In Italia ci sono sempre più moto: +35% di immatricolazioni a novembre

In Italia ci sono sempre più moto: +35% di immatricolazioni a novembre

In Italia ci sono sempre più moto: +35% di immatricolazioni a novembre

Dopo il solido +26% dello scorso mese, il mercato delle due ruote a motore non arresta la sua crescita anche in novembre

Le immatricolazioni mensili di ciclomotori, scooter e moto fanno infatti segnare un altro aumento a doppia cifra e volano a +35% sullo stesso periodo dell’anno scorso. Nel comunicato diffuso in serata da Confindustria ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori), il presidente dall’associazione dei costruttori Paolo Magri ha ribadito che “la disponibilità di prodotto consente finalmente di misurare il reale peso specifico del mercato”.
“Il futuro non è esente da incertezze, ma – ha aggiunto Magri – di fronte a un sostanziale superamento dei problemi di approvvigionamento, i numeri di oggi descrivono in modo concreto il ruolo centrale delle due ruote nel mercato della mobilità e in quello più legato all’utilizzo per passione”.

IL MERCATO DI NOVEMBRE – Cresce di più di un terzo (35,12%), rispetto al 2021, il mercato due ruote del mese di novembre, raggiungendo 16.476 veicoli venduti. A fare da traino gli scooter, che per il secondo mese consecutivo segnano un incremento a doppia cifra (+42,52%), corrispondente a 8.692 mezzi immatricolati. Seguono le moto con una crescita del 30,75% e 6.403 veicoli targati; in territorio positivo anche i ciclomotori, che ottengono un incremento del 15,28%, pari a 1.381 unità immesse sul mercato.

DA GENNAIO A NOVEMBRE – Il bilancio positivo degli ultimi due mesi consente al mercato totale di consolidare la parità rispetto all’anno precedente: +0,85% e 282.593 veicoli registrati. Recuperano qualche punto percentuale anche gli scooter, che tuttavia rimangono in negativo, con un calo del 5,3% e 139.338 unità registrate. Il mercato moto targa invece 122.966 veicoli e cresce del 6,48%; in linea con il dato mensile il cumulato annuo dei ciclomotori, che segnano una crescita del 15,37% pari a 20.289 unità.

MERCATO ELETTRICO – Vigorosa la crescita anche per il mercato degli elettrici a novembre, sospinto dalla disponibilità degli incentivi statali: 1.503 le unità vendute, corrispondenti a un incremento dell’83,29%. Per quel che riguarda il cumulato annuo, il mercato supera la quota delle 15 mila unità, con 15.739 veicoli venduti e un incremento del 58,6%. Gli scooter coprono i due terzi del mercato elettrico, con 9.416 unità immatricolate e una crescita del 62,93%

Caro affitto…ma quanto mi costi?

Caro affitto…ma quanto mi costi?

Caro affitto…ma quanto mi costi?

Caro affitti: per le famiglie in affitto, con contratti ordinari di lungo periodo (4+4), nelle otto principali città metropolitane si prospetta un rinnovo con un potenziale aumento medio del +25,6%. Il canone medio per un bilocale è di €945 al mese. Firenze prima per aumenti (+35,3%), seguita da Bologna, Genova e Napoli. Milano e Roma le più “virtuose” con aumenti sotto il +20%.

Caro energia, crescita dei prezzi del “carrello della spesa” che a settembre 2022 (+10,9% su base annua) hanno raggiunto quelli del mese agosto 1983 e, con molta probabilità, anche caro affitti. È la situazione in cui si potrebbero trovare a breve molti cittadini e famiglie al termine del loro contratto di affitto a canone di mercato. Considerando il classico contratto di locazione ordinario di lunga durata (4+4) stipulato fra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 nelle principali città metropolitane e giunto quasi a scadenza, chi volesse rinnovare potrebbe trovarsi di fronte a un aumento medio di ben il +25,6%, con un canone che potrebbe toccare in media €945 al mese per un bilocale di 70 mq.

Un valore che può arrivare fino al +35,3% a Firenze, +28,5% a Bologna e +28,4% a Genova, mentre a Roma e Milano si registrerebbe una crescita inferiore al 20% in quanto otto anni fa gli affitti erano già mediamente più alti che nelle altre città. A questi dati, che si riferiscono ai canoni di locazione escluse le spese condominiali, bisognerà aggiungere gli eventuali aumenti relativi alle spese per il riscaldamento e la luce, diventando così per tanti un importo insostenibile. Molte famiglie si vedranno obbligate a cambiare zona o addirittura città, spostandosi dove i canoni sono più bassi.

Sono questi i risultati dell’analisi di Abitare Co., società di intermediazione immobiliare, che ha preso in considerazione quelli che sono i potenziali rinnovi dei contratti ordinari di lunga scadenza che dopo otto anni (4+4) devono essere appunto rivisti. La fotografia scattata fa riferimento alle otto principali città metropolitane (Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Torino), calcolando l’impatto che si potrebbe avere sul mercato immobiliare.

Si tratta di un dato sensibile che ha un forte impatto sociale, considerando che nel 2015 sono stati stipulati circa 493.000 contratti di affitto di lungo periodo (4+4), di cui oltre 97.200 nelle sole otto città metropolitane, con una superficie media di 79,3 metri quadrati (oggi la superficie media è leggermente più bassa: 72,2 metri quadrati).

Gli incrementi maggiori sui canoni, nelle otto grandi città, divisi per zone, ovviamente impattano prima di tutto sulle aree di maggior pregio (+28,3%), mentre nelle aree centrali l’incremento (+23,6%) potrebbe essere più basso rispetto a quelle semicentrali (+25,6%) e periferiche (+23,4%).
Sul fronte dei prezzi, ad esempio, per un bilocale di 70 mq. nelle principali città metropolitane occorrono in media circa €945 al mese, escluse le spese condominiali, ma con una notevole differenza in base alla zona: si parte da €580 nelle aree periferiche ed €790 in quelle semicentrali, per arrivare fino a €1.070 in centro e circa €1.350 per gli immobili di pregio.

Tra le città, ai primi posti troviamo Roma con una media dei canoni mensili, sempre per un bilocale di 70 mq., pari a €1.365 (da €700 in periferia a €2.050 per gli immobili di pregio) e Milano con €1.300 (da €720 in periferia a €1.930 per gli immobili di pregio). Le città meno care, come canone medio mensile, sono Palermo (€625), Torino (€715) e Genova (€750).

“Oltre alla revisione dei contratti in scadenza, con degli inevitabili aumenti, bisogna poi aggiungere un potenziale incremento delle spese condominiali (soprattutto nelle case con riscaldamento centralizzato), che porterebbe il canone totale mensile a un livello non più sostenibile per molte famiglie che, a quel punto,  si vedranno obbligate a cambiare zona o addirittura città, spostandosi dove i canoni sono più bassi ha sottolineato Giuseppe Crupi, CEO di Abitare Co. – C’è invece chi, spinto dagli aumenti, opta per l’acquisto di una nuova abitazione, anche se le rate di mutuo sono più care causa dell’aumento del costo del denaro. L’acquisto di una nuova abitazione è inoltre sostenuto dalla migliore efficienza energetica dell’immobile che può ridurre in maniera importante le voci di spesa nel budget famigliare. In realtà – continua Crupi – quello che manca oggi sul mercato italiano è un’offerta di qualità legata al mondo degli affitti, con immobili di nuova generazione che offrono case con servizi condominiali di vario genere. Da una nostra recente indagine su un campione di 1.500 famiglie oltre l’80% ha risposto che sarebbe disposto a pagare un affitto più alto del 15%, rispetto a quanto paga oggi, per una casa nuova dotata di servizi comuni”. 

Italiani tutti pazzi per lo shopping online!

Italiani tutti pazzi per lo shopping online!

Italiani tutti pazzi per lo shopping online!

Quanto ci piace lo shopping online? Secondo i dati più recenti, 33,3 milioni di consumatori in Italia lo preferiscono allo shopping fisico.

Più di 45,9 miliardi di euro: si attesta attorno a questa cifra l’e-commerce in Italia ottenuto nel primo trimestre del 2022. Un incremento di valore sostanziale, +14% rispetto all’anno precedente raggiunto grazie a 33,3 milioni di consumatori che hanno scelto di acquistare online.  Il Food&Grocery si conferma il comparto più dinamico, con una crescita del +17% anno su anno, rallentano il proprio percorso di crescita l’Abbigliamento con +10% rispetto al 2021 e l’Informatica & Elettronica di consumo con +7%.

Il popolo italiano si rivela essere quindi molto dinamico e avvezzo alla pratica dell’acquisto online, ma come si posiziona se paragonato ai consumatori europei?

A questo interrogativo risponde Seven Senders, piattaforma di consegna leader nella spedizione di merci, che in una recente analisi di mercato ha esaminato le abitudini di acquisto online dei consumatori di sette paesi europei, compresa l’Italia. Utile, infatti, è comprendere come il bel Paese si posiziona all’interno dell’Europa.

L’azienda tedesca – in collaborazione con l’istituto di ricerche di mercato Appinio – ha intervistato 3.500 consumatori in Italia, Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria, Spagna e Svizzera in merito ai loro comportamenti d’acquisto e alle loro aspettative riguardo la sostenibilità nella vendita online. Prossimamente verrà divulgato lo studio completo commissionato da Seven Senders che saprà dare risposte in merito alla propensione di acquisto degli italiani rispetto ad altre sette nazioni europee, offrendo nuove best pratice per gli e-tailer. 

Stay tuned!

Il vino pregiato non soffre la crisi: parla l’imprenditore Luigi Sangermano

Il vino pregiato non soffre la crisi: parla l’imprenditore Luigi Sangermano

Il vino pregiato non soffre la crisi: parla l’imprenditore Luigi Sangermano

Non c’è crisi per il vino pregiato: secondo il Knight Frank Luxury Investment Index, il settore ha registrato la crescita più alta tra gli investimenti nel lusso nel 2021 (+16%) con un boom del +137% negli ultimi 10 anni.

Stiamo parlando di un mercato sicuro, poco volatile e con un grande potenziale di rendimento che non risentirà delle problematiche legate al tragico conflitto tra Russia e Ucraina”, afferma Luigi Sangermano, imprenditore del lusso e AD di Laurent-Perrier Italia.

I super ricchi scommettono sul vino pregiato come primario asset di investimento. Secondo l’autorevole Knight Frank Luxury Investment Index, infatti, il settore del “fine wine” ha registrato la crescita più alta tra gli investimenti nel lusso nel 2021 con un +16%, che diventa addirittura +137% se si tengono in considerazione gli ultimi 10 anni. Nonostante la pandemia, le difficoltà della catena di approvvigionamento e i tragici fatti che riguardano il conflitto attualmente in corso, il mercato dei vini pregiati si sta dimostrando molto solido: l’indice Liv-ex 100, che misura l’andamento del mercato dei vini pregiati, nel 2021 ha registrato un boom con un +23% e anche nel 2022 si è aperto in crescita con un +1,8% per il mese di gennaio. Un incremento trainato dal consumo delle etichette di pregio all’interno dei locali di ristorazione italiana: i dati Istat descrivono una crescita nel 2021 del 22,3% nelle vendite di food & wine all’interno dei canali della ristorazione italiana e il 35% dei consumatori prevede una crescita della spesa per l’acquisto di bottiglie di alta gamma al ristorante per il 2022 (ricerca Nomisma – Wine Monitor commissionata dall’Istituto Grandi Marchi).

Il settore dei vini pregiati presenta grandi margini di potenzialità anche verso le nuove generazioni: secondo il Luxury Market Report della celebre casa d’aste Christie’s riportato recentemente dal Financial Times, il 24% delle vendite che hanno riguardato vini pregiati e spirits sono stati acquistati dai Millennial. 

In Italia, invece, secondo una recente ricerca promossa da Intesa Sanpaolo Private Banking dal titolo “Collezionisti e Valore dell’Arte in Italia”, il vino pregiato risulta essere collezionato solamente dall’1% dei rispondenti contro il 21% di appassionati di dipinti e pitture, seguiti dal 17% per le fotografie e dal 16% per sculture e opere su carta, evidenziando quindi un forte margine di crescita nel nostro Paese rispetto alle stime mondiali. Sono diverse le motivazioni dietro a questo vero e proprio boom: in primo luogo il vino ha una bassa correlazione con i mercati economici più tradizionali, condizione che rende questo bene più resistente alle attuali problematiche legate al conflitto in corso come l’aumento dell’inflazione.

Luigi Sangermano

Inoltre, il mercato ha un’offerta di bottiglie pregiate necessariamente limitata: molte di esse infatti vengono aperte e consumate, l’offerta si riduce e, di conseguenza, sale il prezzo delle bottiglie rimaste sul mercato. “Investire nel vino pregiato permette di avere un punto di vista assai più ampio rispetto ai tradizionali investimenti in beni rifugio quali oro, orologi e diamanti – analizza Luigi Sangermano, imprenditore del lusso e AD di Laurent-Perrier Italia, prestigiosa maison francese di produzione e commercializzazione di champagne – Investire nelle etichette di alta gamma che possono essere consumate dai collezionisti rende il mercato molto più sicuro, quindi meno volatile e con capacità di rendimento a doppia cifra nel lungo periodo: il terribile conflitto in corso, paradossalmente, non creerà particolari problematiche a questo comparto, anzi. Nei prossimi anni ci sarà una bolla speculativa che farà nuovamente calare le quotazioni dei classici beni rifugio – conclude Sangermano – bruciando capitali e facendo calare drasticamente il numero di operazioni sul mercato. Il vino pregiato, al contrario, continuerà il suo percorso di crescita, magari rallentando, ma comunque senza mai fermare lo scambio e la crescita di valore”.

L’indice rilevato dal report di Knight Frank Luxury Investment ha messo in evidenza come nel 2021 gli investimenti siano cresciuti complessivamente del 9%: in questa speciale classifica il vino pregiato è a pari merito con gli orologi da collezioni (sempre +16%), seguito da opere d’arte (+13%), monete antiche e whisky di pregio che fanno registrare un incremento del 9%.

Attenzione però ai prossimi sviluppi sempre relativi al segmento del vino pregiato: si stanno affacciando sul mercato le prime edizioni limitate di bottiglie dove l’NFT (Non-Fungible Token) rappresenta l’etichetta del vino ed è realizzata da artisti digitali. Oltre a garantire l’autenticità della bottiglia, sarà possibile rivendere facilmente l’oggetto acquistato scambiando l’NFT, perché il sistema di tracciamento della blockchain registra ogni transazione e aggiorna automaticamente il certificato di proprietà digitale della bottiglia. Si tratta di un mercato ancora in fase embrionale, ma già diverse cantine stanno iniziando a muoversi con iniziative innovative ad hoc. 

Birra: persi 15mila posti a causa del “Covid”

Birra: persi 15mila posti a causa del “Covid”

L’annus horribilis della birra: il crollo nel 2020

Dall’Osservatorio Birra arrivano i dati del 2020: persi 1,4 miliardi di euro e 15mila posti di lavoro…

Pensavamo fosse un momento d’oro per gli alcolici in Italia e, in particolare, per la birra. Ricordiamo tutti i consumi aumentati a causa del lockdown, ma la distanza tra realtà e percezione si è abbattuta violentemente sulle nostre teste. Il “Covid”, infatti, ha quasi azzerato un decennio di crescita, bruciato 1,4 miliardi di euro di giro d’affari e 15mila posti di lavoro, per quello che potremmo definire, in qualche modo, l’anno zer. Questo emerge dall’Osservatorio Birra presentato in occasione del 5° Rapporto “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, realizzato da Althesys. Per calcolare giro d’affari sotto forma di “valore condiviso”, lo studio ha analizzato tutte le fasi della filiera della birra (approvvigionamento materie prime, produzione, logistica, distribuzione e vendita), considerando gli effetti diretti (valore aggiunto, contribuzione fiscale, occupazione, ecc.) delle attività dell’industria birraria italiana, quelli indiretti e indotti.

La crisi dello scorso anno (-15% del valore condiviso, -8% della produzione di birra, -9,6% dell’occupazione) ha fatto perdere al settore quasi 1,4 miliardi di euro e circa 15mila posti di lavoro (14.634) lungo l’intera filiera, soprattutto nell’Ho.Re.Ca., riportando il “peso” della birra ai livelli di 4-5 anni fa. I primi sei mesi del 2021 evidenziano una ripresa rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma non sono sufficienti a colmare il crollo (-22%) di gennaio-giugno 2020. E sebbene tra gennaio e giugno siano stati recuperati 635 milioni di euro, il saldo per il comparto rispetto al primo trimestre 2019 è negativo per 249,2 milioni di euro.

A segnare il passo sono stati soprattutto i consumi fuori casa che rappresentano il canale principale con un 4,38 miliardi di valore condiviso e dove si concentra la gran parte delle perdite: 1,63 miliardi. In questo anno e mezzo, però, non è venuta meno la voglia di bere degli italiani: nella grande distribuzione, gli acquisti di birra sono cresciuti da 1,36 a 1,87 miliardi di euro.

Anche nelle difficoltà, la birra continua ad essere un comparto strategico dell’Italia alimentare. Gli 8,1 miliardi di euro di valore condiviso creati dall’industria della birra nel 2020 corrispondono a mezzo punto percentuale (0,49%) del Pil e al 60% del valore alla produzione del settore delle bevande alcoliche. Per questo l’Osservatorio sottolinea come la «birra può e deve essere motore della ripresa del Paese perché non ha portato ricchezza solo a chi la produce: ogni euro di birra venduta ne genera 5,4 lungo l’intera filiera.