Su “Don’t Look Up”, sulla complessitĂ  e sulla comunicazione

Su “Don’t Look Up”, sulla complessitĂ  e sulla comunicazione

Su “Don’t Look Up”, sulla complessitĂ  e sulla comunicazione

Cast di altissimo livello e satira puntuta sono gli ingredienti della produzione originale Netflix “Don’t Look Up” che ha diviso in due il pubblico. Film profetico o film trash poco importa: c’ è molta attualitĂ  e molto su cui riflettere. 

Don’t Look Up racconta di un astronomo (un Leonardo DiCaprio in forma smagliante) e della sua dottoranda (Jennifer Lawrence) che scoprono una cometa che nel giro di 6 mesi impatterà con la terra. Il suo diametro sarà la causa certa dell’estinzione umana: la cosa più logica è quella di avvisare il presidente degli Stati Uniti (Maryl Streep) per dare la notizia al mondo. Ma le cose non vanno come i due scienziati si aspettano…

Se voleste guardarlo solo per la trama, fermatevi: la storia è molto banale, a tratti prevedibile, per niente emozionante e nemmeno sconvolgentemente divertente. Eppure questo film merita di essere visto e, addirittura potremmo arrivare a dire che non poteva arrivare in un momento migliore. 

Tralasciando le riserve e l’amaro in bocca che la pellicola ha lasciato a tanti spettatori – cfr. Ariana Grande che intima al pubblico “get your head out of your ass”, le scene post-credit evitabili, o la simulata risposta dei social all’evento catastrofico che vedeva coinvolti praticamente solo utenti americani a rimarcare ancora una volta la tendenza tipicamente americana all’autoreferenzialità – Don’t Look Up ha stimolato inevitabili riflessioni e sulla complessità della comunicazione e sulla comunicazione della complessità. 

Il cardine attorno cui ruota tutto il discorso è una catastrofe imminente, prevedibile e, con le dovute accortezze, arginabile. Bisogna, in sostanza, decidere, operare delle scelte atte a risolvere o meno la situazione: ma in un contesto così veloce entrano in gioco diverse questioni, economiche, politiche, ecc. che finiscono per offuscare il vero obiettivo finale e cioè uscire dalla situazione di crisi. 

Tutto si polarizza e si estremizza in maniera iperbolica e, alla fine, nessuno davvero dice la verità. Dire che c’è il 99,7% di possibilità che la cometa impatti è diverso dal dire che c’è un 100% di possibilità: difatti si tratta a tutti gli effetti di una menzogna – minuscola e a fin di bene, ma pur sempre una menzogna. Dire che la possibilità che la cometa impatti è 0%, è anche questa una non verità, ma ben diversa dall’altra. Eppure, quando arrivano al pubblico, entrambe sono menzogne e sono sullo stesso piano e suscitano il medesimo sdegno, rabbia e paura. Le possibilità di scelta quindi si presentano come tante sfumature di colore, ma nel momento in cui vengono comunicate al mondo improvvisamente hanno un solo colore. 

Se una questione è complessa e seria, andrĂ  comunicata al pubblico con lo stesso zelo e serietĂ  con cui la si è scoperta e analizzata. Chiedere all’astronomo di intervenire in uno show per bambini per arrivare al pubblico o ingaggiare una pop-star di fama internazionale per focalizzare l’attenzione sull’argomento, è esattamente come cantare una canzoncina pro-vax sulle note di Jingle Bells: l’argomento viene sminuito, chi comunica si ridicolizza e chi ascolta si sente preso in giro. 

Se si pretende che il pubblico agisca con serietà, si preoccupi attivamente della situazione in cui è immerso – che sia una catastrofe climatica o epidemiologica poco importa – e agisca nella maniera più alacre possibile, il primo passo lo deve fare chi comunica. Del resto “people who claim to be serious should be serious” diceva Ben Goldacre. 

Prendiamo quindi la pellicola come un invito a non fidarci di tutto quello che ci viene detto e, ancora meno, delle modalità con cui ci viene detto. La complessità, per chi comunica e per chi riceve l’informazione, non deve essere percepita come un ostacolo che va aggirato, o peggio, evitato nel modo più furbo, remunerativo e celere possibile; piuttosto dovrebbe essere un modo per co-costruire e creare fiducia da entrambe le parti – anche a costo di rimetterci tempo ed energie

Giorgia Grendene

Sono Giorgia e amo le cose vecchie e polverose (come la mia laurea in lettere classiche), le storie un po’ noiose che richiedono tempo per essere raccontate e apprezzate, i personaggi semplici con storie disastrose. Mi piacciono il bianco e nero e il technicolor molto più del 4K, i libri di carta molto più degli e-book, il salato molto più del dolce, i cani molto più dei gatti.