Rino Gaetano: un antieroe impegnato

Rino Gaetano: un antieroe impegnato

Rino Gaetano: un antieroe impegnato

Rino Gaetano nasce a Crotone, città della costa achea calabrese, il 29 ottobre 1950. Poeta e cantautore impegnato, i suoi testi lo rendono l’antieroe per eccellenza dell’Italia contemporanea che arranca. 

Rino Gaetano si esibisce la prima volta a Sanremo la sera del 26 gennaio 1978, presentando Gianna: per la prima volta, nella storia della televisione pubblica italiana, viene pronunciata la parola “sesso”, un vero e proprio scandalo per l’Italia puritana. 

Assuefatti oramai da una retorica che svincola, nelle sue conseguenze peggiori, il significato di una parola dal proprio apporto morale, la piccola rivoluzione di Rino, quella sera, appare oggi fugace. Eppure, a distanza di anni, le sue canzoni e i suoi testi così pregnanti vengono ancora cantati, in virtù di un processo di immedesimazione quasi immediata con questo antieroe malinconico e ilare. 

Fra Crotone, Narni e Roma: la poesia e la musica

Pitagora, esule di Samo, giunse nel VI secolo a.C. a Crotone e vi fondò la propria scuola. Come è noto, era convinto che il numero governasse le proporzioni armoniche dell’universo, e che l’universo stesso risuonasse di una musica raffinata, impercettibile all’orecchio umano, frutto di proporzione numerica. 

Già a partire dalle proprie origini è insita la peculiarità della poetica di Rino Gaetano. Dopo essersi trasferito a Roma Rino, ancora undicenne, entra in seminario a Narni per assicurargli una solida istruzione: sono questi gli anni, intorno al 1960, nei quali si manifesta la personalità curiosa e perspicace del giovane Rino, presago del legame primevo e inscindibile fra poesia e musica.  

Nel 1970, rientrato a Roma, conclude i propri studi da geometra e parallelamente viene coinvolto dal teatro dell’assurdo: personalità del calibro di Beckett e Ionesco, ma anche Majakovskij, influenzano la poetica di Rino Gaetano, alimentando il fortissimo legame fra poesia e musica, nonché con l’apparente illogicità della parola. 

Aida: un’Italia al contempo memore e dimentica 

Nel 1977 Rino pubblica il suo terzo album, Aida, che prende il nome dall’ omonima canzone contenuta nella raccolta.

In un intreccio di allegorie e memorialismo, il testo della canzone ripercorre e sciorina le tappe fondamentali dell’Italia, dall’antichità e medioevo (E mille mari: riferimento al dominio dei mari in età bassomedievale) fino al Novecento. 

“Aida” è quindi l’Italia, nome proprio che riecheggia i fasti risorgimentali. Nella prima parte della canzone, contraddistinta da ben tre strofe, si ripercorre la storia d’Italia fino all’avvento del Fasismo e alla Seconda guerra mondiale; in particolare, nella terza strofa si legge: 

Marce svastiche e federali

Sotto i fanali

L’oscurità

E poi il ritorno in un paese diviso

Più nero nel viso

Più rosso d’amore

Non vi sono verbi, ma solo frasi nominali: l’azione, in questo testo, è lasciata all’ascoltatore, ammaliato dal tripudio nominale e aggettivale che produce l’effetto di una cantilena il cui ritmo risulta sempre uguale. 

Le “marce svastiche” sono un chiaro riferimento al patto nazi-fascista, preambolo infausto al secondo conflitto mondiale, cui fa da pendant il sostantivo “federali”, quarta carica più importante dello stato fascista.

A metà della strofa si legge “E poi il ritorno in un paese diviso”, allusione alle conseguenze dell’armistizio reso pubblico l’otto settembre 1943, per poi terminare con due versi, costruiti parallelamente e contrassegnati da note fortemente coloristiche, che riportano alla lotta partigiana e ai valori dell’antifascismo. 

I valori della storicizzazione

L’Italia di Aida è un paese bello ma ossimorico e incauto: passando in rassegna la propria storia come se fosse una raccolta fotografica, rammenta gli eventi fausti e infausti del proprio passato recente e remoto, senza tuttavia operare la necessaria storicizzazione e naturale assunzione di ciò che è stato. Italia/Aida sarà pur splendida, ma a causa dell’incapacità di storicizzazione delle pagine più oscure del proprio passato, sarà condannata a riguardarsi indietro e rischiare pericolosi ritorni di fiamma con ideologie grottesche e illogiche.

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.

Minimovitale: l’album d’esordio dell’omonima band

Minimovitale: l’album d’esordio dell’omonima band

Minimovitale: l’album d’esordio dell’omonima band

“Aggrappati al minimovitale: una frase che è divenuta mantra durante le sessioni di composizione della band. Rispecchia la necessità di sentirsi vivi, di mettersi in gioco, di ribellarsi in un’epoca particolarmente carente di emozioni e soddisfazioni.”

“Minimovitale” è l’album con cui fa il suo esordio l’omonima band, disponibile su tutti i digital store e a breve anche in stampa fisica su cd. Hanno scelto di intitolare il loro primo album riprendendo il nome della band: tutto attaccato, con lo scopo di rafforzare e rendere più tangibile e diretto il loro essere, la loro essenza di musicisti. L’album è composto da sette tracce: Blu P.E.C.ParainphernaliaCabine telefoniche dismesseUna prodezza al giornoEl señor BanThierry e La casta.

Veterani della scena musicale valdostana, il gruppo vuole uscire dalla dimensione provinciale, storicamente periferica e artisticamente sonnecchiante. Artisti dall’anima profondamente rock e dal verbo irriverente, caratterizzato dall’utilizzo dello spoken word, con i loro pezzi scuotono le coscienze portando in primo piano situazioni del nostro presente, raccontando storie e aneddoti personali.

I sette brani presenti nel loro album si caratterizzano per riprendere diverse sonorità. Dalla grinta rock, che è una costante della loro produzione musicale, i Minimo Vitale sperimentano anche altre tipologie di suono: le tracce alternano melodie british, basi elettroniche di synth e sonorità hard-blues.

Copertina dell’album “Minimovitale”

BIOGRAFIA

Minimo Vitale nascono ad Aosta nel 2017. Il progetto è inizialmente concepito “a tempo” per soddisfare un’esigenza del cantante Alberto Neri, desideroso di confrontarsi con il repertorio della storica rock-band di culto Massimo Volume. Esaurito il tributo con soddisfazione, dopo una decina di date live “ad hoc” in ambito locale, I Minimo Vitale hanno deciso di proseguire l’esperienza, lavorando su materiale esclusivamente originale.

Il gruppo attualmente è composto dal cantante Alberto Neri, dai chitarristi Luca Consonni e Josy Brazzale, dal bassista Davide Torrione e dal batterista Alessandro Longo.

Forti dell’importante sinergia creatasi, la band comincia a comporre senza porsi limite di genere, sfruttando e fondendo al meglio tutte le personali influenze sviluppate dai singoli musicisti nelle precedenti esperienze musicali (fra le altre: Neurodisneyland, Autoscatto, Soluzione, Tristan Tzara, Magritte, D’timed).

Nel luglio 2022 i Minimo Vitale vengono selezionati per la serata finale dell’importante rassegna “Rock Targato Italia – Edizione speciale Estate” e vincono il concorso grazie a una convincente esibizione dal vivo tenutasi al Legend Club di Milano.

In seguito a questo traguardo, a fine settembre, il gruppo si reca al MeatBeat Studio di Raffaele D’Anello per registrare le sette tracce che compongono l’omonimo esordio discografico, che è disponibile in tutti i digital store. A febbraio 2023 sarà pubblicata una tiratura limitata in versione CD di “Minimovitale”,

Sanremo: le 5 canzoni vincenti più brutte di sempre

Sanremo: le 5 canzoni vincenti più brutte di sempre

Sanremo: le 5 canzoni vincitrici più brutte di sempre (fino ad ora…)

Vincenti, premiate e…dimenticabili Qual è la peggior canzone vincitrice di Sanremo? Scopriamolo.

Sanremo è alle porte. Forse per fortuna, forse purtroppo, forse ce ne importa il giusto, ma l’evento nazional popolare per eccellenza è ormai arrivato. E dobbiamo ammetterlo: mai come negli ultimi anni si è notato il tentativo della direzione artistica di svecchiare il dinosauro, con esiti di dubbia riuscita magari.

Da Francesco Gabbani (eletto a giovane tra i giovani tanto perché se hai meno di 40 anni sei automaticamente un ragazzino) a Mahmood, da Lo Stato Sociale alle edizioni degli ultimi due anni che, dopo anni di fuoriusciti dai talent, ci hanno regalato la classica edizione che rincorre la moda del momento, facendo sfoggio del meglio tra i gruppi ex indie italiani (perché sì amici, se la tua etichetta è la Warner sei indie quanto Giulia De Lellis è colta).

E quindi, dopo le lunghe introduzioni che non saranno mai lunghe come una puntata condotta da Amadeus, ecco le cinque canzoni vincitrici più brutte della storia, messe in ordine più o meno casuale.

5 – Il Volo, Grande Amore

Una canzone “vecchio stile”, dove per vecchio intendiamo di un paio di secoli fa. Per carità, il ritmo è anche orecchiabile, le voci dei tenori fanno sempre la loro figura, ma il testo è imbarazzante, la creatività non è pervenuta e… il video è quanto di più cringe possa esistere, tra riferimenti mal recitati a Ghost e una serie di espressioni facciali che… beh, giudicate voi.

4 – Peppino di Capri, Non lo faccio più

Siamo onesti, non è la più brutta, ma in ogni altra edizione avrebbe meritato un ventesimo posto. Perché ha vinto? Perché le altre erano peggio.

3 – Marco Carta, La forza mia

Direttamente dal successo di Amici, Marco Carta presenta a Sanremo una canzone orecchiabile, con quel sano ritmo a metà tra i primi 2000 e l’oratorio estivo. Nessun riferimento immotivato alla religione, un testo sciapo che sembra tratto dai “link” di Facebook (e non ci sentiamo di escludere che il testo sia stato partorito proprio tra un post e l’altro), una benedizione di Maria e si va a vincere Sanremo.

2 – Giò di Tonno e Lola Ponce, Colpo di fulmine

Sanremo 2008: l’edizione dimenticata (e dimenticabile). Non vi ricordate la canzone? Non riuscite nemmeno a farvi tornare in mente il ritornello? Non sapete se Giò di Tonno sia vero o solo un errore di battitura? Tranquilli, è normale. Nessuno ricorda Colpo di Fulmine, per cui ve la raccontiamo noi.


Era il 2008, non c’erano notti buie e tempestose, solo Pippo Baudo come direttore artistico, una lunga serie di partecipanti di dubbia bravura, i fuoriusciti dai talent sarebbero arrivati l’anno successivo e Colpo di fulmine arrivò a scontrarsi con mostri sacri della musica italiana: i Finley, Paolo Meneguzzi e altre canzoni di cui non ricordiamo (fortunatamente) l’esistenza. Che cosa ricordiamo invece di Sanremo 2008? Eppure mi hai cambiato la vita di Fabrizio Moro che – inspiegabilmente – non ha superato il terzo posto e il clamoroso flop dei dati auditel, con la kermesse sanremese surclassata anche dai Cesaroni e dalla storia d’amore tra Eva e Marco (vuoi leggere un giudizio particolarmente impopolare sul personaggio? Clicca qui).

Insomma. Un disastro. E ci dispiace per Giò di Tonno, perché lui negli anni ha dimostrato di valere il palco ed è un peccato che la sua edizione sarà per sempre associata a… a niente. Nessuno la ricorda in fondo.

1 – Povia, Vorrei avere il becco

La vittoria di Povia a Sanremo 2006 con Vorrei avere il becco è il più lampante caso di titolo assegnato ad honorem nel nostro Paese. Reduce dal successo de I bambini fanno “ooh”, che nel 2005 lo portò alla ribalta (la canzone doveva presentarsi all’edizione 2005 condotta da Bonolis, ma dato che non era inedita venne messa fuori dalla kermesse), Povia si è presentato a Sanremo 2006 con una canzone tendenzialmente paraculo piena di frasi e pensieri intrisi di quel “moralismo da applausi” degno di una prima serata su Rai Uno, in pratica la versione 2.0 di quella dell’anno prima, con l’esaltazione delle piccole cose ripetuta all’infinito: nel 2005 voleva essere un bambino, nel 2006 voleva essere un piccione.

Il testo era di una banalità da lacrime agli occhi, la melodia era la rivisitazione di quella dell’anno prima e i versi onomatopeici ci hanno torturato per mesi (comunque più sensati delle “critiche sociali” mosse da Povia negli anni). Insomma, quando rinfacciamo alle generazioni di oggi la pochezza della loro musica e gli ricordiamo quanto la “musica di una volta” sia meglio della loro ripensiamo a Vorrei avere il becco.
Ah, signora mia, una volta qua era tutto cantautorato di qualità…

“Non solo musica”: DIS/ABILITÀ, IN/VISIBILE, I TALENTI DELLE PERSONE

“Non solo musica”: DIS/ABILITÀ, IN/VISIBILE, I TALENTI DELLE PERSONE

“Non solo musica”: DIS/ABILITÀ, IN/VISIBILE, I TALENTI DELLE PERSONE

C’è chi non può vedere e chi non vuole vedere. C’è chi vede oltre il preconcetto e chi si ferma a un’etichetta. Abbiamo parlato della rassegna “DIS/ABILITÀ, IN/VISIBILE, I TALENTI DELLE PERSONE” con Francesco Caprini, direttore artistico dell’evento…

L’obiettivo è mettere in luce il talento, dimostrare come la disabilità non sia un freno all’arte, alla voglia di fare, alla qualità. Un obiettivo che ci accompagna fin dalla prima edizione di “DIS/ABILITÀ, IN/VISIBILE, I TALENTI DELLE PERSONE”, nel 2019, e che sarà il punto di partenza anche delle prossime”. Il 21 e 22 gennaio al Circolo Culturale Bentivoglio andrà in scena la quarta edizione della rassegna ideata da Francesco Caprini e organizzata dall’Associazione Culturale Milano in Musica e in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti MilanoCircolo Culturale BentivoglioGSD Gruppo Sportivo Dilettantistico non vedenti Milano ONLUS e la Fondazione Pomeriggi Musicali. Alla vigilia dell’evento abbiamo avuto il piacere di intervistare proprio Francesco Caprini, il direttore artistico della manifestazione, per capire che cosa andrà in scena, per farci svelare il “dietro le quinte” della rassegna di oggi e i progetti futuri di quella di domani.

Francesco Caprini

Tanti gli artisti che andranno in scena nella due giorni milanese, tutti con un obiettivo e una volontà comune: mostrare, come ci ha spiegato lo stesso Francesco Caprini, come l’arte sia un veicolo in grado di abbattere le barriere e di superare i preconcetti. “Il talento – ha scritto l’organizzazione nel comunicato stampa pre evento – è un faro da accendere per avvicinare persone, per suscitare la curiosità, per creare connessioni tra le migliori realtà del territorio che fatica, spesso, a creare una rete di servizi alla persona. Una frammentazione che limita l’operatività di queste entità. Dal talento e dalle arti ripartirà un colloquio, un discorso, che da un sentire comune porti ad un operare comune.
Il mondo della disabilità è veramente ricco di persone che sanno afferrare, concretizzare e trasmettere agli altri in forma di speranza i loro sogni. Uomini e donne che con grande spirito di solidarietà hanno contribuito alla realizzazione di queste due giornate intense e piene di energia positiva. “I talenti delle persone” dis/Abilità, In/visibile.
L’obiettivo è far incontrare i veri protagonisti, artisti dis/Abili in/Visibili e renderli partecipi condividendo le loro esperienze e professionalità”.

Come nasce l’idea di questa rassegna?
La prima edizione è andata in scena nel 2019 con l’obiettivo di mettere al centro del progetto la qualità e far sì che andasse di pari passo con l’importanza “sociale” della manifestazione. La prima edizione ci ha permesso di sperimentare e portare idee nuove in quelle successive”, ci racconta. “Quello che mi spinge a rinnovare ogni anno l’impegno in questa iniziativa è la passione per questo lavoro, la voglia di creare un buon prodotto, che sia di qualità. Motivazioni forti che ci hanno spinto a riprogrammare l’evento dopo che a novembre abbiamo dovuto rinviarlo per “questioni di Covid”, diciamo così”.

Quanta gente vi aspettate?
Il teatro ha circa 130 posti e contiamo chiaramente di riempirli tutti, ma non ci fermiamo solo alla due giorni. L’obiettivo è creare un’onda lunga che prosegua oltre la rassegna, che vada avanti sui social, che ci accompagni fino alla quinta edizione. L’evento verrà ripreso da Rocker Tv e viene sempre promosso sui social di Rock Targato Italia proprio per questo.
Non vogliamo solamente riempire il teatro, vogliamo creare uno spirito di comunità, una dimensione umana in cui ci possa essere contatto, scambio di idee e che sia culturalmente rilevante
”.

Saranno presenti ospiti importanti, uno su tutti Omar Pedrini, ma non solo. Come avete scelto gli ospiti?
Abbiamo scelto e contattato i nostri ospiti e gli artisti che si esibiranno in questi giorni per le loro doti artistiche, ma anche per la loro sensibilità. Da Omar Pedrini ai Vintage Violence, da Nevruz a Ivan Cottini, e tutti gli altri artisti, sono stati tutti contenti di poter partecipare. In particolare mi sento di ringraziare Omar, con cui abbiamo un rapporto di lunga data, fin da quando i Timoria vinsero Rock Targato Italia nel 1987. È il secondo anno che si esibirà al festival e vedere il suo entusiasmo è davvero “forte”. Nonostante i tanti impegni ha fatto di tutto per esserci”.

Che cosa vedremo?
Musica, ma non solo. Ci saranno anche momenti di approfondimento, con incontri e dibattiti che ci permetteranno di parlare di queste tematiche che troppo spesso la società ignora e i media mainstream tendono a utilizzare solo per aumentare l’audience, per strappare una lacrima e un momento emozionale, ma senza la sincera e convinta intenzione di fare qualcosa di positivo per la comunità.
Tanta arte e tantissimi artisti. Da Giacomo Deanna, un chitarrista sardo dal talento eccezionale, ai Vintage Violence, agli Armodia, un duo di Aosta che fa musica barocca, a Greta Carrara e Carlo Battaglini, due scrittori che hanno vinto il premio Camilleri. Insomma, come ho accennato, ospiti ed eventi di livello per una rassegna che possa mettere in evidenza la qualità di questi artisti che abbiamo definito “invisibili”, che troppo spesso vengono valutati prima per la loro disabilità e solo in un secondo momento per il loro talento
”.

Qualche nota “stonata”?
Abbiamo avuto il patrocinio di Regione Lombardia, ma ci dispiace non avere avuto il supporto dal Comune di Milano se devo essere onesto. Ne abbiamo fatto richiesta, ma non abbiamo mai ottenuto una risposta purtroppo. Ci tengo a precisare che non abbiamo nessuna intenzione di fare polemica, sia chiaro, ma ci dispiace perché poteva essere una bella occasione. Riproveremo a coinvolgerli per la prossima edizione”.

Che cosa lascia dentro un evento come questo?
Organizzare questo evento è sempre divertente ed emozionante perché ci troviamo ogni giorno a imparare qualcosa di diverso. Viviamo in un mondo pieno di persone con potenzialità incredibili, che potrebbero fare molto di più, ma si fermano su un divano, non sfruttano le occasioni.
E poi ci sono questi ragazzi, la loro energia, la loro voglia di trasmettere le proprie emozioni al pubblico, il loro talento, nonostante le difficoltà. Sentire la loro musica, stare a contatto con loro è davvero stimolante
”.

Avete già in mente qualcosa per la quinta edizione?
Abbiamo diverse idee e le risposte che abbiamo ottenuto fino a questo momento sono molto positive. Il presidente dell’Unione Ciechi e Ipovedenti di Milano ci ha già comunicato il loro appoggio. Probabilmente non saremo più al circolo Bentivoglio, ma cambieremo location per questioni logistiche. Vedremo”.

Cambia luogo, ma…
“…ma non cambia la nostra filosofia e – soprattutto – non cambierà il messaggio della manifestazione. Un nuovo teatro sarà sicuramente importante, ma l’obiettivo rimane sempre lo stesso, dare voce e visibilità all’arte, alla qualità, ad artisti di talento che troppo spesso vengono messi da parte dai media mainstream. Sfrutteremo i social, amplieremo il nostro pubblico grazie agli strumenti digitali, ma manterremo quella dimensione umana di cui parlavo prima e che fino a questo momento ha contraddistinto questa iniziativa. Questa dimensione è proprio una degli aspetti più belli di questa rassegna. Il contatto diretto con gli artisti, la purezza dell’arte senza troppe costruzione”.

Umanità, talento, arte, qualità: quattro parole chiave, due giorni, un solo (grande) obiettivo.

A cura di Francesco Inverso

Per consultare il programma completo dell’evento vi invitiamo a cliccare qui.

 

Esce “Ruah”, il primo album della flautista Carlotta Vettori

Esce “Ruah”, il primo album della flautista Carlotta Vettori

Esce “Ruah”, il primo album della flautista Carlotta Vettori

8 tracce per raccontare una storia, 8 brani per ripercorrere la vita artistica di Carlotta Vettori flautista toscana che parte dalla musica classica…

8 tracce per raccontare una storia, 8 brani per ripercorrere la vita artistica di Carlotta Vettori flautista toscana che parte dalla musica classica, prosegue nel segno del jazz, si inoltra nel rock per trovare il posto ideale nell’improvvisazione nell’ avanguardia dove il suo essere risuona liberamente.

RUAH parola sanscrita che significa “spirito”, ma anche “respiro” unisce il soffio che permette alle note di uscire dal flauto e il respiro che la musica porta su la realtà terrena evocandone altre.

“CV53 è il nome del quartetto che suona nel disco ed è evidente il rimando alle mie iniziali; il 53 è il numero civico della mia nuova abitazione. -Racconta Carlotta VettoriChe sia affannato, libero, pesante, eccitato, è grazie al respiro che l’essere umano vive e crea suono sia con la voce che, come in questo caso, con il flauto. La bellezza intrinseca nella parola RUAH è che la fine del respiro è apparente in quanto essendo anche “spirito” è senza fine.”

L’idea di questo disco è maturata durate la pandemia dal confronto con un collega flautista che ha spronato Carlotta Vettori a dare forma ad una creatività che da tempo stava cercando la giusta forma per manifestarsi.

“Ho avuto una formazione molto variegata che viene evidenziata nei brani proposti. -Continua- Il disco potrebbe sembrare così poco classificabile, ma è proprio il messaggio che ho intenzione di dare, ovvero togliere i confini di stile che ancora oggi persistono. Spero così di riuscire a far conoscere il flauto nei suoi diversi caratteri e incuriosire un pubblico, il più vario possibile.”

Ecco i brani che compongono il cd

  1. The light in the night è un viaggio nel mondo dei modi e le indicazioni proposte ai musicisti sono rivolte all’aspetto interpretativo e raramente anche a quello ritmico.
  2. Morgef prende il nome dal maestro che ha ispirato questa composizione, nata da una cellula melodica/ritmica che non ne voleva sapere di lasciare la mente dopo una lezione su scale e arpeggi.
  3. Berlino vede la combinazione di flauto e chitarra, scritto qualche giorno prima di partire per la città tedesca, dà ai due strumenti la possibilità di esprimersi nelle diverse e più intime sfumature.
  4. Vertigo di stampo dodecafonico, nasce come trio di flauti. Mantenendo l’ossessivo ostinato e certi frammenti melodici si trasforma grazie alle libere interpretazioni dei musicisti.
  5. Person remebered prende il nome dalla sigla di un telefilm che Vettori sentiva da piccola, non l’ha mai visto ma quella melodia jazz le si è infilata dentro.
  6. Fastungel nasce da un momento di dolore nel corpo, il sollievo non è arrivato dal farmaco ma bensì dalla musica.
  7. Graphosfoné è un solo per flauto nato durante la progettazione di una performance musicale dove la sua formazione classica emerge con forza.
  8. Gazzelloni che chiude l’album è un doppio omaggio a due grandi maestri (Maestri)del flauto classico e jazz: Severino Gazzelloni e Eric Dolphy.