Ritter, Dene e Voss: un’amara commedia di una tragica famiglia
Ritter, Dene e Voss: un’amara commedia di una tragica famiglia
Il Teatro Sociale di Brescia ha accolto l’opera che porta sulla scena le dinamiche relazionali dei tre fratelli Worringer
Una commedia dalle parole libere, scritta senza punteggiatura. Quasi uno spartito musicale, colmo di termini ripetuti. Un testo costruito come se fosse in versi, non legati. L’attore è il vero protagonista: è più “personaggio del personaggio”. Il titolo dell’opera, infatti, deriva dai cognomi dei tre attori che per primi impersonarono i fratelli Worringer nel 1986: Ilse Ritter, Kirsten Dene e Gert Voss.
Il drammaturgo austriaco Thomas Bernhard scrive la commedia nel 1984. Qualcosa però è cambiato nello stile. I testi precedenti dell’autore sono di tutt’altra natura, ma questo no: è una commedia amara.
Il dramma è accolto dal caldo ventre del Teatro Sociale di Brescia. Dall’8 al 13 giugno Ludovica Modugno, Gianluca Ferrato, Franca Penone si sono lasciati trasportare dal turbine delle parole di Bernhard, che ha assunto le delicate sfumature date dalla regista Elena Sbardella. Il mosaico è completo grazie alla sapiente cura del suono di Gianluca Misiti. Le musiche sono date dai pensieri dei personaggi, ripetuti. Le voci dei pensieri metalliche e pungenti. Come lame arrivano all’orecchio del pubblico, ancora macchiate dal sangue di chi le ha pensate.
I pensieri lacerano, come le parole mal poste.
Tre fratelli, rampolli del ricco industriale Worringer, si riuniscono nella sala da pranzo di casa propria. Se si osservasse la storia dall’esterno sarebbe perfetta: un filosofo e due sedicenti attrici di teatro, ricchi, senza pensieri.
Poi lo scrigno si scoperchia, come un vaso di Pandora, e in quel momento il diamante va in frantumi. La felicità non è mai entrata in quella stanza, nemmeno si è sognata di dare uno sguardo a quella dimora signorile.
Per descrivere le due sorelle è funzionale avvalersi di un paragone musicale. Eccole: la sorella minore come una viola dai toni ora gravi, ora allegri, in modo impazzito, quasi incarnasse il volo di un’ape malinconica, ma allegra, apparentemente. La maggiore è un violoncello arreso e stanco, che lascia intravvedere la sofferenza del passato, cicatrizzata sul legno scuro che le fa da abito.
Il fratello, Ludwig, preferisce la permanenza in manicomio al trascorrere l’estate con le due. Lui è un clarinetto dal pensiero che vibra, in continuazione. Oscilla sempre tra lo scherno e la commiserazione, in una melodia patetica e a tratti straziante. È affascinante osservare come la sua figura sia ispirata a Ludwig Wittgenstein, uno tra i maggiori filosofi tra il XIX e il XX secolo.
I tre fratelli sono cresciuti in un ambiente anaffettivo, privo di dialogo. L’attenzione dei defunti genitori, come emerge dal racconto, è tutta proiettata all’unico maschio. Venerato infatti come un filosofo di immensa grandezza, annienta le figure delle sorelle sin dall’infanzia. Cresciute quindi come satelliti del fratello, le due si affannano come eterne Eco attorno a Narciso.
In continuazione le donne annientano se stesse per servire il fratello, prostrandosi dinnanzi a lui, in modo diverso, ma sempre comicamente straziante.
Nella conferenza stampa pre-spettacolo di Brescia, è stato chiesto agli attori se si fossero appigliati a un personaggio interpretato in passato, per avere un punto di riferimento in un così complesso testo.
Con grande dolcezza e passione hanno risposto che la regista li ha invitati a spogliarsi di qualsiasi costruzione, andare all’osso del testo, così da poter far proprio il tutto. All’osso poi si sono aggiunte fibre. Fasci muscolari. Il corpo e l’anima poi erano completi. Non restava che farsi trasportare dal turbine meraviglioso che è il rapimento del teatro.
Ora più che mai risuona quella parola: “rapimento”. Dopo il silenzio tagliato da mille pezzi di vetro, dopo il dolore, dopo la frustrazione ecco un piccolo, umile, timido spiraglio di luce.
La parola è arma e armonia. È così semplice andare verso l’altro, tendere le braccia, ma troppo spesso non lo si fa. La parola è armonia e arma.
Arma del non detto che porta alla tragedia, come accade per le povere parole mute dei fratelli Worringer.
Maria Baronchelli
Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.