Venduta la casa di Dante Alighieri!

Venduta la casa di Dante Alighieri!

Venduta la casa colonica di Dante Alighieri: avrebbe incontrato lì Beatrice

Un immobile storico dal fascino unico e senza tempo, dove il Sommo Poeta potrebbe aver visto per la prima volta Beatrice…

Oltre Fiesole, a meno di quindici chilometri dal centro storico di Firenze, si trova la splendida casa colonica del XIII secolo appartenuta al Sommo Poeta Dante Alighieri che la società fiorentina Lionard Luxury Real Estate S.p.A. ha recentemente venduto (https://www.lionard.com/it/splendida-casa-colonica-del-XIII-secolo-a-fiesole.html). Un immobile unico perché legato al padre della lingua italiana; appartenuto alla sua famiglia e utilizzato come piacevole luogo di villeggiatura, gli fu confiscato in occasione del suo esilio, per poi essere successivamente restituito al figlio Iacopo.

Oltre ad essere ricordato nella lapide murata sulla facciata, è riportato da diversi testi storici, tra questi, ad esempio, uno di Otello Tordi in cui si legge: “[..] Questo podere denominato Radola appartenne al Divino Poeta; fu a lui confiscato con gli altri beni di famiglia quando le fazioni dilanianti la Repubblica fiorentina lo ridussero ramingo per l’Italia. Ma al figlio suo Iacopo Alighieri venne restituito nel 1342”.
Anche altre pubblicazioni storiche ripercorrono il passato della dimora venduta da Lionard e la descrivono anche come il luogo di villeggiatura prediletto della famiglia fiorentina Alighieri.
Ne parla, ad esempio, Alessandro Barbero, storico, accademico e scrittore italiano specializzato in storia del Medioevo, nell’opera “Dante”. Qui l’autore ripercorre la vita del Poeta e descrive anche il periodo dell’esilio, con documenti relativi ai beni confiscati. Più precisamente si legge: “[…] Dante aveva posseduto un podere alla Radere, nel popolo di San Miniato a Pagnolle, sulle colline di Fiesole (oggi in località le Radole o la Radola), con case da ‘signore’, cortile, pozzo, capanna-forno, casa da lavoratore, arativo, vigna, ulivi e alberi […]”.

Il fascino della proprietà è, però, legato anche alla figura di Beatrice.
Vicino alla proprietà appartenuta a Dante Alighieri, infatti, si trova anche l’imponente villa “Montecchi” dei Portinari. “Non è improbabile, dicono alcuni – dichiara sempre Tordi nel testo sopra citato – che Dante e Beatrice si siano incontrati per la prima volta e conosciuti qui ove le loro famiglie venivano a villeggiare. Si è indotti a pensare che si vedessero affacciandosi alle finestre delle loro stanze”.
La storicità dell’immobile venduto dalla società Lionard non è il solo pregio della casa colonica. Anche le sue caratteristiche intrinseche hanno contribuito a determinarne l’appeal commerciale.
L’immobile è anche un capolavoro di bellezza. All’esterno è incorniciato da ampio e florido terreno di proprietà recintato che si estende per 1,2 ettari con un delizioso parco tenuto a prato di 5.000 mq, in cui sorge un giardino d’inverno e un ampio roseto, 4.900 mq di oliveto e ulteriori 2.100 mq di area boschiva.

La superficie interna, pari a 650 mq, comprende la bella villa padronale di 420 mq e, in posizione adiacente, un annesso di 220 mq su due livelli, originariamente adibito a granaio ed ora finemente ristrutturato, con due salotti, una cucina, tre camere e due bagni, oltre due terrazze. Al piano terra della dimora principale l’ingresso immette nella zona giorno con salone e sala da pranzo, una cucina con locale lavanderia, uno studio e un servizio. Al primo piano un secondo salotto conduce alle tre camere da letto e a due bagni, oltre al guardaroba. Salendo ulteriormente si accede alla caratteristica torre, con un ulteriore ampio locale.

Tra le pregiate finiture d’epoca ben conservate troviamo: porte, scale e molti dei pavimenti realizzati con travi in legno secolari che ben si sposano con lo stile rustico degli ambienti interni, cui si aggiungono importanti comfort di ultima generazione a render ancora più piacevole il soggiorno, tra cui un moderno impianto di domotica con controllo da remoto.

Nicola Pietrangeli, once upon a time in Rome

Nicola Pietrangeli, once upon a time in Rome

Nicola Pietrangeli, once upon a time in Rome

Il tennis come pretesto per viaggiare e conoscere il mondo; le amicizie, le donne e il divertimento con i colleghi. Quando il tennis era povero ma bello.

Racconta Nicola: “Questa barzelletta è fortissima: gara di tiro all’animale. Un francese con un solo colpo di fucile fa fuori due anatre. Un inglese uccide un paio di volatili con una freccia. Infine, arriva un giapponese che sguaina uno spadone, con cui, dopo aver emesso alcuni suoni gutturali, fende l’aria scagliandosi contro una zanzara che però continua a volare. Al termine dell’esibizione il capo della giuria lo convoca sul palco e gli dice: guardi che la zanzara vola ancora. Sì, risponde lui, ma non scopa più. Ogni volta che gliela raccontavo, Mastroianni si contorceva dalle risate. Con il Principe Ranieri invece era più difficile; quando ne raccontava una, guai a fargli capire che la sapevo già”.

Mastroianni, Ranieri di Monaco; con il protagonista di questa storia si finisce sempre per arrivare alle teste coronate. Come gli rimproverava con il sorriso il suo amico e compagno di doppio Orlando Sirola: “tu esci solo con le principesse, sei un arrampicatore sociale!”. Eh sì, Parigi, Montecarlo, la Swinging London; e poi Roma, Via Veneto, la Dolce Vita… Anitona… Marcello… Nicola, come here.

E Nicola Pietrangeli ci arriva davvero a Roma. Da Tunisi. La madre, Anna, è una russa di buona famiglia in fuga dal regime sovietico; il padre, ingegnere, che aveva portato la famiglia lì per lavoro, viene internato in un campo di prigionia alleato durante la Seconda Guerra mondiale, e la prima partita di tennis per Nic è un doppio con il suo genitore, in un campo vicino al carcere fatto costruire proprio dall’ingegnere.  Ha tredici anni, e parla francese e russo; “imparando l’italiano”, dira poi, “ho perduto la lingua di mia madre, e non ho potuto imparare l’arabo”.

Si divide tra calcio e tennis, e continuerà così per qualche anno. Dopo un triennio nelle giovanili della Lazio e la prospettiva di un passaggio alla Viterbese, sceglie la racchetta. Non per i soldi, che sono pochi in entrambi gli ambiti, ma per la libertà di non essere di proprietà di nessuno, e per i viaggi: “con il tennis magari arriverò fino a Milano…”.

Eccolo, il senso di Nic per la vita: viaggiare, incontrare, divertirsi, ma con classe: “L’importante non è essere miliardari, ma vivere come un miliardario”. Ricco di aneddoti intorno al campo da gioco e benevolo con sé stesso e quelli della sua generazione, instancabile promoter di sé medesimo.

Sin dall’inizio mostra alcuni aspetti della sua indole che ne segneranno la carriera e nondimeno gli accadimenti off court; la pigrizia e la sostanziale indifferenza verso il tennis.

Il disprezzo verso la routine e il genio a indulgere verso atteggiamenti poco da atleta. Racconta il suo amico intimo Gianni Clerici, ex tennista non fenomenale ma grande scrittore e giornalista scomparso lo scorso maggio, che una volta, avendo un incontro di finale a Como, Pietrangeli passa la mattina a fare sci d’acqua sul lago, per approdare poi a Lezzeno (circa venti chilometri dalla città) e pranzare, non accusando minimamente inappetenza da prepartita. Dopo un altro po’ di pratica sul pelo dell’acqua il gruppetto si presenta in città, e Pietrangeli distrugge in poco tempo il malcapitato finalista.

Vita notturna, donne e feste saranno un continuum per il nostro eroe, e Clerici, di tre anni più grande, racconterà nel suo “500 anni di tennis” di come cercò più volte di staccarlo dalle sue “distrazioni” preferite, soprattutto quando vi indulgeva a poche ore (teoricamente di sonno) dalla disputa di un incontro importante.

Vince due volte gli internazionali d’Italia, in una delle finali sconfigge Rod Laver: roba seria. Nello stesso anno il suo amico Mastroianni rifiuta la parte di Yuri Zivago nel film tratto da Pasternak; al telefono chiede a un amico di dire “io da Roma non mi muovo”. Quell’amico, come racconterà divertita la “voce misteriosa” stessa, è Nicola: “Marcello era più pigro di me”.

Vince due Roland Garros, nel 1959 e 1960, e perde due finali nel 1961 e 1964, contro il giovane Manuel Santana. Alla vigilia della terza finale torna a Roma per la nascita del suo primo figlio; rientra a Parigi giovedì e si accorge che lo hanno aspettato. Di queste pietre miliari della sua carriera lui si diverte a ricordare i premi irrisori in denaro, l’amicizia con Santana (“dopo che mi sconfisse in finale, saltai la rete per congratularmi e non trovai nessuno: Manolo aveva strisciato sotto la rete ed era passato di là, come faceva quando era un povero raccattapalle”) e il piacere di incontrare gente, di presentarsi in smoking in alberghi bellissimi a Cannes. Va fiero delle sue amicizie con Sinatra, Sean Connery e Anthony Quinn; parla disinvolto persino della sua amicizia con il mafioso Joe Adonis (“persona squisita”).

Anni dopo, nel 1989, all’annuale ricevimento dei giocatori durante il torneo di Montecarlo, Nicola si presenta in coppia con l’amico di scorribande Ilie Nastase, entrambi agghindati in un femminile echeggiante il Charleston anni 20, roba da far impallidire Pola Negri. Sia Nick che il ragazzaccio rumeno appaiono più disinvolti di Jack Lemmon in “A qualcuno piace caldo”.

Pietrangeli è il giocatore che in assoluto ha disputato più incontri con la maglia della propria nazionale: 164 tra doppi e singolare, vincendone 120. Negli anni 60 la Federazione Italiana Tennis era una delle poche che pagava gli atleti, e la sua longevità è anche quella di Sirola, Merlo e Fausto Gardini. Giocherà due finali, perdendole entrambe. La vince da capitano non giocatore nel 1976, resistendo alle pressioni di chi in Italia non voleva che la Nazionale andasse a giocare a casa di Augusto Pinochet.

Nel 1977 perde la finale di Davis In Australia e viene messo in discussione; i rapporti interpersonali con la squadra, soprattutto con Adriano Panatta, non sono buoni. Pietrangeli viene messo da parte. Dopo più di quarant’anni i rapporti non sono migliorati. Incomprensioni, polemiche, frasi di troppo o parole non dette che avrebbero migliorato le cose. Nic pubblicamente rimprovera ad Adriano di non essere sincero; salvo poi dire di sé stesso: “nemmeno io sono la bocca della verità; ogni tanto anche io sbaglio…”.

La mancata verità come sbaglio, come ricordo non più limpido…

I ricordi sono come pietre composte da materiali di diversa consistenza; con il tempo vengono limati e perdono le parti più volatili e leggere, portate via dalla lenta e incessante opera degli agenti atmosferici, rimanendo le parti più consistenti e dure. Il negativo delle memorie si perde nelle traiettorie invisibili del vento dell’oblio, e il bello degli attimi passati rimane a dirci che è valsa la pena di vivere ogni istante. Nicola Pietrangeli ad ottantanove anni (complimenti!), è uno degli ex sportivi più intervistati. Più di tanti campioni di calcio di Spagna ’82; in lui si cerca l’opinione del grande vecchio, l’immancabile “il nostro tennis era più divertente”. Ma anche e soprattutto l’aneddoto, la storia bislacca, incredibile ma che “se la dice lui è vera”.

Perché Nic ha diritto alla sospensione dell’incredulità. Se l’è meritata. A noi appare come un ragazzino pronto ogni volta a stupirsi e a stupire, a guardare al giorno che inizia come a una nuova occasione per sperimentare il mondo e la gente; un uomo che, come disse Orson Welles di Fellini, forse a Roma non ci è ancora arrivato, perché sente che, ancora oggi, il viaggio più bello sarà il prossimo.

Grande Pietrangeli, forse il più grande tennista italiano di sempre, sicuramente il più titolato.

A proposito Nicola, ci racconti di quella volta che…

 

Danilo Gori

Scoperte: il duomo di Firenze era a colori!

Scoperte: il duomo di Firenze era a colori!

Scoperte: il duomo di Firenze era a colori!

Sono state scoperte estese tracce di colore sul gruppo scultoreo in marmo della Madonna col Bambino e Angeli adoranti, realizzato tra il 1359 e il 1360, che confermano che il gruppo scultoreo era in origine policromo…

Il Duomo di Firenze era a colori, la scoperta è stata fatta durante il restauro della Porta dei Cornacchini, iniziato a settembre 2021 e terminato da pochi giorni.

Grazie a questi lavori sono state scoperte estese tracce di colore sul gruppo scultoreo in marmo della Madonna col Bambino e Angeli adoranti, realizzato tra il 1359 e il 1360, che confermano che il gruppo scultoreo era in origine policromo.

Rimuovendo considerevoli depositi di sporco superficiale e fenomeni di degrado di varia natura, i restauratori hanno portato alla luce la preziosa decorazione damascata della veste del Bambino, priva della lama metallica oramai perduta, la pupilla dell’occhio sinistro della Vergine e, in aree circoscritte, il colore azzurro – verde dell’interno del manto della Vergine e tracce di rosso sull’esterno oltre i toni di panna-avorio della veste dell’angelo sinistro.

 

È la prima volta che vengono ritrovate tracce così estese di colore su sculture che decorano o decoravano l’esterno del Duomo di Firenze. In precedenza erano stati individuati minuscoli segni di doratura e di colore azzurro su altre sculture della Cattedrale.

Con ogni probabilità la Madonna col Bambino e Angeli adoranti non era l’unica delle decorazioni scultoree policrome del Duomo di Firenze, che oggi appaiono del colore bianco del marmo. Fenomeni di degrado ma anche interventi estetici e conservativi, eseguiti nei secoli precedenti, hanno contribuito alla loro perdita. Un Duomo, dunque a colori, che insieme ai marmi bianchi, verdi e rosa delle facciate esterne e ai mosaici di color rosso e oro della facciata arnolfiana Canonici doveva togliere il fiato per la bellezza.

Il restauro della Porta dei Cornacchini e del rivestimento marmoreo del lato nord della Cattedrale di Firenze, per un totale di oltre 1.000 metri quadrati, è stato commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore con il contributo della Fondazione CR Firenze sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. L’intervento è stato eseguito dai restauratori della Leonardo.

Purtroppo non rimane molto della policromia della Madonna col Bambino e Angeli adoranti perché sulla maggior parte delle superfici del gruppo scultoreo è presente uno strato compatto di ossalato di colore bruno, che le indagini diagnostiche stratigrafiche hanno dimostrato essere a diretto contatto con il marmo, e sopra al quale si distingueva nettamente un altro strato costituito da depositi superficiali e da un prodotto al fluorosilicato, steso in un intervento degli anni 50 del Novecento. Lo strato bruno è plausibilmente il prodotto finale di uno scialbo a base proteica con funzione protettiva e al contempo estetica che ha subito nel tempo un’alterazione cromatica inscurendosi. In accordo con la Soprintendenza è stato scelto di rimuovere i depositi superficiali e il prodotto a base di fluorosilicato e di lasciare lo strato bruno che è un protettivo naturale ed ha permesso di preservare il marmo della scultura che risulta in buono stato conservativo.