Passione italiana: quando l’espresso diventa arte

Passione italiana: quando l’espresso diventa arte

Passione italiana: quando l’espresso diventa arte

La mostra a Copenaghen che celebra il caffè, per raccontare l’evoluzione del design intorno a uno dei simboli dell’Italia più amati nel mondo. Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen, dal 7 marzo al 31 marzo 2023

Per la prima volta la passione tutta italiana dell’espresso è al centro di un’esposizione che spiega come si sono evoluti nel tempo il design e la tecnologia degli oggetti per il caffè. 

45 fra macchine per uso domestico e da bar, set e tazzine da caffè sono in mostra a Passione italiana: l’arte dell’espresso all’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen dal 7 al 31 marzo in occasione dell’Italian Design Day, indetto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Si tratta di pezzi storici, alcuni introvabili ed esemplari unici, selezionati dalla curatrice Elisabetta Pisu perché rappresentano i cambiamenti nel tempo della produzione e del consumo, e permettono di comprendere quanto sia accresciuta nell’immaginario collettivo la rilevanza sociale di un gesto che oggi il mondo lega inscindibilmente al lifestyle e ai riti del nostro quotidiano. 

Gli oggetti esposti permettono di tracciare un percorso storico nell’arco degli ultimi due secoli fra caffettiere nate dalla matita di grandi designer e che sono diventate vere icone di un’epoca e pezzi più recenti frutto di innovazioni tecnologiche che ne hanno radicalmente trasformato i processi produttivi e innalzato gli standard qualitativi. Un viaggio nel tempo, quello proposto a Copenaghen, che racconta di una ricerca incessante per migliorare la tecnologia, l’ergonomia degli oggetti e il consumo di una delle bevande più popolari e maggiormente consumate nel mondo.

«Innovazione, creatività  e design –spiega la curatrice Elisabetta Pisu–  hanno accompagnato l’evoluzione di macchine da bar, caffettiere e servizi da tavola nel corso di questi due secoli, identificando il caffè espresso come rito sociale e culturale, simbolo di italianità e del made in Italy. Attraverso questi oggetti compiamo un viaggio nel tempo che ci consente di capire come sono cambiati le abitudini, i gesti e, insieme a questi, la rilevanza, il portato emotivo legati al caffè.» 

L’esposizione, due secoli di design e innovazione

I 45 oggetti in mostra portano le firme di alcuni fra i maggiori artisti e maestri del design nostrano e internazionale e fra i più rilevanti brand del made in Italy, capolavori dell’iconografia progettuale che hanno segnato un’epoca, esito di una rilettura approfondita di forme e funzioni.

Si va così da Oggetto Banale: Caffettiera di Alessandro Mendini per la Biennale di Venezia del 1980 all’interpretazione creativa e fuori dai canoni di una moka da parte di Gaetano Pesce con la Vesuvio.

Fino ad arrivare alle realizzazioni che segnano l’incontro fra architettura e design con Aldo Rossi, che trasformava il set per il caffè in una piazza e con La Conica e La Cupola faceva della moka domestica una cattedrale, oppure le Torri del servizio disegnato da Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli. E ancora: le caffettiere domestiche disegnate da Richard Sapper, la Pulcina di Michele De Lucchi per Alessi, la Caffettiera Napoletana 90018 e il Prototipo di latta di Riccardo Dalisi e la serie di tazzine illy Art Collection, decorate da artisti contemporanei del calibro di Michelangelo Pistoletto.

Numerosi i pezzi introvabili in esposizione, come la prima moka, prodotta da Bialetti, brevettata nel 1933 a Omegna da Alfonso Bialetti, che oggi rappresenta il simbolo del caffè italiano nel mondo.

Un’evoluzione che va di pari passo con una ricerca tecnologica approfondita, soprattutto quando si arriva alle macchine professionali, con la presenza di modelli di marchi storici della produzione da bar come GaggiaFaemaLa Cimbali e macchine da caffè espresso domestiche dotate di sistemi innovativi, come A modo mio, prodotta da Lavazza, che si collega con Alexa.

 

Short bio Elisabetta Pisu, curatrice

Elisabetta Pisu è una curatrice di design con una formazione in sociologia e in management culturale. Il suo ambito di ricerca è il design contemporaneo in relazione ai processi produttivi, alle valenze sociali e all’evoluzione dei nuovi linguaggi espressivi. Oggetti, ambienti e architetture sono al centro dei suoi interessi di studio, protesi a indagare il ruolo mutevole del design nella società contemporanea. Nel 2016 fonda EP studio che si occupa di ideazione, organizzazione e curatela di mostre internazionali di design con particolare attenzione alla diffusione e promozione del made in Italy. Ha collaborato con importanti istituzioni culturali e curato mostre in prestigiosi musei, tra i quali: Craft + Design Centre a Canberra (Australia), Design Museum Gent (Belgio), Cube Design Museum (Olanda), Design Museum Holon (Israele), Museum of Craft and Design (San Francisco, USA), MODA – Museum of Design Atlanta (Atlanta, USA), L. A. Mayer Museum for Islamic Art (Israele), COD – Center for Openness and Dialogue (Albania). 

OGGETTI IN ESPOSIZIONE

 

Caffettiere, macchine per caffè espresso e servizi da caffè

    • Caffettiera espresso Moka, Alfonso Bialetti, 1933-1955 – Collezione Enrico Maltoni 
    • Caffettiera espresso 9090, Richard Sapper, 1979, Alessi 
    • Caffettiera espresso Accademia, Ettore Sottsass, 1980, Lagostina – Collezione Enrico Maltoni 
    • Tea & Coffee Piazza Servizio da tè e caffè, Aldo Rossi, 1983; (Progetto: 1979; Prototipi: 1980-1983), Alessi 
    • Oggetto Banale: Caffettiera, Alessandro Mendini. Progetto con Paola Navone, Daniela Puppa, Franco Raggi, 1980-1994 – Archivio Alessandro Mendini 
    • Caffettiera espresso La conica, Aldo Rossi, 1984, Alessi 
    • Caffettiera espresso Carmencita Serie Oro, Marco Zanuso, 1985-86, Lavazza
    • Caffettiera espresso La cupola, Aldo Rossi, 1988, Alessi  
    • Caffettiera Napoletana 90018 e Prototipo di latta, Riccardo Dalisi, 1987 – 2018, Alessi 
    • Zuccheriera 90024, Aldo Rossi, 1989 – 2022, Alessi 
    • Caffettiera espresso Opera, Cini Boeri, 1989, La Pavoni – Collezione Enrico Maltoni 
    • Caffettiera espresso Ergonomica, Angelo Mangiarotti, 1990, Mepra – Collezione Enrico Maltoni 
    • Tazza da caffè ARDT, Aldo Rossi, 1991-2022, Alessi 
    • Caffettiera espresso Vesuvio, Gaetano Pesce, 1992, Zani & Zani – Collezione Enrico Maltoni 
    • Caffettiera espresso L’Ottagonale e Modellino del Teatro del Mondo, Aldo Rossi, 1993 -1994, Alessi 
    • Caffettiera espresso Mach, Isao Hosoe, 1993, Serafino Zani
    • Macchina per caffè espresso Cobán, Richard Sapper, 1997-2003, Alessi  
  • Tazzine da caffè illy Art Collection, 2002-2022, illycaffè
  • Tazzine da caffè Mediterraneo, Marta Laudani e Marco Romanelli, 2002, Driade
  • Tea & Coffee Towers Servizio da tè e caffè, Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli, 2003, Alessi
  • Caffettiera espresso Pina, Piero Lissoni, 2006-2016, Alessi  
  • Caffettiera espresso Ossidiana, Mario Trimarchi, 2014, Alessi 
  • Caffettiera espresso Pulcina, Michele De Lucchi, 2015, Alessi
  • Caffettiera espresso Lunika 360, Francesco Fusillo, 2015, Fi.MA
  • Collar Coffee set, Daniel Debiasi & Federico Sandri, 2016, Stelton
  • Caffettiera espresso Lady Anne, Laura Caffi, 2017, KnIndustrie 
  • Macchina per caffè espresso X1 Anniversary, Luca Trazzi, 2016, illycaffè
  • Tazzine da caffè Lume, Federica Biasi, 2020, Nespresso
  • Macchina per caffè espresso A Modo Mio Voicy, 2022, Lavazza 

 

Macchine da bar

  • Modello Mignonette, Eterna, Pavia, 1925. Modello restaurato – Collezione MUMAC 
  • Serie Brillante, La Cimbali, Milano, 1952. Modello restaurato – Collezione MUMAC
  • Modello America, Gaggia, Milano, 1958. Modello restaurato – Collezione MUMAC
  • Modello E-61, Faema, Milano, 1961. Modello restaurato – Collezione MUMAC 

 

La barbajada: storia della bevanda milanese dimenticata

La barbajada: storia della bevanda milanese dimenticata

La barbajada: storia della bevanda milanese dimenticata

Milano non è solo la patria della cotolètta e dello sbagliato, Milano è anche una misteriosa bevanda dimenticata: la barbajada. Cos’è? Da dove arriva? Ma soprattutto… che fine ha fatto?

La barbajada è una bevanda che nasce a Milano, molto in voga nella prima metà dell’Ottocento, che accompagnava la degustazione di diversi dolci. Si beveva sia calda, in inverno, che fredda, nella stagione più calda, e le grandi dame e i signori di un tempo di incontravano nelle caffetterie proprio per sorseggiare questa bevanda lanciata da un impresario teatro locale, Domenico Barbaja.

Domenico Barbaja fu un giovane cameriere in una caffetteria meneghina, ma in età più matura divenne uno degli uomini più potenti dell’Europa ottocentesca grazie a un eccezionale talento musicale e un’ineguagliata capacità imprenditoriale. Non a caso, Barbaja diresse diversi grandi teatri milanesi come il Teatro alla Scala, il San Carlo e il Teatro di Cannobiana (oggi teatro Lirico). Fu lui a fondare il Caffè dei Virtuosi, un bar che si ubicava proprio accanto alla Scala per intrattenere i frequentatori del teatro, e proprio in memoria delle sue umili origini di cameriere creò una bevanda golosa e irresistibile: la barbajada, preparata con un mix di cioccolata, latte e caffè in parti uguali a cui si aggiungeva dello zucchero e che veniva mescolata fino a schiumare.

Un vero e proprio “rito delle cinque”, al Caffè dei virtuosi ci si incontrava per discutere di affari generali, società, cultura e politica degustando una bibita nuovissima, accompagnata da biscotti e dolci di ogni tipo. Un peccato di gola dal sapore borghese, ma non solo: negli anni in cui i Savoia, a causa delle invasioni napoleoniche, dovettero rifugiarsi a Cagliari tra il 1807 e il 1814, Francesco d’Austria-Este futuro Duca di Modena annota nella sua Descrizione della Sardegna che il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I si alzava ogni giorno alle sette e faceva una colazione “che consiste sempre in barbaja, ossia caffè e cioccolata insieme”.

Per il milanese, la barbajada era comune fino agli anni Trenta del secolo scorso, poi è andata pian piano a scomparire perché il procedimento con il quale si realizza è impegnativo e lungo. Negli anni Cinquanta si poteva trovare solo in pochi bar amanti della tradizione, ma piano piano anche questi locali hanno smesso di produrla fino a causare la sparizione della bevanda negli anni Settanta. L’avvento delle macchinette del caffè e della cioccolata ha reso sempre più obsoleto dover preparare una bevanda mescolando ingredienti a mano, le troppe preparazioni necessarie per la preparazione di una singola tazza hanno fatto sì che questa tradizione si perdesse nel corso della storia.

Sebbene sia difficile degustarla nei locali meneghini, la barbajada rappresenta un simbolo non troppo conosciuto della storia della città di Milano e per questo è stata insignita del titolo De.Co., un riconoscimento dato dal Comune di Milano ai prodotti gastronomici legati alla tradizione della città, alla sua identità e al potere di comunicarla in tutto il mondo (esatto, lo hanno ricevuto anche il panettone e il risotto). Un titolo che la barbajada ha ricevuto soltanto nell’aprile 2008 per sottolineare la sua territorialità.

Oggi è piuttosto difficile trovare un luogo dove poter bere la barbajada seduti davanti a una bella fetta di torta, quei pochi locali che la servivano nei primi anni Duemila hanno recentemente cessato l’attività e questo ha messo in seria difficoltà i cittadini desiderosi di ripercorrere questa tappa della storia milanese. Eppure, cercando con attenzione, abbiamo trovato un paio di esercizi commerciali che propongono la barbajada: prima fra tutti la pasticceria Vergani (Corso di Porta Romana), che la propone per la colazione con una fetta di panettone, ma anche la Torrefazione Hodeidah (via Piero della Francesca), una bottega storica milanese fondata nel 1946. Da non dimenticare nemmeno Pavè (quattro diversi locali, quattro diverse declinazioni di Pavè a Milano), un posto felice che, oltre alle delizie di caffetteria, propone moltissime goloserie provenienti dal loro laboratorio, dalle deliziose brioche per la colazione alle birrette per l’aperitivo. È, al momento, uno degli unici posti a Milano dove poter gustare la barbajada come si faceva una volta. Provare per credere.

di Gaia Rossetti