ndr).
E dunque, questi cercatori vengono in contatto con altre persone, comprano, opzionano i blocchi, li trasportano in Italia, paese leader nella lavorazione dei marmi, tanto che molti marmi provengono ad esempio dalla Cina o dalla Turchia, vengono trasportati in Italia solo per essere lavorati e poi tornano all’estero. Questo non è solo un discorso industriale e tecnologico legato ai materiali, ma c’è una grande conoscenza e sapienza, basti pensare che gli esami sui blocchi vengono fatti con gli ultrasuoni ma in alcuni casi il cavatore appoggiando l’orecchio sul blocco è in grado di capire se è un buon blocco o meno. E questa è una bellissima storia che secondo me valeva la pena di raccontare”.
a cura di Christian Vittorio Garavello