Leon Battista Alberti: la prima grammatica della lingua italiana

Leon Battista Alberti: la prima grammatica della lingua italiana

Leon Battista Alberti: la prima grammatica della lingua italiana

Leon Battista Alberti, grande umanista che scrive sia in latino sia in volgare, opera in un’epoca di grande fermento culturale che investì dapprima la penisola, in seguito tutta l’Europa; è autore di un primo abbozzo della grammatica della lingua italiana, detta “grammatichetta”.

L’Umanesimo volgare, inaugurato nel secondo Quattrocento da Leon Battista Alberti, rientra nel più vasto movimento culturale che, dalla fine del Trecento e fino agli albori del Cinquecento, sarà propedeutico agli splendori del Rinascimento.  Eppure il magnifico Umanesimo, derubricato nei manuali scolastici (e talvolta universitari) a epoca monda e luminosa, senza incrinature, presenta alcune criticità che Antonio Gramsci non manca di sottolineare cinque secoli più tardi: perché la cultura italiana e umanista, oggi come allora, appare lontana dagli interessi della “nazione”, avulsa da un rinnovamento profondo del senso del sapere e dell’educazione: cosa può la semplice intelligenza di fronte all’emergenza della contingenza?  Senza addentrarci in un terreno scivoloso nel quale si rischia di impantanarsi in sterili polemiche, Leon Battista Alberti, archetipo ideale dell’umanista dedito allo studio e alla cultura dei classici antichi, riesce a dare nuovo corso ad una cultura letteraria che in larga misura giudicava la lingua volgare frutto dell’infrazione grammaticale del latino. 
Leon Battista Alberti nasce a Genova: il padre, neanche a dirlo, è un esule fiorentino, nonché banchiere; la madre, una nobile genovese. Si forma presso le università di Padova e di Bologna, occupandosi principalmente di giurisprudenza, ma senza trascurare i suoi interessi in campo letterario e architettonico.  Forse a causa di problemi legati all’eredità paterna che i suoi parenti gli negavano, Alberti nel 1431 intraprende la carriera ecclesiastica: è segretario del patriarca di Grado; l’anno successivo giunge a Roma presso la corte di papa Eugenio IV in qualità di abbreviatore papale (ossia, in qualità di funzionario il cui incarico consisteva nel redigere la bozza delle temutissime bolle papali).  Alberti rivestì l’incarico per ben 34 anni, vivendo a Roma, ma viaggiando in numerose città europee e italiane (Rimini, Firenze, Mantova), nelle quali realizzò importanti progetti di architettura.  Nel 1452 Alberti pubblica il De re Aedificatoria: questo trattato cardine nell’ambito dello studio architettonico quattrocentesco pone le regole della progettazione di edifici i quali, in ottemperanza agli ideali di armonia e grazia, sono pensati in relazione allo spazio e alla funzione. Tali edifici, sotto il profilo stilistico, esibiscono un ampio repertorio classico, derivando dall’architettura romana, ad esempio, la monumentalità spaziale, le colonne, le volte, nonché le ampie cupole. Ma ancor più importante, nel De re aedificatoria Alberti pone le basi di una nuova concezione dell’architettura, intesa non più come attività legata essenzialmente al cantiere, ma come attività pienamente intellettuale: l’architetto è, secondo Alberti, a tutti gli effetti un intellettuale le cui capacità si sintetizzano in progettazione, competenze estetiche ed etiche. 
Come già accennato, gli sforzi dell’Alberti si profusero anche in campo letterario e linguistico. A ben vedere il poliedrico umanista, a differenza di gran parte dei suoi contemporanei, era convinto che il volgare italiano fosse oramai maturo per affrontare argomenti seri e importanti non solo in poesia, ma anche in prosa scientifica e nei trattati.  Si attribuisce all’Alberti, intorno al 1440, la stesura della prima grammatica dell’italiano: essa ci viene trasmessa da un codice conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma. Questa precocissima grammatica dell’italiano, che tratta del fiorentino nell’uso vivo al tempo dell’Alberti, è nota col nome di grammatichetta in relazione proprio alle piccole dimensioni dell’opera, la quale conta sedici carte in tutto.  Nonostante l’umiltà di queste carte, è importante sottolineare che con la stesura di una grammatica dell’italiano (l’unica grammatica di una lingua romanza redatta prima di quella dell’Alberti è il Donatz proensals di Uc Faidit, per la lingua poetica dei trovatori), l’Alberti intendeva inserirsi nel dibattito umanistico circa la nascita e la dignità del volgare, dimostrando che anche il volgare aveva, come il latino, delle regole grammaticali.  La grammatichetta, pur precoce, non ebbe seguito: non circolò e non fu data alle stampe. Bisognerà aspettare la prima metà del Cinquecento per delle grammatiche della lingua italiana di ampia diffusione, come quelle di Bembo e Fortunio. Ciò non va a detrimento, tuttavia, del grande contributo fornito da una mente geniale, curiosa, e caratterizzante un’epoca, il cui lascito spazia dall’arte alla letteratura. 

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.