Un amore, attesa che nutre e logora l’uomo

Un amore, attesa che nutre e logora l’uomo

Un amore, attesa che nutre e logora l’uomo

L’attesa come leitmotiv della prosa di Dino Buzzati, fa ora la sua comparsa in scena nelle vesti di un amore, non ricambiato, umiliante, eppure il solo capace di sorreggere l’uomo nell’oscillazione costante tra vita e senso di morte imminente.

Attesa, umiliazione e sesso, tre poli sui quali si snoda un romanzo che travolge il lettore al punto da farlo sentire partecipe in prima persona delle frustrazioni del personaggio. Una tensione che protende verso l’impossibile realizzazione di un amore, Un amore è energia e pulsione alla vita.

Guido Piovene ha parlato di Un amore di Dino Buzzati (1963) come di “un libro che affanna il lettore”, la trama dipinge i conflitti di un uomo maturo, Antonio Dorigo, attratto dalla giovinezza dell’insidiosa Laide.
Sullo sfondo la Milano degli anni ’60, città fervida di vita, città che aggroviglia nel suo dinamismo, nelle sue luci e nelle sue ombre.
Antonio è un architetto, estraneo all’amore, vive con le donne un rapporto quasi “mercenario”, dove la donna è ridotta a mero strumento di piacere, l’incontro di una notte nella casa di appuntamenti della raffinata signora Ermelina.
Ed è proprio durante uno dei suoi abituali incontri notturni che Antonio si imbatte in Laide: giovane, bella, minorenne, bambina e donna al contempo, ballerina di giorno, amante di notte. Quella per Laide si tramuta in breve tempo in un’ossessione travolgente, sconvolgente, che incatena Antonio in uno stato costante di frustrazione, in una tensione al compimento di un amore mai appagato e mai condotto oltre l’atto sessuale in sé.

Il rapporto tra i due è sorretto da un’asimmetria: Antonio dominatore, incapace di vincoli e legami con una donna, diventa il dominato, mentre è Laide, la bambina, a dettare tempi e modi della relazione. Laide mente, inganna Antonio, ma Antonio non può fare a meno di lei.

Laide assume per il protagonista quei contorni di pulsione alla vita che gli consentono di esorcizzare l’idea della morte. La morte è vuoto, Laide riempie il tempo di Antonio, che si arrovella nell’attesa di lei in uno stato perenne di incertezza e attesa. Fino alla perversione, il protagonista costruisce sulla donna irraggiungibile una concezione della propria esistenza vincolata dalla presenza di lei, continuamente attesa e mai afferrata.

Quasi un ribaltamento dell’amore stilnovista, dove a contemplazione e beatitudine si sostituiscono sesso e frustrazione. Uno Stilnovo moderno dove l’amore è rappresentato come situazione umiliante che mette in evidenza la fragilità umana. L’amore dà all’uomo la parvenza di poter colmare il vuoto della morte, ma per contro lo trascina in un baratro altrettanto struggente.

Le dinamiche della relazione tra Antonio e Laide sono descrivibili come di ciclicità e contrapposizione. Contrapposizione laddove Antonio prova per la giovane un sentimento duplice di attrazione e rigetto. Ciclicità poiché il romanzo si conclude con la notizia che Laide aspetta un figlio. Laide conferisce continuità alla vita, mentre Antonio non riesce, fino all’ultima pagina del romanzo, a risolvere a pieno il proprio tormento interiore.

Buzzati orchestra nella vicenda di Antonio una rappresentazione di quella che è la propria concezione della vita come attesa costante di una morte certa. Quello stesso senso di sospensione che aveva già caratterizzato la sua più nota opera: Il deserto dei tartari (1940). In Un amore, però, assume i toni della materia scabrosa e imbarazzante riportata sulla pagina in modo spregiudicato, senza ritegno.
Ecco che l’attesa si fa strumento per protendere al futuro, ed esorcizzare la morte. Nelle parole di Antonio:

“…c’era la speranza e le stesse lotte quotidiane, le attese i palpiti le telefonate riempivano l’esistenza era una lotta insomma una manifestazione di energia e di vita adesso non c’è più niente.”

Il senso ultimo dell’esistere si concreta così, ancora una volta nella prosa di Buzzati, come una tensione umana verso l’avvenire e una rigenerazione costante della vita.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.

Lolita: un romanzo ai limiti della morale

Lolita: un romanzo ai limiti della morale

Lolita: un romanzo ai limiti della morale

Lolita è un romanzo la cui trama potrebbe essere presentata come narrazione di uno “pseudoincesto”, al confine tra pedofilia e il suo riesame in chiave psicanalitica dal punto di vista di Humbert, il patrigno seduttore e stupratore. 

Lolita: la vicenda

Scritto da Vladimir Vladimirovič Nabokov, il romanzo Lolita venne pubblicato per la prima volta nel 1955 a Parigi, destando sin dalla sua prima uscita grande scalpore e scandalo presso il pubblico e la critica.
La vicenda è imperniata su un’ossessione, quella del professore trentasettenne Humbert Humbert per la giovanissima Lolita, appena dodicenne. Lolita è una ragazza lunatica, insolente e sfrontata, è figlia di Charlotte Haze, donna che Humbert sposerà proprio al fine di avvicinare la giovane. Al seguito dell’improvvisa morte di Charlotte, Humbert si assume il compito di recarsi a riprendere la ragazza da un campeggio estivo e, con la menzogna di un ricovero in ospedale della defunta madre, inizia con la figliastra un lungo viaggio attraverso i motel degli Stati Uniti.
È proprio nel corso di questo viaggio che si compie il primo di una lunga serie di incesti, anzi “pseudoincesti” non essendo Humbert padre naturale della giovane. Secondo ciò che si evince dal romanzo, quella di Lolita non è una reazione né di assenso né di dissenso, bensì una sorta di dimostrazione della sua già perduta verginità e acquisita esperienza sessuale. La trama si sviluppa lungo il corso di diversi anni nei quali Lolita è quasi “prigioniera” del patrigno Humbert. L’uomo le offre ogni genere di agio e privilegio ma in cambio impone una precisa richiesta: l’amplesso accompagnato da una passione e un affetto che Lolita non sarà mai in grado di rivolgergli.

Al lettore l’incarico di leggere il romanzo, per approfondire le tortuosità della psiche di Humbert, dal cui punto di vista è narrata la vicenda, oltre che conoscere il finale della vicenda.

La narrazione di uno scandalo

Il romanzo fu senza dubbio uno scandalo: la narrazione di uno stupro dichiarato, intrecciato a pedofilia e incesto. La condanna appare però una reazione troppo semplicistica. Si parta dal fatto che è Lolita in prima battuta a sedurre Humbert, o meglio, se Lolita non si fosse a lui concessa, Humbert si sarebbe limitato a godere passivamente di lei e della sua presenza.
È proprio la “sfida” sessuale che lei gli rivolge a innescare la “relazione”, se così si vuole chiamarla, e la passione irrefrenabile dell’uomo. Lolita riaccende in Humbert un’immagine del passato, quella di una ragazzina da lui tanto desiderata in adolescenza, ma mai posseduta, una relazione conclusasi in un nulla di fatto. Quella per Lolita si trasforma rapidamente in un’ossessione, l’uomo sottopone la ragazza a un rigido regime in cui le è vietato ogni contatto con l’altro sesso e qualsiasi tipo di conversazione con chi, con occhi indiscreti, potrebbe sospettare di loro.
Una vicenda ai limiti della pedofilia dunque, ma non per Humbert. A ben guardare infatti il maturo professore si relaziona con Lolita quasi fosse una coetanea, il rapporto è sbilanciato in età solo sulla carta, nei fatti ciò che Humbert possiede rispetto alla giovane è il potere economico, contro il quale si scontra una profonda immaturità affettiva.
Lolita è quindi un romanzo che attraverso una narrazione apparentemente scabrosa e pornografica apre a una riflessione sul tempo, sul passato irrisolto che ritorna e irrompe nella vita dell’uomo adulto portandolo al reato, all’indicibile. La vicenda non pone il suo perno, non soltanto, sullo scandalo in sé, ma come una sorta di resoconto psicanalitico a posteriori steso dallo stesso Humbert, apre uno squarcio sulla coscienza dell’uomo maturo che rievoca un passato irrecuperabile e nutre un profondo senso di colpa nei confronti della giovane. L’istanza narcisistica che muove il professore è il bisogno di riafferrare un amore perduto e irrecuperabile, lui stesso parla di frequenti crisi e ricoveri, i perfetti recquisiti di un paziente psichiatrico.

Cosa resta di Lolita nella società di oggi?

Cosa resta oggi di un romanzo che ai suoi arbori generò tanto scalpore? Come verrebbe accolta oggi una narrazione di questa portata? E quanto tabù rimane in quella che di fatto è una narrazione priva di riscontro nella realtà e che, per quanto ben oltre i limiti di legalità e morale, non è altro che un racconto di finzione?
Probabilmente neppure oggi verrebbe accolta con lo sguardo che merita. Un giudizio non svalutativo dell’opera di Nabokov non intende concedere un’assoluzione al colpevole Humbert, Humbert resta tale: stupratore, pedofilo e assassino. Ma cosa resta della psiche di Humbert? E cosa resta del passato irrisolto di ogni lettore?
Il romanzo apre forse a una riflessione su quali siano le ripercussioni più evidenti di eventi infantili rimasti irrisolti nell’uomo adulto. Quando il passato non si risana, quando l’ossessione rimane, quali manifestazioni mette in campo? Nella società odierna, quella che scardina i tabù, o almeno ci prova, un libro come Lolita dovrebbe essere accolto non come la celebrazione di un laido criminale, ma come lo spunto di riflessione sul proprio io. Quali tabù, quali azioni indicibili il lettore commette in silenzio, nell’intimità della propria coscienza? Azioni che la società non accoglierebbe, e che è buona cosa non dire ma compiere nell’ombra dell’omertà. Lolita riletta oggi, eruditi di nozioni psicanalitiche e in preda a una smania sociale di scardinare ogni dogma della tradizione, dovrebbe invitare il lettore a riflettere sui propri pensieri innominabili, farsene carico e condurli a una risoluzione che diversamente da Humbert non si traduca nel reato e nella totale perdita del senno e di sé.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.