Joan Mirò: quando arte e suggestione si fondono

Joan Mirò: quando arte e suggestione si fondono

Joan Mirò: quando arte e suggestione si fondono

Automatismo psichico, inconscio e surreali atmosfere, su questi poli si dispiega la produzione artistica di Joan Mirò, esponente di spicco dell’arte avanguardista primonovecentesca. 

Nasce a Barcellona nel 1893 Joan Mirò, poliedrico artista primonovecentesco. A comporre l’immaginario figurativo di Mirò, è una varietà di esperienze artistiche che spazia dalle primitive pitture rupestri, alle opere africane, dall’avanguardia surrealista di cui si fece esponente, allo schematismo di André Breton, l’espressionismo di Munch e il cubismo di Pablo Picasso. Un’arte permeata di spiritualismo, dove le forme che aleggiano sulla tela danno vita a eclettiche ma armoniche composizioni.
Le vicende biografiche dell’artista narrano di contatti con le principali correnti d’arte e cultura europee in epoca di avanguardia: Fauves, Dada, automatismo psichico trascritto in pittura e surrealismo. Correnti in radicale rottura alla precedente tradizione naturalista che segnano il pieno ingresso nei moduli iconografici novecenteschi, caratterizzati da scandaglio nel profondo della psiche, dirompenza nella rappresentazione, visioni allucinate e paesaggi surreali.

Così nel Carnevale di Arlecchino, tela realizzata 1924, si dispiegano tutti i colori dei paesaggi della Catalogna. Al centro della tela una figura bislacca porta una maschera; figure ibride che fondono fattezze animali e antropomorfe si distribuiscono sulla tela insieme a oggetti che solo parzialmente appartengono al nostro reale: ruote, clessidre, pagine sparse, un gatto, un dado, una scala. Le figure dai contorni morbidi sembrano danzare sul suono di una musica percepibile con lo sguardo nei variegati movimenti assunti dagli oggetti che permeano la composizione e dalle note musicali distribuite sulla scena. Sullo sfondo una finestra dalla quale si intravede un triangolo nero, probabilmente si tratta della Tour Eiffel. La figura umana dalla maschera bicolore raffigura Arlecchino, personaggio teatrale sfortunato in amore, esso riporta sul ventre un foro che potrebbe alludere alla difficile condizione economica in cui si trovava l’artista allora. L’esperienza biografica di Mirò si fonde alle origini catalane e al terreno culturale occidentale. Nella scena il mondo è plasmato dalla psiche dell’artista che lo osserva: il gatto, animale a lui caro, la Tour Eiffel, una sfera che ricorda un mappamondo e una scala a pioli, ricorrente comparsa nelle sue raffigurazioni.

Mirò non fu tuttavia solo un pittore, dal 1944 si dedica infatti alla realizzazione di sculture in ceramica. Fu autore di due murales in ceramica per la sede Unesco di Parigi sui quali si distribuiscono con morbide linee, forme astratte e colori marcati che spaziano dal rosso intenso al nero. La sperimentazione artistica di Mirò comprese negli ultimi anni anche la realizzazione di sculture in bronzo e in altri materiali di scarto.
Quella di Mirò fu una linea artistica che lo distinse per ecletticità e sperimentazione: opera un tipo di scomposizione cubista capace di creare innaturali mosaici dai colori netti, aderisce all’avanguardia surrealista con figure carnevalesce, scene allucinanti, significati metaforici e allusivi che si distribuiscono sulla tela. E così Arlecchino si fa autoritratto dell’artista, spavaldo padrone di casa disposto a lasciare la festa da lui stesso organizzata che si svolge alle sue spalle. Stilizzazione e simbolismo come cifre significative della produzione artistica di Mirò, che lascia con il suo patrimonio di opere il segno indelebile di un’arte che con il Ventesimo secolo ha mutato di segno, si è fatta allusiva, misteriosa, non descrittiva ma simbolica, un’arte che chiede allo spettatore il coglimento di reconditi e profondi significati. Un’arte contemporanea.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.