River to River Florence Indian Film Festival 2022: ecco il programma online

River to River Florence Indian Film Festival 2022: ecco il programma online

River to River Florence Indian Film Festival 2022: ecco il programma online

È finalmente online il programma dell’edizione 2022 del River to River Florence Indian Film Festival, il festival del cinema indiano che da ventidue anni si tiene a Firenze.

La 22esima edizione di River to River Indian Film Festival si svolgerà dal 6 all’11 dicembre al cinema La Compagnia di Firenze (Via Cavour 50 r) e online su Più Compagnia in collaborazione con MYmovies. Il Festival, con il Patrocinio dell’Ambasciata dell’India e sotto l’egida di Fondazione Sistema Toscana, proporrà i più recenti lungometraggi, corti e documentari in concorso, oltre a proiezioni speciali e nuove collaborazioni.

Inoltre, martedì 6 dicembre, giorno di inizio del Festival, alle ore 18.00 sarà inaugurata la mostra fotografica Mannequin di Arko Datto alla Fondazione Studio Marangoni (Via San Zanobi 19r).

La locandina della mostra “Mannequin”

Inaugurazione Festival

Martedì 6 dicembre ore 20.30, cinema La Compagnia 
Film d’apertura Godavari, in presenza del regista Nikhil Mahajan.
Storia corale di una famiglia la cui vita si svolge sulle rive del fiume Godavari. Accompagnato da una colonna sonora spumeggiante, il protagonista Nishikant ci renderà partecipi delle sue avventure.

Chiusura Festival 

Domenica 11 dicembre ore 20.30, cinema La Compagnia 
Film di chiusura Almost Pyaar, in presenza del regista Anurag Kashyap
Ultimo capolavoro del regista pluripremiato Anurag Kashyap. Quattro giovani protagonisti, e un dj che parla d’amore a suon di beat, ci immergono in una storia avvincente ed emozionante. Un film frizzante che parla d’amore, gioventù e tabù, e una colonna sonora imperdibile!

Qui il programma completo del Festival.

Il cinema indiano in Italia: intervista a Selvaggia Velo

Il cinema indiano in Italia: intervista a Selvaggia Velo

Il cinema indiano in Italia: intervista a Selvaggia Velo

Abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Selvaggia Velo per parlare di festival del cinema, cinema indipendente indiano e delle donne. Fiorentina doc, dopo aver vissuto a Parigi e a Bruxelles e laureata a Bologna, fonda il River to River Florence Indian Film Festival, l’unico festival di cinema indiano presente in Italia. 

Come è nato il River to River Florence Indian Film Festival e qual è il tuo legame con l’India?

“Inizia tutto nel 1998 con una mostra di manifesti di cinema indiano dipinti a mano. Poi con Sergio Staino, direttore dell’Estate fiorentinarassegna culturale del Comune di Firenze che si svolge nei mesi estivi, .ndr – nell’anno successivo, si trovò un piccolo budget per portare a Firenze i pittori indiani di questi manifesti per farli dipingere en plein air durante gli eventi dell’estate fiorentina. In quell’occasione fu proiettato un film indiano in VHS. Nell’ottobre del 2001 poi si riuscì a organizzare il vero e proprio festival del cinema indiano, la prima edizione di River to River. Il 2001, per il cinema indiano, fu un anno importantissimo: Lagaan, infatti, vince al festival di Locarno e Monsoon Wedding di Mira Nair vince il Leone d’Oro a Venezia.

Si capisce subito l’importanza di questo festival e una serie di cose che bisognava ancora fare: avere un catalogo bilingue come testimonianza dell’avvenimento. E l’attaccamento alla tangibilità è rimasto perché anche quando siamo andati online nel 2020 c’è stato. Un’altra cosa da fare poi era invitare ospiti indiani”. 

E quanto era celebre il cinema Indiano all’epoca?

C’era poco e nulla: qualcosa era stato fatto a Locarno, una rassegna di film indiani chiamata Indian Summer. In Italia invece niente. 

Chi è stato il primo contatto con l’India e col Cinema Indiano?

“Io personalmente non ho contatti diretti con l’India, non ho parenti né ho mai avuto conoscenze. Uma da Cunha – casting director, giornalista, programmatrice di festival, fra le tante mansioni – è stata, ed è tutt’oggi, il mio punto di riferimento personale per quanto riguarda il cinema indiano. Lei viene a scoprire dell’esistenza di questo festival che stavo organizzando in Italia e mi contatta per organizzare una cena a Mumbai: in maniera molto naturale quindi inizia un rapporto basato sulla stima reciproca e sull’amore per il cinema che tutt’ora dura. 

Da lì ho iniziato, anche con molta intraprendenza, a tessere un network di buoni contatti nel mondo del cinema indiano e garantirmi quindi la conoscenza di grandi registi e attori.
Ho imparato tanto in questi anni, grazie a lei e al cinema indiano, ma anche grazie ai contatti che mi ha aiutato a creare”.

Alla fine dell’edizione del festival immagino si cominci subito a preparare quella successiva. Vista l’importanza delle relazioni interpersonali per la creazione del festival, quanto tempo passi in India a cercare contatti? 

“Conoscere così tante persone, anche grazie ai contatti presentati da Uma, siamo riusciti a proiettare film e avere grandi ospiti: il feeling tra le persone è stato fondamentale. Io di solito passo in primavera un mese in India a conoscere e interagire per preparare il festival successivo. E gli Indiani amano creare un legame speciale con le persone”. 

Come si trova una fiorentina a relazionarsi con l’India?

“In realtà tre cose fondamentali noi italiani le abbiamo in comune con loro: l’amore per il cibo, per la famiglia e quello per il cinema. La cosa che distingue gli indiani da tutto il resto del mondo è la concezione del tempo. Lo si vede anche nella lunghezza dei film, per esempio. Il “qui e ora” non è mai qui e ora, tutto è più dilatato sia nel pubblico che nel privato. Bisogna armarsi di pazienza con loro oppure organizzarsi al meglio. C’è una parola in hindi che riassume tutto perfettamente, kal, che significa “sia ieri sia domani”: la lingua su questo concetto del tempo è chiara, ed esplicita perfettamente quale sia la loro concezione del tempo. 

Mi è successo di partecipare a proiezioni cinematografiche fissate per le 19:30 e di trovarmi alle 22 ancora ad aspettare che iniziasse la proiezione. È difficile, per esempio, prendere un appuntamento con loro tra due settimane, devi fare tutto all’ultimo e mi è successo di partire con un’azienda italiana di product placement per l’India senza aver nessun appuntamento ma organizzare tutto una volta lì. Questa è una grande differenza nella visione del tempo”. 

Come mai secondo te il cinema indiano non ha attecchito in Italia come invece ha fatto in altri paesi europei (Inghilterra o Francia)?

“Perché qui il cinema indiano è percepito ancora come qualcosa di esotico e molto distante da no e dalla nostra culturai. C’è, su questo, ancora molto pregiudizio; non viene vista come una vera cinematografia. E poi c’è tutto il problema della lingua e del doppiaggio: nel resto del mondo è sdoganato il fatto di guardare i film in lingua originale coi sottotitoli, in Italia invece la lingua originale è percepita ancora come un ostacolo”. 

Le protagoniste dei film che hai selezionato si sono interfacciate con la dicotomia fra oriente e occidente: quanto è percepito e quanto è influente – se lo èil modello occidentale nel mondo indiano?

“Il loro modello di riferimento è fondamentalmente quello americano; i film che escono in India al cinema infatti sono praticamente solo americani. Loro sono però molto legati alle proprie origini: cibo, festività, ritualità familiari ecc. sono molto radicate e sentite, poi comunque si aprono anche all’occidente. Resta però il fatto che anche le persone più moderne, aperte mentalmente e culturalmente che ho conosciuto sono talmente legate alle loro tradizioni da risultare contraddittorie. La fissità di certe tradizioni indiane entra in contrasto spesso con l’apertura verso il resto del mondo, ma, secondo me, è proprio questo il bello della cultura indiana.

Per esempio, ho conosciuto una coppia fantastica, estremamente aperta e che ha girato il mondo e quando mi hanno raccontato il loro amore è frutto di un matrimonio combinato non potevo crederci. Eppure, lì, quello che da noi può sembrare fuori dal mondo, è consuetudine. 

Ma per esempio anche prima delle proiezioni dei film si fa la puja, un atto di adorazione verso una divinità che prevede un’offerta o un rito: è così in tutti gli ambiti della vita e che avvengono anche nei luoghi più contemporanei e aperti verso il mondo. 

Sicuramente ho visto tante situazioni particolari, soprattutto per quanto riguarda le abitudini alimentari: vedere un indiano ordinare è pazzesco, perché spesso hanno il loro guru, una sorta di guida che spesso aiuta anche a decidere cosa e come mangiare”. 

E tu hai acquisito qualcosa di non tipicamente italiano ma che è prepotentemente indiano?

“Sì, l’accostamento dei colori: io quotidianamente abbino i colori come loro nei miei vestiti. E sicuramente anche l’essere paziente, il saper aspettare e il saper interpretare le loro risposte”. 

Il festival quest’anno ha ruotato intorno alla tematica dell’empowerment femminile. Le figure femminili protagoniste dei film che hai scelto vivono situazioni particolare: in The Tenant per esempio convivono nello stesso posto donne molto emancipate e donne invece molto legate e attaccate alle tradizioni indiane più puriste.

Un film come The Tenant racconta una storia assolutamente realistica: quello che viene raccontato nel film e tutto vero. Quando mi venne a trovare il mio compagno mentre vivevo con una coinquilina americana, mi ero posta lo scrupolo di non fare in modo che le persone del condominio la giudicassero. Di base tutti sono molto legati alle loro radici, ma con una costante apertura verso i valori occidentali”. 

Come ha influito la pandemia nell’organizzazione degli ultimi due festival?

“Tieni conto che il 2020 era l’anniversario del nostri vent’anni e io non volevo assolutamente rinunciare. Tutto si è quindi riversato sull’online: è stata un’esperienza davvero straniante. Tutti i collegamenti erano live e io seguivo tutto dal teatro che avevo per l’occasione arredato in stile indiano: è stato strano parlare di fronte a un cinema vuoto, ma nonostante fossimo chiusi il calore del pubblico l’abbiamo percepito. Grazie alla live chat siamo riusciti a mettere in contatto sia il pubblico italiano che gli ospiti in collegamento dall’India. È stata però, per assurdo, molto più difficile l’edizione del 2021: la doppia modalità ha complicato tutto ed è sembrato di fare due festival insieme. È stato però impagabile avere la possibilità di avere un pubblico vero”. 

E quest’anno andrai in India?

“Quest’anno ancora non lo so: ci vado per le pubbliche relazioni, ma ora è difficile, quasi possibile, forse più avanti, in primavera. E posso dirti che mi manca moltissimo”. 

Ringraziamo Selvaggia Velo per l’intervista, per averci fatto entrare nell’affascinante mondo del cinema indiano e per averci regalato, in questi tempi instabili, la sua vitale curiosità e intraprendenza. 

Giorgia Grendene

Sono Giorgia e amo le cose vecchie e polverose (come la mia laurea in lettere classiche), le storie un po’ noiose che richiedono tempo per essere raccontate e apprezzate, i personaggi semplici con storie disastrose. Mi piacciono il bianco e nero e il technicolor molto più del 4K, i libri di carta molto più degli e-book, il salato molto più del dolce, i cani molto più dei gatti.

River to River 2021: programma, ospiti e modalità

River to River 2021: programma, ospiti e modalità

River to River 2021: programma, ospiti e modalità​

Dal 3 all’8 dicembre torna River to River Florence Indian Film Festival in una veste nuova, ibrida, e con un’ospite d’eccellenza: Amitabah Bachchan

La 21esima edizione di River to River Florence Indian Film Festival quest’anno si svolgerà dal 3 all’8 dicembre in due modalità contemporaneamente, al cinema La Compagnia di Firenze e online su Più Compagnia in collaborazione con MYmovies. Il Festival, patrocinato dall’Ambasciata dell’India e sotto l’egida di Fondazione Sistema Toscana, proporrà corti, documentari e lungometraggi, oltre a proiezioni speciali e nuove collaborazioni.

Tra questi, verranno proiettati i film d’artista di Sudarshan Shetty in collaborazione con la Biennale di Kochi-Muziris e il cult movie di Bollywood Kabhi Khushi Khabie Gham di Karan Johar. E in occasione dei cento anni dalla nascita del maestro del cinema indiano Satyajit Ray, River to River mostrerà la sua Trilogia di Apu, formata da Pather Panchali – Il lamento sul sentiero (1955), Aparajito – L’invitto (1956) e Apur Sansar – Il mondo di Apu (1959). Tre occasioni per rendere omaggio al grande regista bollywoodiano.

Durante la manifestazione i registi, gli attori e i produttori presenteranno le loro pellicole al pubblico e, per garantire sicurezza e possibilità di partecipare a tutti gli interessati, ogni incontro sarà anche in diretta online sulla pagina Facebook e sul canale Youtube del Festival. Non solo, perché quest’anno ci sarà un ospite speciale: la super star di Bollywood Amitabh Bachan, in collegamento da Mumbai, per parlare del suo ultimo film Chehre, in programmazione a River to River.

Il programma delle proiezioni al cinema La Compagnia di Firenze si trova sul sito del Festival e i biglietti sono in vendita direttamente al cinema oppure tramite il link. La Compagnia sarà accessibile con Green Pass e indossando una mascherina FFP2 o chirurgica.
Per le proiezioni online, programma e biglietti si trovano a questo link.

Noi ci saremo, e voi?

10 motivi per leggere il Kamasutra

10 motivi per leggere il Kamasutra

10 motivi per leggere il Kamasutra

Il Kamasutra, per anni considerato un libro volgare e corrotto, è in realtà un inno all’amore più puro e – incredibile, ma vero – piacevole. Ecco perché leggerlo.

Quando sentiamo nominare il Kamasutra, la prima (e forse unica) cosa che ci viene in mente è l’elenco delle posizioni che una coppia dovrebbe assumere durante i rapporti sessuali, affinché sia le donne che gli uomini possano trarne il maggior piacere possibile.

Niente di più lontano dalla realtà, perché nel Kamasutra, che risale al III secolo, non c’è assolutamente nessuna lista: il kama (il “piacere”, o meglio “il soddisfacimento del piacere”) nella concezione hindu è solo uno dei tre grandi scopi dell’essere umano, insieme al dharma ( la “legge sacra”, intesa nel senso dell’osservanza delle norme rituali e delle leggi) e all’artha (l’ “utile”, il fine concreto per il quale si agisce, l’interesse materiale e la ricchezza). Ecco allora 10 motivi per cui chiunque dovrebbe leggere il Kamasutra di Vatsyayana, nella sua versione originale.

  1. Non c’è niente di pornografico. Non c’è una singola immagine o rappresentazione, non è un testo che ha lo scopo di incendiare gli animi. E’ un testo normativo, che si pone l’obiettivo di regolare le azioni e gli atteggiamenti da assumere quando il desiderio è acceso. Nessun’idea di violenza o di possesso. Non la scintilla che appicca il fuoco, ma l’ossigeno che lo tiene in vita affinché possa durare e generare il calore necessario.

  2. Amore per piacere, per puro godimento. Come dicevamo, non essendoci nessun riferimento pornografico, l’amore qui rappresentato è semplicemente un tipo di “amore per piacere”: fate l’amore perché è bello, perché è un istinto naturale, e perché non c’è nulla di male. Non è un rapporto sessuale che punta al concepimento, la prosecuzione della stirpe è compito dell’Utile, non del Desiderio. Questo è il campo dell’amore.
  1. Condanna ai matrimoni “violenti”. I matrimoni in India erano (e spesso sono) organizzati dalle famiglie. Vatsyayana identifica otto diversi tipi di matrimonio e li mette in ordine gerarchico: i primi quattro nella scala sono i più nobili, essendo tutti matrimoni organizzati dai genitori o dai parenti degli sposi, mentre gli altri quattro sono da lui profondamente condannati. Questi sono i casi i cui la sposa viene rapita o ingannata o ancora stuprata perché ubriaca o addormentata. Una presa di posizione nobilissima, se consideriamo che ancora oggi in alcune parti del mondo non c’è nessun riguardo per la donna, mai libera di esprimere i suoi desideri o di opporsi.

  2. Destinato a tutti gli strati sociali. La società hindu è una società profondamente castale, fortemente legata ai diritti e ai doveri dei gruppi sociali. Le dottrine della Legge Sacra e dell’Utile erano una prerogativa degli strati più alti della società, ma questo non vale per il Desiderio. Il kama è destinato a tutti, così lo è anche alle caste inferiori. Un segno più unico che raro di equità, come non se ne troveranno così facilmente nella storia dell’India.
  3. Una forma di istruzione per la donna (deve saper contare). Proprio perché destinato anche agli strati sociali più bassi, l’istruzione data dal Kamasutra è destinata anche alle donne da sempre escluse da qualsiasi attività o conoscenza. Anzi, essere buone mogli vuol dire anche essere in grado di soddisfare il proprio marito, ma non ci si ferma qui: le donne devono saper leggere, scrivere e contare, devono essere in grado di tenere la contabilità della famiglia e di amministrare la casa.
  4. Le donne hanno la stessa natura dei fiori. Vatsyayana ha una visione dolcissima della donna, e la dipinge delicata come un fiore. Bisogna dunque toccarla con delicatezza, senza mai forzarla, e avvicinarla solo quando mostrerà piena fiducia e arrendevolezza. Non bisogna spaventarla o farle pressione altrimenti svilupperà sentimenti di paura e astio nei confronti dell’amante. C’è da dire che, sempre secondo Vatsyayana, la prima mossa spetta sempre all’uomo, e la donna può fare avances solo quando è l’uomo a lasciarle prendere l’iniziativa. Ma siamo pur sempre nel III secolo, sfido chiunque a trovare un parallelo nella letteratura occidentale.
  1. Vastyayana è il primo a riconoscere l’esistenza dell’orgasmo femminile. La donna non è un dispositivo che serve a dare piacere all’uomo, anche la donna ha i suoi desideri e perviene al loro soddisfacimento. Anche la donna prova piacere, esattamente allo stesso modo dell’uomo. Nessun altro lo aveva ancora detto, nessun altro lo dirà ancora per molto tempo.

  2. Visione positiva delle cortigiane. La cortigiana è una figura appartenente alla società e ivi attiva, un personaggio dunque degno di rispetto che non va emarginato o additato. I sultani sono i loro migliori clienti ed è frequentissimo trovarle nelle regge reali, sono le donne più libere di agire della società indiana in quanto svincolate da ogni legame matrimoniale. Il loro scopo primario è il perseguimento dell’Utile, il guadagno, e non devono assolutamente essere considerate impure, perché non lo sono.
  3. Le vedove possono risposarsi. Non è così scontato, perché nella società dell’India antica alla morte del marito la donna doveva gettarsi sulla sua pira funebre e sacrificarsi per lui, morendo così tra le fiamme. Tradizione oggi illegale, ma nel III secolo ogni donna che non si gettasse nel fuoco delle ceneri del marito era denigrata e considerata una traditrice, destinata alla miseria. Per Vatsyayana no, anzi. La vedova può risposarsi, se lo desidera, svincolandosi dal terribile dovere di sacrificare se stessa.
  4. L’amore omosessuale è lecito, non condannato né condannabile. Il kama mira al raggiungimento del piacere, è soggettivo ed esistono infiniti modi di amare, tanto che il Kamasutra non può certo elencarli tutti. Ma un capitolo particolare è dedicato all’amore omosessuale, addirittura sollecitato e regolamentato, perché il suo scopo sia quello di dare piacere a entrambe le parti della coppia. Roba che Medioevo, levati proprio.

Insomma, una visione più che attuale del sesso e del rapporto fra due persone elaborata mentre i Romani ancora pensavano a conquistare il mondo. La rappresentazione di rapporti dolcissimi, delicati, mai forzati, che obbediscono alle leggi della natura e della società. Perché non c’è niente di più naturale e di più puro del desiderio di unirsi a qualcuno.

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.