Wimbledon: Novak Djokovic e i magnifici sette! Gianni Clerici, l’articolo che non leggeremo

Wimbledon: Novak Djokovic e i magnifici sette! Gianni Clerici, l’articolo che non leggeremo

Wimbledon: Novak Djokovic e i magnifici sette! Gianni Clerici, l’articolo che non leggeremo

Qualche sorpresa all’inizio, ma alla distanza il campione serbo impone la sua classe e inanella il trionfo personale numero sette. Kyrgios diverte, Nadal si infortuna e non gioca la semifinale; Sinner prenota un futuro da top player. Nel femminile ennesimo nome nuovo, Elena Rybakina. Un ricordo del grande giornalista e scrittore comasco.

Anche quest’anno Wimbledon ha proposto una carrellata di storie umane e vicende sportive mai banali, e lo ha fatto come di consueto attraverso il filtro della sua atmosfera senza tempo, sospesa; camminando nei vialetti che costeggiano i grounds la si può avvertire al punto che non ci sembrerebbe strano incontrare Fred Perry o Bill Tilden che si rilassano passeggiando con le loro racchette di legno o seguendo le gesta dei loro epigoni. Come ogni anno si rafforza il paradosso clamoroso di una superficie ormai quasi bandita dal circuito internazionale, ma sulla quale si gioca il torneo più prestigioso e amato.

GLI UOMINI

La storia che ritorna è certo quella di Novak Djokovic, il Meraviglioso. Il serbo eguaglia Pete Sampras con sette titoli, gli ultimi quattro consecutivi. Non è stato perfetto, ha iniziato perdendo il primo set in finale e in semifinale; nei quarti ha ceduto i primi due. Partenze lente, un motore da scaldare ma che, alla giusta temperatura, macina chilometri e avversari. L’arsenale proposto è quello che ben conosciamo: ritmo, preparazione atletica, colpi da fondocampo e discese a rete improvvise e impeccabili. A questi unisce una forza mentale mostruosa, che lo porta ad essere perfetto quando lo deve essere, a vincere i punti che contano; i suoi avversari sanno bene che fino all’ultimo Nole può tornare, può raddrizzare partite che paiono finite. Anche finali Slam, contro grandi campioni. E questo incide sulle paure di chi sta al di là della rete.

Nel discorso finale ha scherzato con il bad guy Kyrgios, lo ha elogiato per poi dire “non credevo che avrei parlato così bene di te” con l’australiano a ridere come un ragazzino. Alla proposta di Nick “let’s go nuts” (andiamo fuori di testa) Novak ha risposto: “cominciamo con una cena insieme, poi vediamo… sai, c’è mia moglie che ci ascolta”.

Rafa Nadal

La storia che poteva essere è quella di una finale con Nadal. Il campione spagnolo ha di nuovo spinto il suo fisico, non più integro come una volta, oltre la soglia del dolore e della sopportazione; alla fine di una battaglia nei quarti di finale con l’americano Taylor Fritz si è arreso ad uno strappo muscolare e si è ritirato, dando via libera a Kyrgios nelle semifinali. Rafa aveva deciso di venire a Londra per inseguire il Grande Slam, pur avendo bisogno di riposo dopo Parigi. Non si è sottratto allo sforzo e ha dato il massimo, non sapendo comportarsi altrimenti, senza fare calcoli. Tutta la nostra ammirazione per lui, e la speranza di vederlo di nuovo al top per settembre.

La storia di Nick Kyrgios si è presa la scena; il ragazzo di Canberra è riuscito a mostrarci la parte migliore di sé, ovvero il suo talento infinito. Il tocco di cui dispone lo ha portato a giocare volée e demivolée dal sapore antico, pallonetti assassini e accelerazioni che lui solo sa produrre. Anche in posture poco ortodosse, il suo braccio è riuscito a compensare, inventando traiettorie vietate ai più. Ha affrontato Tsitsipas con l’intenzione di provocarne le reazioni nervose, e il greco è caduto nel tranello: Tsitsi ha cercato di colpirlo più volte con la pallina e in conferenza stampa gli ha dedicato parole velenose, che Nick ha ricambiato.

Nick Kyrgios

È fatto così, showman non di rado più interessato al basket NBA che non al tennis, senza allenatore perché “nessun coach vorrebbe lavorare con uno come me, che oggi ha voglia e domani no”.

C’è la storia del futuro radioso del nostro Jannik Sinner. Dopo aver superato Alcaraz negli ottavi, nei quarti ha vinto i primi due set con Novak, per poi cedere al ritorno del serbo. Nessuno ha messo così in difficoltà il vincitore; Jannik sta crescendo di torneo in torneo e a settembre c’è lo US Open e la Coppa Davis, entrambi sul cemento, la superficie che più gradisce. Lo aspettiamo, insieme ovviamente a Matteo Berrettini, alla ricerca di rivincite.

Jannik Sinner

LE DONNE

La scorsa settimana avevo pronosticato come prima favorita la tunisina Ons Jabeur: la talentuosa e discontinua atleta africana ha sciorinato per tutto il torneo un gioco fatto di accelerazioni e ricami in tocco d’altri tempi, ed è parsa pronta per il titolo. Ma in finale sabato ha tremato. Il vero limite della Jabeur è l’animo pauroso, tara di diversi grandi artisti; dopo aver vinto il primo set per 63 si è gradualmente bloccata, ha smesso di colpire, limitandosi spesso a spingere la pallina. Troppo poco per Elena Rybakina. La tennista kazaka, nata e residente a Mosca, ha mostrato il suo gioco solido imperniato su una prima di servizio potente e due solidi colpi di rimbalzo da fondocampo. E una buonissima corsa: con queste armi ha disinnescato gli arabeschi della libellula tunisina e si è regalata un sogno. La finale non è stata bella, occorre dirlo; troppi errori da entrambe le parti, la tensione era alta per le due giocatrici, entrambe al primo appuntamento in una finale Slam. Esultanza minima, composta. Elena la Serafica.

Elena Rybakina

LO SCRIBA

I punti nella classifica ATP non saranno l’unico premio, né il più importante che mancherà al vincitore di quest’anno. Se è vero che le gesta degli eroi viaggiano e si fanno mito attraverso le pagine dei bardi, degli aedi e dei cantori più ispirati, all’appello di questi mancherà per la prima volta dopo quasi settant’anni la vigile e arguta attenzione di Gianni Clerici, venuto a mancare all’età di 91 anni poco più di un mese fa. Clerici, alias Lo Scriba, questo almeno era il suo vezzoso auto-soprannome, è stato un giocatore di valore non eccelso negli anni Cinquanta, che si è concesso a fine carriera agonistica alla propria inclinazione naturale di maestro della narrazione, fosse la cronaca di un incontro di tennis o il romanzo che gli suggeriva la perspicace osservazione dei suoi dintorni.

La collina di Brunate accompagna la passeggiata cittadina dei comaschi a lago sul versante orientale, quello dei locali notturni à la page che si contrappone al camminamento austero del lato ovest, picchiettato di splendide residenze che culminano con Villa Olmo; dallo scorso sei di giugno la collina ha un giornalista-scrittore-tennis hall of famer in meno. Clerici si fa conoscere al grande pubblico degli appassionati di questo sport commentando per Koper Capodistria quando negli anni Ottanta la stessa entra nel gruppo Fininvest. L’emittente comincia a trasmettere in diretta i più importanti eventi sportivi mondiali, in particolare i tornei del Grande Slam, che Mamma RAI snobbava. Con Rino Tommasi ha formato una coppia irripetibile dai microfoni dagli stadi più prestigiosi.

Clerici era lo spettatore divertito; a volte pareva lì per caso, per poi all’improvviso descrivere al rallenty un gesto tecnico e atletico con precisione assoluta. Distratto da ogni movimento captato attorno al rettangolo con la rete in mezzo, contrappuntava divertito il rigore delle statistiche di Tommasi, e uno appoggiava l’altro con stima e amicizia reciproca evidente. A me in particolare Clerici ha sempre comunicato la necessità tanto della leggerezza quanto del rigore nell’affrontare lo scambio, sul campo da gioco come soprattutto fuori. Una volta ebbe a definire Wimbledon come il Vaticano di questo sport, suggerendomi implicitamente che i comandamenti di questa misteriosa religione laica che è il tennis sono “non prendersi troppo sul serio” ed in sottordine “non dimenticare a casa il sorriso”; men che mai mentre ci apprestiamo a porre sullo scaffale il romanzo di Wimbledon 2022, edizione di storie che non dimenticheremo facilmente.

Gianni Clerici

Grazie Novak Il Meraviglioso ed Elena La Serafica, per i sogni.

E grazie anche a te, Gianni Lo Scriba. Per il medesimo motivo.

​di Danilo Gori

In volo su Wimbledon con Matteo Berrettini, l’amico ritrovato

In volo su Wimbledon con Matteo Berrettini, l’amico ritrovato

In volo su Wimbledon con Matteo Berrettini, l’amico ritrovato

Pensieri liberi a pochi giorni dalla partenza del torneo più prestigioso del calendario. L’esclusione di russi e bielorussi, l’ATP che risponde togliendo ai championships i punti-classifica; gli organizzatori che alzano il montepremi. Sullo sfondo, i giocatori. Soprattutto uno, gentleman Matteo.

Matteo è stato via. Per 84 giorni. Sul cemento di Indian Wells a marzo ha dovuto ritirarsi al cospetto di Kecmanovic. Il dolore alla mano destra imponeva una decisione drastica e tempestiva, e la soluzione poteva essere solo di tipo chirurgico.

E così è stato. Una corsa contro il tempo, un sacrificio necessario quello della intera stagione sulla terra rossa, compreso l’amatissimo torneo nella sua città, quegli Internazionali D’Italia al Foro Italico che attendono un vincitore italiano dal lontano 1976, quando a trionfare fu un altro romano, Adriano Panatta. Obbiettivo: rientrare in tempo per il circuito sul verde.

Italiano atipico Matteo. Interrompe la teoria di giocatori nostrani ancorati alle logiche del polveroso tennis su mattone tritato con i suoi rimbalzi alti e le rotazioni estreme, per adattarsi come un australiano agli happening sull’erba; ai rimbalzi bassi e irregolari, sfuggenti e traditori, agli scambi più corti e alle tentazioni di scendere a rete come un volleatore d’altri tempi. Persino alle atmosfere inglesi compassate, ai siparietti per divertire la platea britishanche fuori dal Regno Unito; come se lo spettatore del gioco sui prati fosse diverso, più propenso ad una inconscia allegria generata forse dall’ambiente agreste, dallo strawberry and cream che fa molto classy picnic.

Matteo è stato via. Strano destino, il suo. A ventitré anni nel 2019 finisce la stagione nella top ten; gioca la semifinale agli US Open venendo superato solamente da Nadal, e a fine anno si qualifica per le ATP Finals. Nel girone eliminatorio vince una partita, primo italiano di sempre a riuscirci.

Matteo Berrettini a Wimbledon

Ma il 2019 è anche l’anno di Jannik Sinner; il diciottenne altoatesino vince il Next Gen, una sorta di Masters tra i migliori giovanissimi del circuito. In molti, colleghi compresi, gli pronosticano un futuro da numero uno: “in prospettiva è più forte di Berrettini”, “dominerà il circuito”. E già che ci siamo, si parla anche di Lorenzo Musetti, classe 2002, un ragazzino che gioca con il tocco magico.

Matteo, appena festeggiato per i successi raggiunti, sembra già vecchio, ed in prospettiva superato dai due prodigiosi teenager. Ma non ci fa caso, forse anche perché sa che i due hanno più talento di lui; ma sa anche che la sua voglia di arrivare è tale da colmare ogni tipo di divario tecnico, ed è sufficientemente salda da continuare a parlare al suo sogno di gloria. E tre anni dopo, oggi, a pochi giorni dall’inizio di Wimbledon, può guardare con fiducia alle sei partite che lo separano dalla finale, traguardo da lui raggiunto l’anno scorso. Chi si era dimenticato di lui è servito.

L’otto di giugno rientra a Stoccarda; gioca quattro partite e vince il torneo; perde tre set, non pochi, manca ovviamente di continuità. Ma serve 65 ace e perde il servizio solo tre volte. Nella settimana seguente al prestigioso Queen’s di Londra perde un solo set e trionfa sommerso dall’affetto dei Londoners; nel discorso del vincitore parla dell’operazione alla mano e sorride dicendo “a noi italiani piace lamentarci un po’” tra le risate del pubblico che ama the italians purchè gli vengano raccontati attraverso i cliché più triti e rassicuranti. Poi fa i complimenti per la carriera a Sue Barker, sessantaseienne ex giocatrice e giornalista alla BBC prossima alla pensione. “Such a nice guy”, dirà poi la signora.

Wimbledon

Romano come Nicola Pietrangeli e come Adriano Panatta, i due più forti connazionali. Ma senza l’atteggiamento spavaldo e mattacchione del primo, e la simpatia e la verve polemica del secondo. Senza il loro braccio d’oro forse, ma con una dedizione maggiore al sacrificio.

Tecnicamente il suo feeling con l’erba si spiega con il suo ottimo rovescio slice, ossia portato con movimento dall’alto verso il basso; in questo modo il suo colpo meno forte, il rovescio appunto, diventa un’arma in più, potendo contare sull’esecuzione tagliata, che produce un rimbalzo molto basso e mette sulla difensiva l’avversario. Sui campi erbosi picchiare forte è meno importante che non imprimere effetti che, complice la superficie, rendono il colpo difficilmente controllabile al contendente.

​IL TORNEO

Al momento in cui scriviamo sono già state sorteggiate le prime sedici teste di serie. Assente il numero uno del mondo Daniil Medvedev, gli inglesi hanno saggiamente messo come primi due favoriti Djokovic e Nadal, dividendone i percorsi fino a non prima della finale. In questo Wimbledon è già meglio di Parigi.

Come tre e quattro ci sono invece due giocatori di valore ma non amanti dell’erba: Casper Ruud e Stefanos Tsitsipas: il primo non ha mai vinto una sola partita a Londra, il secondo ha raggiunto una volta gli ottavi nel 2018, per poi raccogliere solo delusioni. Il numero cinque di Carlos Alcaraz pare un azzardo per il giovane spagnolo, di sicuro avvenire ma per cui il verde è ancora un’incognita.

Il successivo tris appare meglio equipaggiato per i prati: Felix Auger-Aliassime, Hubert Hurkacz, vincitore domenica scorsa a Halle, e infine Matteo nostro. Ritengo assurdo porre sul terzo scranno lo spaesato Ruud e all’ottavo Berrettini, per puro ossequio alla classifica generale; si comprende bene l’importanza del ranking, ma la brevità della stagione verde e le peculiarità del suo gioco potrebbero meritare graduatorie avulse, che in qualche modo premino maggiormente stato di forma del momento e risultati ottenuti on grass.

Come è noto, il triste scenario della guerra in Ucraina ha portato gli organizzatori ad escludere tennisti russi e bielorussi. L’associazione dei giocatori per rappresaglia ha tolto i punti destinati ai partecipanti, con la conseguenza che chi è andato bene l’anno scorso, ora perderà quel punteggio e non lo rimpiazzerà nemmeno vincendo. È il caso, tra gli altri, di Berrettini.

Gli organizzatori hanno deciso di alzare il montepremi, per mettersi al riparo da eventuali boicottaggi per solidarietà da parte di altri giocatori: dai 35 milioni complessivi del 2021 si passa ai 40 del 2022, due milioni a testa per i vincitori dei singolari. Roba da ricchissimi.

A prescindere dai soldi, noi guarderemmo il tennis di Church Road anche senza montepremi, spalti e raccattapalle, che è poi il torneo delle prime edizioni centocinquanta anni fa, quando partecipavano solo inglesi vestiti come dei dandy nel pieno dei loro pomeriggi ricreativi.

Altri tempi, stesso fascino. Signore e signori, Wimbledon.

di Danilo Gori

Atp Montecarlo: il principe è ancora Stefanos Tsitsipas

Atp Montecarlo: il principe è ancora Stefanos Tsitsipas

Atp Montecarlo: il principe è ancora Stefanos Tsitsipas

Il 23enne greco bissa il successo dello scorso anno. Male Djokovic

Il primo torneo Master 1000 sulla terra rossa europea vede iscrivere nel proprio Albo d’Oro la firma di Stefanos Tsitsipas; il ventitreenne greco riesce così a bissare il titolo dello scorso anno, quando trionfò nella asettica cornice del campo centrale del Country Club, con le tribune vuote per le restrizioni dovute alla pandemia.

Ambiente fortunatamente diverso per l’edizione 2022, con gli spalti del centrale dedicato a Ranieri III Grimaldi traboccanti di pubblico, pronto a rendere il dovuto omaggio al campione ellenico.

IL VINCITORE. Tsitsipas ha proposto il suo miglior tennis, confermando una naturale predisposizione per le superfici lente; tecnicamente questo si spiega con il suo gioco classico, con il rovescio giocato a una mano sola (è l’unico top ten che non lo esegue a due mani!) ed i colpi portati con una preparazione ampia; il rimbalzo alto della pallina gli concede infatti più tempo per ottenere il massimo dell’efficacia dal suo gioco. La statura superiore al metro e novanta e una preparazione atletica di primissimo ordine gli consentono anche di difendere la rete con risultati eccellenti.

In finale ha superato lo spagnolo Alejandro Davidovich-Fokina, avversario eliminato anche l’anno scorso nei quarti. Quest’ultimo si è aperto la strada con il suo robusto dritto e con doti di corsa notevoli; ha probabilmente tremato quando si è trattato di vincere in due set la semifinale ed ha dovuto compiere gli straordinari nel terzo, ma ha comunque chiuso con autorità.

Nell’incontro decisivo Tsitsipas ha imposto la sua maggior classe nel primo parziale, vinto 63; nel successivo la seconda palla di servizio del greco ha perso di efficacia e l’iberico ha portato la sfida al tie-break, che Stefanos si è aggiudicato agevolmente per 7 punti a 3.

Il greco compie il capolavoro nei quarti di finale contro l’argentino Diego Sebastian Schwartzman, giocatore brevilineo e dotato di eccelso gioco di gambe. Il campione in carica vince abbastanza facilmente il primo set, ma subisce il ritorno del “peque”, che si aggiudica la seconda frazione al tie-break e si porta sul 4 a 0 in quella decisiva. Partita chiusa? Nemmeno per sogno; Tsitsipas, che terminerà il match appoggiato alla rete a riprendere fiato per stringere la mano al gaucho col nome teutonico, mette in fila sei giochi e nel penultimo punto scende a rete e si tuffa sulla sua destra per intercettare un passante mortifero dell’avversario. Ne esce una volée smorzata di rovescio degna del miglior Boris Becker, che l’audience presente saluta con un boato.

RIENTRI E ASSENZE. Il torneo ha salutato il ritorno all’attività per Novak Djokovic. Il serbo numero uno del mondo era stato escluso a gennaio dal torneo di Melbourne per la sua volontà di non vaccinarsi contro il Covid-19, e da allora aveva disputato solo il torneo di Dubai, che non prevedeva obblighi sanitari. A Montecarlo ha perso al primo turno denunciando limiti di tenuta atletica, cedendo comunque al finalista della manifestazione; c’è da scommettere che presto lo rivedremo al massimo della forma, magari proprio a Roma in maggio.

L’entry list monegasca denunciava alcune assenze importanti: oltre a Roger Federer, che si è recentemente dichiarato fiducioso in merito ad un suo rientro in autunno dopo gli interventi al ginocchio, anche Daniil Medvedev (ernia) e Rafa Nadal (frattura da stress a una costola) hanno marcato visita.

PROTAGONISTI E ITALIANI. Detto di Djokovic, il secondo favorito del torneo Alexander Zverev si è issato fino ai quarti di finale perdendo solo un set, ma la battaglia contro il nostro Jannik Sinner ne aveva segnato il fisico, ed il giorno seguente ha ceduto nella semifinale in due set a Tsitsipas.

 

Il match più bello ed emozionante ex-aequo con Tsitsipas-Schwartzman, sperando non ci faccia velo un minimo di amor di patria, è stato infatti la sfida tra Jannik Sinner e Zverev; l’altoatesino, in difficoltà per problemi di vesciche, ha tenuto il campo in maniera ammirevole. In tre ore e sette minuti di gioco l’italiano vince il primo set rimontando da una situazione di 4 a 1 per il tedesco; mulinando il suo dritto come un ossesso porta a casa la frazione per 7 a 5. Nel secondo set Zverev rompe l’equilibrio al settimo gioco e pareggia il conto. Nella frazione decisiva più volte Zverev strappa il servizio a Jannik, ma il nostro portacolori ribatte colpo su colpo, forzando la conclusione della partita al tie-break. Sul 4 a 3 in suo favore ed il servizio in mano però un suo diritto d’attacco finisce in rete e consente il pareggio al tedesco, che poco dopo chiude grazie ad un rovescio sempre in rete di Sinner.

Grande e sfortunata prova per Jannik, che però conferma i miglioramenti e in generale le speranze che il movimento italiano ripone in lui.

Bene anche un altro italiano, il ventenne Lorenzo Musetti. Con il suo tennis ricco di talento e di variazioni di ritmo il giovanissimo toscano ha superato due turni; tra le sue vittime la testa di serie numero sei il canadese Felix Auger-Aliassime.  Negli ottavi si è arreso dopo tre set ad un infaticabile Schwartzman. Poco male: se continuerà a crescere tecnicamente e verrà amministrato con giudizio nella scelta degli impegni agonistici, saprà darci soddisfazioni.

Male invece il veterano Fabio Fognini; ha pescato al match d’esordio niente di meno che il futuro vincitore della competizione ed è stato annichilito: 63 60.

La stagione sul rosso prosegue ora con l’ATP 500 di Barcellona, che mentre scriviamo ha già dato il via agli incontri di primo turno; il favorito è proprio Tsitsipas. Nella settimana successiva avremo il secondo Master 1000 della stagione, Il “Mutua Madrilena”, con un parterre de roi di altissimo livello.

 

di Danilo Gori