Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Perché nelle notte più buie cerchiamo disperatamente una luce. E il 2022 ci ha regalato una flebile fiammella di una candela…
Il discorso di fine anno di cui non sapevi di avere bisogno, ma che non ti meriti.

Ed eccoci a una nuova fine di un altro anno. Un momento di cui tutti – per quanto non ci piaccia ammetterlo – abbiamo bisogno. Ne abbiamo disperatamente bisogno. Come abbiamo bisogno di Sanremo (la settimana dell’anno in cui possiamo sfogare la nostra frustrazione: insultando il presentatore di turno o insultando chi insulta il presentatore di turno, in un meccanismo tremendamente “Inception”).  Perché un anno che si chiude è un momento per tirare una riga e fare i conti, un momento per ricaricare le pile e ripartire. E no, non è una questione solo di ferie e di riposo. È la necessità di mettere un punto in questo eterno divenire.

Se volessimo usare una locuzione abusata e violentata dalla retorica web degli ultimi anni potremmo definire il 1 gennaio 2023 come un “punto di ripartenza”. Perché fermarci non ci siamo mai fermati, anche se fatichiamo a rendercene conto: ci si muove sempre, si cambia e si vive anche seduti sul divano, con una copertina sulle ginocchia, un occhio alla televisione e un calice di vino in mano (scelta accuratamente dalla nostra Top dei vini del 2022, perché autocitarci ci piace parecchio, ndr.). Tirare le somme, spegnere il cervello per una sera e ripartire con i postumi dell’ennesimo anno passato.

2022
E questo 2022 merita davvero che gli venga tirata un spessa riga sopra. Un annus horribilis che ci ha tormentati, messi alla prova, spinti a guardare nuovamente il nostro futuro con pochi punti fermi e tanti punti di domanda. I venti che hanno soffiato dal nordest ci hanno sussurrato parole che mai avremmo voluto sentire. Venti freddi, gelidi. Venti di guerra tanto vicini a marzo e adesso finiti in un mare dolce di dimenticanza, perché sembra che ci si abitui a tutto, anche alla morte (degli altri specialmente). Venti che adesso sembrano una brezza che infastidisce, ma non un uragano. L’uragano sono l’aumento delle bollette e il caro elettricità. Quello sì che fa male. La morte degli altri, invece, sembra quasi tollerabile.

Venti di guerra, postumi pandemici, i Jalisse fuori da Sanremo. Ma le difficoltà non dovevano esaurirsi il 31 dicembre 2020? No. Lo speravamo, ma lo sapevamo. Non è vero che “va sempre peggio”, ma molto spesso abbiamo troppe aspettative per quello che, in fondo, non è altro che un foglio di carta che viene girato, un numero che aumenta progressivamente. Che cosa cambia da un anno all’altro? Solo una cifra, ma a volte ce lo dimentichiamo.

Gli eventi peggiori dell’anno li abbiamo riassunti in questo articolo firmato dalla nostra Martina Tamengo, ma questo 2022 ci ha lasciato anche qualcosa di positivo, una – seppure molto piccola – rinascita e un ritorno alla normalità. Siamo tornati a saltare ai concerti, a goderci un film al cinema. Siamo tornati a mettere play alle nostre vite, nonostante tutte le accortezze che un inverno post pandemico ci può lasciare. Abbiamo ricominciato a guardarci sorridere e non più solo a immaginarli sotto una mascherina, con in mano un pacco di pane e i minuti contati.
È vero: non possiamo considerare il 2022 come un anno positivo, specialmente alla luce del conflitto russo-ucraino e quella costante sensazione di essere su una pentola a pressione pronta a esplodere. Non è positivo, ma è stato un modo per ricominciare.

Perché nelle notte più buie cerchiamo disperatamente una luce. A volte non si trova, ma non dobbiamo mai smettere di cercarla. E il 2022 ci ha regalato una flebile fiammella di una candela. Perché il meglio non ce lo regala il calendario, ma la voglia di fare un passo avanti verso l’uscita.

Che cosa ci aspettiamo dal 2023? Beh…ditecelo voi. La lezione “Paolo Fox e l’oroscopo del 1 gennaio 2020” l’abbiamo imparata. Col ca**o che facciamo previsioni.

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Le 5 cose che ci saremmo risparmiati nel 2022 – IVN AWARDS

Le 5 cose che ci saremmo risparmiati nel 2022 – IVN AWARDS

2022: 5 cose che ci saremmo risparmiati 

Se il 2020 ci era sembrato un anno decisamente “da dimenticare”, era solo perché ancora non sapevamo cosa ci avrebbe atteso. Come nei migliori film apocalittici, il lieto fine tanto atteso ha costituito solo il preludio di un non meno rassicurante e inaspettato prosieguo.

A ogni febbraio la sua sventura

È arrivato il momento di tirare le somme, dicembre è ormai al termine, anche per quest’anno Michael Bublé ci ha regalato la sua trita compilation di canzoni natalizie, e come ogni fine anno che si rispetti è anche il momento migliore per fare un bilancio. Peccato che il bilancio non sembra essere dei meglio riusciti. Se al termine del 2020 ci sentivamo un po’ come Will Smith sopravvissuto al contagio in Io sono leggenda, era solo perché non sapevamo ancora in quale putiferio saremmo stati catapultati. Per sommi capi, vediamo almeno cinque avvenimenti di questo 2022 che ci saremmo volentieri risparmiati e che forse preferiremmo dimenticare.

Al primo posto certo per drammaticità e portata sta lo scoppio del conflitto in Ucraina. Febbraio 2022, stessa storia, stesso posto, stesso bar, come catapultati indietro a febbraio 2020, un nuovo evento drammatico di portata mondiale si abbatte sull’Europa orientale: la Russia invade l’Ucraina. L’intervento armato, preceduto da un lungo ammassamento delle forze russe sul confine, deflagra in conflitto il 24 febbraio 2022. Parallelo e interrelato, l’indebito riconoscimento e annessione da parte della Russia della regione del Donbass (interna ai confini ucraini). Se due anni di pandemia non avevano già sufficientemente inciso sugli umori e sull’economia mondiali, comportando un drastico effetto di recessione economica, la guerra russo-ucraina ha per così dire dato il colpo di grazia.
Un secondo elemento correlato al tema “guerra”, che di questo 2022 avremmo certamente fatto a meno, è il caro energia e l’esponenziale aumento dei prezzi sui beni di prima necessità, conseguenti all’insorgere del conflitto. Già fortemente provati da quasi due anni di oscillante andamento economico, tra momenti di stasi nei periodi di lockdown e fasi di ripresa, questo rincaro dei prezzi proprio non ce lo meritavamo. Giusto un paio di dati per rendere il quadro. L’Europa dipende attualmente per il 40% dai rifornimenti di gas russo, Mosca costituisce inoltre il principale fornitore di petrolio. Se questa dipendenza energetica si è ripercossa direttamente sulla nostra quotidianità, dalla bolletta energetica ai rifornimenti di benzina, ha aggravato ancora di più i settori della produzione industriale e manifatturiera. Per non parlare dell’incremento del 9% dei prezzi del grano e cereali, prodotti di primaria necessità alimentare, oltre che fulcro e fondamento dell’alimentazione mediterranea.

La politica non ci assiste

La carrellata procede. Già destabilizzati da un clima di conflitto che sembra aprire le porte a un potenziale rischio di guerra mondiale, tra invii e rifornimenti d’armi, annessioni potenziali all’UE e minaccia dell’arma atomica, una figura pregnante della storia novecentesca decide di abbandonarci: l’8 settembre 2022 la regina Elisabetta II muore all’età di 96 anni. Una svolta storica, l’apertura di una nuova, meno florida, era. Incoronata il 2 giugno 1953, la sua figura, il suo volto rassicurante, hanno accompagnato i principali eventi della storia novecentesca. Donna pacata, ragionevole e diplomatica, da quasi un secolo perno di riferimento della storia inglese. Se è vero che sono sempre i migliori che se ne vanno, questa definizione calza a pennello per il caso specifico. In particolare se si guarda alla nuova coppia regale inglese, la cui fama già compromessa dalle discutibili vicende associate alla figura di Diana, risulta ora ulteriormente minata dal generale scontento della popolazione inglese, che poco si riconosce nei sentimenti verso il nuovo sovrano.
Come se non fosse sufficiente, guardando giusto più vicino a noi, le cose non sembrano essere andate meglio. Il 25 settembre Giorgia Meloni vince infatti le elezioni con la nomina di Presidente del Consiglio dei Ministri, formando la propria squadra di governo con un trionfo del 26%. Sembra che gli italiani abbiano perso senno e memoria. Riappare così lo spettro di una storia già vista, nella direzione di un conservatorismo che sembra affiancare a patriottismo, famiglia e “solidità” morale una retrocessione nella conquista di diritti e libertà per cui tanto si è combattuto in questi anni. Ma poi, di quali valori stiamo parlando? Cancellazione del diritto all’aborto? Annullamento della libertà di espressione (sessuale e identitaria)? Adito all’evasione fiscale nella proposta di innalzare il tetto di prelievo del contante? Sembra più che altro il ritorno a qualche bizzarra forma di dittatura sudamericana, tra latitanza e illegalità.
La somma di tutti questi eventi apre alla memoria uno squarcio sul passato, un passato che pare istruirci soltanto sul come la storia non insegni proprio nulla all’essere umano.

Non esattamente un “lieto fine”

Sulla scia dell’apparente “moda” di violare qualsiasi forma di diritto e libertà, due eventi, congiungi per drammaticità, stanno concludendo questo improbabile 2022. Lì considereremo insieme sotto il titolo di: negazione di libertà e autonomia. Da un lato le proteste in Iran in nome di un’autodeterminazione negata; dall’altro la prossima coppa del mondo in Qatar. Ma cosa si cela dietro a questi due lampanti esempi di violazione totale dei diritti umani oltre che di incapacità da parte dell’Occidente di “esportare” quella pace di cui tanto si professa messaggero? Se guardiamo ai mondiali in Qatar vediamo una nazione del tutto incurante di qualsiasi diritto, presso la quale è stato deciso nonostante la sua totale inadempienza alle convenzioni internazionali, di tenere i Mondiali di calcio. Questo porta a far riflettere sulle contraddizioni di un Occidente che, da un lato rigetta una nazione contraria al suo sistema valoriale, e dall’altro a suo modo la accetta nella disponibilità a tenervi gare sportive. Annullando completamente quel senso di inclusione e pacifico agonismo che lo sport dovrebbe veicolare. Un solo dato per rendere l’idea: risulta che oltre 6500 lavoratori immigrati siano morti durante la costruzione delle strutture adibite all’accoglimento dell’evento calcistico. Parallelamente, in Iran, si sta consumando una strage civile nel nome della rivendicazione di libertà che stanno venendo totalmente calpestate, misconosciute e contrastate con violenza e oppressione.

Dunque quale bilancio fare? Si potrebbe dire di essere passati dalla padella alla brace.
Ogni lettore trarrà le sue più o meno positive conclusioni su questo anno travagliato sebbene certamente attraversato da positivi eventi. Quello che rimane è un senso di amarezza, se avessimo potuto risparmiarci questa carrellata di notizie, certo non ne avremmo sentito la mancanza. Cosa fare dunque per evitare che si protraggano? Cosa per impedire si ripetano? Concludiamo questo 2022 con l’auspicio che l’anno a venire possa aprire spunti di riflessione, preferibilmente con qualche morbo pandemico, catastrofe naturale e guerra in meno, e un po’ più di saggezza geo-politica da parte di chi detiene il potere.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.

Eurovision 2022: è qui che si nascondono i nuovi Maneskin?

Eurovision 2022: è qui che si nascondono i nuovi Maneskin?

Eurovision 2022: è qui che si nascondono i nuovi Maneskin?

Ebbene sì, mancano pochissimi giorni all’inizio della maggiore competizione musicale europea: Eurovision. Un primo ascolto alle canzoni in gara.

Grazie alla vittoria dell’ultima edizione da parte dei Måneskin, quest’ anno tocca all’ Italia ospitare l’evento, che si svolgerà all’ombra della Mole di Torino. Il capoluogo piemontese è in fermento e in parallelo alla gara che si svolgerà dal 10 al 14 maggio è stata programmata una lunga e ricca serie di eventi culturali e mondani. Inoltre, i turisti stanno affollando la città: all’aeroporto Sandro Pertini (aka Torino-Caselle) si sono registrati 55.000 sbarchi in più rispetto alla media annuale!

In tutto questo fervore ho deciso di prendermi due ore per fare un viaggio musicale intorno al mondo del 2022 e ascoltare con attenzione le 40 canzoni che parteciperanno alla gara (avrebbero dovuto essere 41, ma la Russia è stata esclusa).

E quindi, grazie a Spotify che ha dedicato una playlist all’ evento, mi sono lanciato in un rapido tour di due ore per le maggiori capitali del Vecchio Continente (e lo ammetto, a volte avrei voluto girarmi e tornare a casa!).

LE CANZONI

Come potete immaginare, avere il successo dell’anno scorso sarà complicato per chiunque vincerà dato il paragone con quello che è il più fulgido esempio di boom nell’ industria musicale degli ultimi anni: i Måneskin.
Ma comunque, cercando di non fare troppi paragoni (anche se, a me la band di Roma piace molto) ora vi parlerò delle canzoni che saranno presentate e farò anche le mie previsioni su chi si porterà a casa il massimo premio.
Per comodità procederemo in ordine alfabetico per nazione:

  • Albania: SEKRET di Ronela Hajati. Testo in parte in albanese e in parte in inglese per la nostra vicina di casa (che su Spotify vanta circa 200.000 ascolti mensili), contornato da una musica che richiama le dive Hip-Hop di oltreoceano. Niente male per la musica, ma deludente la struttura del pezzo. Le parti di testo aggressive trovano il mio gusto, ma non mi pare ci sia nulla di innovativo o che colpisce particolarmente.
  • Armenia: Snap di Rosa Linn. Dal paese che ha dato i natali ai System of a Down (statunitensi, ma di origine armena) ci si aspettava qualcosa di più incisivo, almeno per quanto riguarda la musica. Una bella canzone con un ritornello che si fa cantare per i cori “paraculi” ­– rubando una definizione alla X-Factor –, ma anche qui nulla di eclatante. Una piccola nota va però alla scelta di non caricare la canzone di elettronica, al contrario di quanto hanno scelto di fare moltissimi altri partecipanti.
  • Australia: Not the Same di Sheldon Riley. Gran bella voce e una base studiata a pennello mi fanno apprezzare questo pezzo lento, ma con un carattere incisivo. Se ci si lascia trascinare ascoltandolo con le cuffie a un buon volume escludendo il mondo esterno, ci può dare dei brividi. Occhio a Sheldon (anche se i bookmaker gli danno solamente l’1% di possibilità di vittoria).
  • Austria: Halo di Lum!x feat. Pia Maria. Qui abbiamo una formula vincente: un flow rodato (non una novità ma un classico che funziona sempre), un testo semplice e con parole che si fanno cantare facilmente, una buonissima dose di cassa dritta (di cui non sono per niente fan, ma che bisogno ammettere che funziona sempre) e un drop che fa battere le mani al pubblico. Classica canzone che si può ascoltare durante una serata o in palestra. Funziona bene ovunque.
  • Azerbaigian: Fade to Black di Nadir Rüstəmli. Eh, no dai. Canzone cantata molto bene. Una voce che merita, indubbiamente, ma proprio non ci siamo. Solita minestra riscaldata del pezzo al pianoforte. Non ci punterei molto e nemmeno la seconda parte della canzone ci fa ricredere, cadendo in una quantità di cliché importante.
  • Belgio: Miss you di Jérémie Makiese. Ok lo ammetto: a me il francese nelle canzoni piace. Avrei voluto sentire un po’ di cantato vallone sul beat proposto per la canzone. Per inciso, il pezzo è ok e dà il suo meglio nei primi 30 secondi di cantato con quella linea che ricorda molto un’atmosfera alla James, ma che poi si perde. Pezzo piacione con una buonissima nota di fondo data da una base che se ascoltata con i bassi giusti non può non piacere.
  • Bulgaria: Intention di Intelligent Music Project. La quota rock del Festival quest’ anno arriva dall’ Est Europa. Band formata nel 2012 con una produzione non a livello delle altre canzoni portate, in tutta onestà. Tolto questo mi siedo un po’ sul fatto di apprezzare particolarmente un po’ di musica suonata e me la faccio piacere ma no, non scommetterei su un loro piazzamento.
  • Cipro: Ela di Andromache. Che l’elettronica sia il fil-rouge dell’edizione mi pare evidente. Dalla piccola isola di Cipro arriva un brano che ho apprezzato ascoltare – non lo andrei a cercare, ma se capitasse alla radio alzerò il volume – con delle buone influenze dalla propria cultura con la scelta di tenere una parte di cantato in greco e dei richiami strumentali ellenici. Bravi bravi ma per me è no (purtroppo).
  • Croazia: Guilty Pleasure di Mia Dimšić. Da piccoli guardavate Hannah Montana? Il vostro idolo era Justin Bieber? Ecco, allora il pezzo vi piacerà. Una bella voce con un buon contorno musicale per valorizzarla. No, non è il mio genere, ma Mia è sicuramente un talento. Cadiamo anche qui in scelte abbastanza scontate (e no, per me il POP non è affatto un genere scontato, quindi mi annoio a sentire sempre le stesse soluzioni).
  • Danimarca: The Snow di Reddi. Gruppo musicale al femminile formatosi nel 2021 che arriva all’ Eurovision nel 2022. Invidia per la tenacia e il talento. Una partenza soft nasconde poi note più rock e taglienti che però non si spingono mai oltre il “siamo rockerz ma non rompiamo niente, giuro!”. Un assolino di chitarra e qualche colpo ben assestato alla batteria non riescono a scrollarmi di dosso la delusione per il crescendo mai sfociato in qualcosa di veramente esplosivo. Peccato, ma comunque i miei complimenti!
  • Estonia: Hope di Stefan. Non sappiamo se in Estonia lo Spaghetti Western avrà mai una base per la rinascita. Ma vi prego, se capiterà chiamate Stefan per fare le colonne sonore di TUTTI i film. Le parti tranquille della canzone sono veramente belle, l’intro e la parte prima dell’ultimo ritornello mi hanno colpito. Canzone molto divertente e con un testo interessante!
  • Finlandia: Jezebel di The Rasmus. Avete letto bene. I The Rasmus, proprio quelli di In The Shadow e che girano dagli anni ‘90: signori abbiamo la quota Boomer della gara. Si sente che negli anni il gruppo finlandese si è calmato e ha cominciato a seguire uno stile di vita morigerato, ma nonostante questo sono veramente felice di vederli tra i partecipanti.
  • Francia: Fulenn di Alvan & Ahez. Note arabeggianti che sostengono un cantato in bretone molto interessante. Attenzione che qua dopo la Gioconda ci portano via pure il primato all’ Eurovision. Base che anche nella strofa ti convince ad alzare il volume per essere ascoltata e crescendo ripagatissimo da una bella esplosione verso il finale della canzone. Bravi bravi!
  • Germania: Rockstars di Malik Harris. Quando guardiamo le selection di X-Factor, io e mio padre concordiamo sempre e sempre su una cosa: ogni anno è in aumento la quantità di cantanti (uomini o donne) che noi personalmente definiamo “palle al…”. Diciamo noiosi, ecco. Qui ne abbiamo un altro esempio. Il tedesco è una lingua super interessante nell’ arte, dalla poesia alla musica e qui è stato sostituito da uno sterile e poco interessante perfetto inglese. Sto comunque parlando di un cantante giovanissimo che ha raggiunto vette che io non toccherò mai e quindi gli faccio i miei complimenti, però che noia.
  • Georgia: Lock Me In di Circus Mircus. Pezzo su cui mi sono ricreduto. La prima volta che lo ho ascoltato ero in macchina, un po’ stanco perché di ritorno da lavoro e, come si dovrebbe, concentrato sulla guida e quindi distratto rispetto alla canzone. Questo brano va ascoltato bene perché la parte musicale è il suo forte (motivo per il quale non vincerà assolutamente). Ma è super apprezzabile e da Lock Me In sono andato a cercarmi la discografia (ancora poco fornita) dei Circus Mircus!

  • Grecia: Die Together di Amanda Geōrgiadī Tenfjord. Ma che pezzo è? Voglio conoscere chi ha fatto la base di questa canzone perché, per me, è spaziale! Poi gli effetti sulla voce – non autotune che non fa impazzire nessuno – sono veramente azzeccati e la valorizzano in pieno. Il testo è un classico delle canzoni d’amore e facciamo un su e giù fra cose più o meno ovvie, ma il cantato e la resa della base fanno dimenticare tutto questo. Super complimenti! Peccato solo che non ci sia un tocco di greco nel testo.
  • Irlanda: That’s Rich di Brooke. Terza classificata all’ edizione 2020 di The Voice in Irlanda, la cantante classe ‘99 porta un pezzo super radiofonico con un ritmo praticamente senza mai un breakdown, ma pieno di ricami elettronici. Abbiamo anche un momento Gwen Stefani in quello che potremmo definire il “bridge” del pezzo mostrando un po’ di grinta scegliendo di piazzare un effetto megafono sulla voce. Carina come canzone anche per chi, come me, non è molto nel genere.
  • Islanda: Með hækkandi sól di Systur. Sono contento di dire che ho dovuto fare copia-incolla del titolo del pezzo e cercarmi la traduzione del testo. Questo è proprio quello che vorrei dall’Eurovision, scoprire sonorità diverse e magari distanti dalle nostre. La canzone in sé non è pazzesca. Il sovrapporsi di voci non dispiace, ma la parte strumentale non ci dice nulla. Quindi bravi per l’intenzione!
  • Israele: M di Michael Ben David. La canzone del vincitore di X-Factor Israele 2022 è in gara, ma la sua presenza non è accertata a causa di uno sciopero da parte dell’ente che si occupa di organizzare la delegazione. Non ci resta che ascoltare questa canzone scontata e senza troppo da dire su Spotify, insomma. Forse si capisce che non mi è proprio piaciuta?
  • Italia: Brividi di Mahmood & Blanco. Oh, arriviamo ai rappresentanti di casa nostra (che vi ricordo non potrete votare a causa della modalità di voto che non permette a nessuna giuria di votare per i rappresentanti del proprio paese). Dovete sapere che io, segretamente, apprezzo Mahmood. Non come cantante eh, come produttore, ma devo dire che sono contento che sia dove si trova, una carriera iniziata da lontano e arrivata fin qui insieme a Blanco che, per me – nonostante sia lontanissimo dai miei gusti – è l’ emblema positivo della sua generazione musicale. I ragazzi parlano di uno dei capisaldi di Sanremo: l’amore. Nel mondo d’altronde la canzone italiana è famosa anche per questo argomento e loro lo hanno tradotto nella lingua di chi oggi vive il presente e non di chi rimane nel passato definendo questo genere come “non-musica” perché lo sente lontano dai propri standard ormai superati. Bravi, facciamo che vincete voi così facciamo doppietta? Grazie!
  • Lettonia: Eat Your Salad di Citi Zēni. Non pensavo fosse possibile comporre un testo a metà fra il socialmente utile e l’imbarazzante, ma Citi Zēni ci è riuscito. Per quanto io concordi pienamente con il messaggio green della canzone non apprezzo particolarmente la stessa. Poi quei venti secondi secchi di “nananana” per riempire il tempo necessario per arrivare ai tre minuti mi lasciano veramente perplesso.
  • Lituania: Sentimentai di Monika Liu. Monika è in attività dal 2015 e la sua esperienza si fa sentire in questo brano che nasconde un ritmo Diexieland riportato ai giorni nostri. Una scelta di cultura che io ho apprezzato. Poi il testo in lituano le fa guadagnare molti punti nella mia personale classifica.
  • Macedonia del Nord: Circles di Andrea. Questa artista è un osso duro. Io lo dico. Le carte in regola per portarsi a casa la giuria professionista ci sono tutte: buonissima voce ma senza mai esagerare in tecnicismi solo per eccedere in esercizi di stile e una musica che ti porta a muoverti anche se, come me, sei un pezzo di cemento che non si smuove manco ai concerti dei Subsonica (che amo, per inciso).
  • Malta: I Am What I Am di Emma Muscat. Cambio di canzone in corsa per la cantante maltese. Dopo aver vinto con Out of Sight le selezioni nazionali si presenta con un altro brano. Quasi 600.000 ascolti mensili su Spotify per quella che è una cantante che si avvicina tantissimo al concetto di Teen-Idol. Insomma, abbiamo una delle Big in gara. Ma secondo me la critica non verterà dalla sua parte, per quanto la parte vocale del pezzo sia molto bella non è nulla di particolare.

 

  • Moldavia: Trenulețul di Zdob și Zdub & Frații Advahov. Non so se saranno nemmeno presi in considerazione per la vittoria, ma è la rappresentanza più genuina rispetto alla cultura popolare della propria nazione presente in gara! Poi la citazione ai Ramones è una chicca, Votate per loro!
  • Montenegro: Breathe di Vladana. Un testo che parla diversamente a ogni persona che lo ascolta o lo legge. Io ci ho trovato una critica allo stile di vita iper consumistico e tossico per l’ambiente che conduciamo, ma credo si possa applicare a qualsiasi campo ci tocchi da vicino. Insomma, un bel catch-all che però purtroppo non è supportato da scelte musicali interessanti (a parte una bellissima voce) e che quindi lascia un po’ così, a metà.
  • Norvegia: Give That Wolf a Banana di Subwoolfer. Nome quantomeno interessante per questo pezzo. Il duo dalla Norvegia si presenta con un tappeto di chitarra acustica che ti fa sperare in bene fino al drop della base elettronica che sfocia in una scontatezza infinita. Peccato, il mix di sound acustico ed elettronico se ben gestito è uno dei pool di suoni più interessanti che si possano trovare a parer mio. Non è questo il caso, ma la canzone si fa ascoltare. No, non ci punterei per la vittoria comunque. Certo, l’idea di riprendere Cappuccetto Rosso nella canzone non è male.
  • Paesi Bassi: De diepte di S10. Onestamente pensavo che l’olandese non fosse una lingua musicale. S10 mi ha fatto cambiare idea. Qui troviamo un bel mix fra base elettronica e ferro delle corde della chitarra acustica che alternano e si mischiano ad hoc. A prendere esempio da qui non si farebbe affatto male. D’altronde se su Spotify l’artista Abbekerk si trova più di un milione e mezzo di ascolti mensili un motivo ci sarà (ah, e il suo primo contratto discografico lo ha firmato a 17 anni, scusa).
  • Polonia: River di Ochman. L’ho ascoltata, due volte. Non ricordavo di averlo fatto. Credo non ci siano molti altri commenti da fare per quella che è una buona canzone in una competizione dove il “buona” non basta per farsi notare purtroppo.
  • Portogallo: Saudade, saudade di Maro. Se fossimo al ristorante questo piatto sarebbe quello che dal nome ti ispira un casino, ti fa fare dei viaggi mentali pazzeschi, ma poi quando arriva al tavolo ti fa capire che forse de “la follia dello Chef” è meglio non fidarsi. Tantissime aspettative per una canzone che dice di essere in portoghese, ma poi lo accenna giusto per far capire che si arriva da lì. Niente di particolare, forse cambierei anche stazione se lo sentissi per caso in auto. Gli altri pezzi di Maro sono TUTTI meglio. Pazzesco.
  • Regno Unito: SPACE MAN di Sam Ryder. Siamo arrivati alla TikTok star del festival (ah, a proposito, proprio TikTok sarà il social partner ufficiale del festival) e la cosa divertente è che potrebbe portarsi tranquillamente anche a casa il premio della critica perché la base che sembra di una canzoncina super easy in realtà ha un livello di complessità che si fa apprezzare ad ogni ascolto sempre di più. E poi la voce di Sam ha veramente un peso importantissimo nel panorama del festival. Assolutamente non scontato e con dei picchi tecnici importanti che lo valorizzano nelle scelte stilistiche!
  • Repubblica Ceca: Lights Off di We Are Domi. Canzone elettro-pop secondo definizione, perfetta per essere inserita nei canoni del genere ma un po’ monotona. La voce è ottimamente mixata con un tappeto di synth e bassi studiati molto bene. Loro sono quegli studenti un po’ troppo bravi per passare inosservati ma un po’ più giù dei geni, insomma, citando i Negramaro azzardo un “in bilicooooooooooooo”. Ma un posticino verso il top della classifica io glielo riservo, tipo il settimo.
  • Romania: Llámame di WRS. Se non avessi letto che WRS rappresentava la Romania sarei stato convinto fosse il rappresentante iberico (a prescindere dal fatto che ammetto di non aver avuto idea della sua esistenza prima di scrivere questo pezzo). La scelta di cantare in una lingua che non sia inglese la apprezzo molto, lo avrete capito. Però forse il rumeno sopra lo spagnolo mi avrebbe fatto più simpatia, ma chi sono io per giudicare! Ah, il pezzo in sé lo lascerei dov’è e non credo si porterà a casa più di un piazzamento a metà classifica.
  • San Marino: Stripper di Achille Lauro. Sì, noi siamo l’ unica nazione ad avere due rappre… ah no? Va beh ma allora è perché l’anno scorso abbiamo vinto… ah no? Ah no, San Marino. Capito. Lauro che al Festival di Sanremo non ce l’aveva fatta a piazzarsi davanti al dinamico duo M&B si è rilanciato sul palco di Una voce per San Marino e lo ha vinto. Porterà un pezzo che a confronto di Domenica non è nulla, ma gli auguriamo il meglio nella manifestazione.
  • Serbia: In Corpore Sano di Konstrakta. Ma come mi piacciono le strofe della canzone serba! Purtroppo il ritornello non regge il confronto a parere mio, ma devo dire che ho apprezzato le linee vocali e gli appoggi ritmici sulla base elettronica.
  • Slovenia: Disko di LPS. Ehi ma siamo arrivati negli anni 80? Una canzone “suonata” alla vecchia maniera e senza basi con addirittura dei fiati! Che salto indietro nel tempo. Bel groove col basso che porta avanti insieme alla batteria una notevole parte ritmica. È proprio una canzone d’altri tempi però. Non conosco la scena pop slovena, ma se veramente fosse tutta così rimarrei quanto meno sorpreso.
  • Spagna: SloMo di Chanel. Già dal nome si capisce: qua abbiamo a che fare con una rapper. La base è di una cattiveria paragonabile a poche altre in questo Eurovision, il testo in spagnolo poi crea un mix che vedrei benissimo in uno dei vecchi film a base di motori e rapine in stile Fast&Furious prima che le auto volassero. Proprio quello stile da festa un filino Raggaeton che ci dà il permesso di dire “ma che è sta roba?!” mentre senza farci vedere muoviamo il piedino a ritmo. La vedo nei primi tre classificati!
  • Svezia: Hold Me Closer di Cornelia Jakobs. Dalla terra degli ABBA non poteva che arrivare una delle cantanti più quotate per portarsi a casa la vittoria finale. Con oltre dieci anni di carriera nel mercato musicale alle spalle e dall’alto del suo quasi milione e mezzo di ascolti mensili su Spotify, Cornelia si mette in prima fila per la gara e, a mio avviso, fa pure bene! Pezzo veramente bello, non scontato ma con delle linee che lo rendono apprezzabile da quello che per me sarà un gran numero di persone.
  • Svizzera: Boys Do Cry di Marius Bea. Da oltre le alpi arriva Marius. Fa il verso ai The Cure col titolo della canzone ma i paragoni non possono che finire lì. Il pezzo è romantico e se gli si adattasse un pochino il testo sarebbe il perfetto pezzo per le vacanze di Natale sotto la neve. Insomma, siamo fuori stagione ma la canzone potrebbe dire la sua. Quella batteria jazzeggiante però proprio fa troppo natale Marius!
  • Ucraina: Stefania di Kalush Orchestra. Un po’ il rap’n’roll made in Ucraina ecco. Gli stra-favoriti per la vittoria finale dell’evento secondo i bookmakers dato il presupposto appoggio “umanitario” che si troveranno da parte della giuria popolare. La canzone è difficile da digerire e non credo che verrà premiata dalla giuria professionale. io non scommetterei comunque su di loro per il podio, ecco.

 

Ascoltare tutti i brani non è stato semplice e alcuni, in tutta onestà, suonano un po’ scontati. Altri invece sono, secondo me, pazzeschi!

MA CHI SONO I FAVORITI?

Trattandosi di una gara, ovviamente ci sono dei favoriti e degli sfavoriti per la vittoria finale.
La Kalush Orchestra (UA) sembra essere una scommessa sicura se volessimo puntare su qualcuno per il primo posto. Spinti avanti dal vento umanitario che potrebbe guidare la giuria popolare, i bookmaker li danno come vincitori al 42%, distanziando i secondi in questa particolare classifica di quasi trenta punti percentuali. Mahmood e Blanco(IT) portano avanti il tricolore e vengono visti come papabili vincitori ­– e in effetti la loro canzone anche a mio parere è una delle migliori. Chiude il podio dei possibili vincitori secondo le quotazioni la rappresentante svedese: Cornelia Jakobs.

La mia personale classifica è diversa e vede al primo posto Die Together di Amanda Geōrgiadī Tenfjord, al secondo SPACE MAN di Sam Ryder per poi chiudersi con Mahmood e Blanco (ma spero di sbagliarmi e vedere i nostri beniamini sul gradino più alto!).

Voi chi pensate sia il favorito alla vittoria?

di Flavio Pisani

Alina Gorlova: regista sotto le bombe

Alina Gorlova: regista sotto le bombe

Alina Gorlova: una regista che resiste sotto le bombe

Pordenone Docs Fest assegna uno speciale Premio IMAGES OF COURAGE 2022 alla regista ucraina Alina Gorlova, che resiste sotto le bombe a Kiev e racconta il conflitto…

Dai suoi profili social, la regista ucraina Alina Gorlova, molto celebrata per i lavori dedicati alla guerra in Donbass, ha lanciato un appello per una raccolta fondi e il festival Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario ha deciso immediatamente di rispondere, rilanciando il suo appello in tutta Italia e impegnandosi sin da subito per la popolazione ucraina.
Il sostegno del festival si concretizza con la consegna ad Alina Gorlova, come contributo alla raccolta fondi, di uno speciale Premio Images of Courage 2022. Gorlova si è messa a disposizione per il reperimento di beni di prima necessità, che in città stanno scarseggiando. Il festival aveva precedentemente invitato la filmaker, una delle più brillanti e premiate documentariste contemporanee, a far parte della Giuria del festival (6-10 aprile). La regista ha scelto di rimanere nella sua città, Kiev, in questo momento difficilissimo per il suo Paese, per aiutare la popolazione, usando la sua posizione per intercettare anche contributi dall’estero, e continuare a raccontare e documentare il conflitto.

Restando a Kiev, oggi mi rendo pienamente conto della catastrofe umanitaria in città e in molte altre città e paesi. Da quando è iniziata l’invasione, cerco qualcosa di utile da fare: consegno medicinali, alimentari e prodotti igienici a casa delle persone più bisognose”, scrive Gorlova. “Ma qui manca quasi tutto: benzina, cibo, medicinali. Spesso le consegne da fuori arrivano in ritardo o sono inaccessibili a causa del coprifuoco. Ci sono file enormi nei negozi. Siamo nel panico. Inviate donazioni se volete aiutarci“.

Svincolandosi dalle logiche festivaliere e volendo fare la propria parte in un contesto globale sempre più difficile, tra persone in fuga dai bombardamenti e una vita che si sta rivelando sempre più difficile anche per chi ha deciso di restare, Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario devolve uno speciale premio in denaro a una regista che ha scelto di rappresentare il suo coraggio non solo attraverso le immagini, ma mettendo concretamene la sua vita in pericolo per sostenere il suo paese e il suo popolo.

Il festival invita dunque il pubblico a sostenere a sua volta l’iniziativa partecipando alle donazioni: le coordinate di Alina Gorlova, come da suo appello, saranno postate sui social network della manifestazione.

La giovane regista, classe 1992, ha vinto alcuni dei premi più importanti al mondo per il documentario, con una filmografia tutta dedicata al conflitto ucraino, iniziato in realtà nel 2014. Il festival, che dedicherà a Ucraina/Russia un focus, proporrà alcuni dei titoli più significativi di Alina Gorlova, in particolare il magnifico This Rain Will Never Stop, vincitore nel 2020 e 2021 – fra gli altri – dei principali premi al’IDFA di Amsterdam, al Festival dei Popoli di Firenze, al Festival di Belgrado: un doloroso documentario che ricostruiva la già drammatica situazione nel Donbass, che diventa – paradossalmente – luogo di rifugio del protagonista curdo, in fuga dalla Siria: percorre campi di accoglienza e un susseguirsi di terre di nessuno, incontrando i destini comuni di persone solamente alla ricerca della pace. Ed è con queste immagini negli occhi che il festival Pordenone Docs Fest aveva deciso di invitarla, rinsaldando così il suo rapporto con una terra – e i suoi travagli – che già aveva indagato in passato, come dimostra il Premio della Giuria (in quell’edizione composta dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, dalla regista prematuramente scomparsa Valentina Pedicini e dallo storico e critico del cinema Federico Rossin) nel 2019, conferito al film The Distant Barking of Dogs di Simon Lereng Wilmont, la storia di Oleg, bambino ucraino di soli 10 anni, ostaggio di una guerra sconosciuta ai più, ma tremendamente presente nella sua vita.

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

Tra le tante reazioni di condanna e di boicottaggio delle merci russe, arriva anche la guerra alla vodka

Proseguono le reazioni dell’Occidente all’intervento militare russo ai danni dell’Ucraina. Dopo le sanzioni economiche e la “guerra” agli oligarchi, dopo i boicottaggi e dopo l’estromissione della Russia da quasi ogni competizione sportiva, adesso è il turno della Vodka. Il popolare superalcolico, infatti, sta registrando un netto calo nelle vendite e nelle esportazioni dopo lo scoppio del conflitto, soprattutto negli Usa.

Negli Stati Uniti, per esempio, sono stati gli stessi governatori di diversi Stati a dare indicazioni in prima persona per dare seguito al boicottaggio dei prodotti russi. Il New York Times riporta alcuni esempi.

Nel New Hampshire, ad esempio, dove liquori e vino sono venduti da negozi statali, il governatore ha annunciato la rimozione degli alcolici russi fino a nuovo avviso. Anche il governatore dell’Ohio, dove lo stato stipula contratti con aziende private per la vendita di liquori, ha annunciato l’interruzione di acquisti e vendite statali di Vodka russa. In Virginia è stata richiesta la rimozione di vodka russa e qualsiasi altro prodotto russo dai quasi 400 negozi statali dell’Autorità per il controllo delle bevande alcoliche.

Un’iniziativa sicuramente comprensibile (sul condivisibile ne possiamo parlare, ma scegliamo di non inserire considerazioni etiche), ma che difficilmente sarà efficae. Come afferma il New York Times: “il boicottaggio della vodka russa potrebbe essere più simbolico che strategico”.
Su 76,9 milioni di casse di vodka da nove litri (secondo i Distilled Spirits Council USA), il peso della vodka russa non è rilevanta. Il NYT riporta infatti i dati del 2017, registrando che la vodka russa importata negli Stati Uniti rappresentava poco più dell’1 per cento.

Thrillist ha riferito che la Francia – le cui vodka includono Grey Goose, Cîroc, Gallant e MontBlanc – rappresentava circa il 39 per cento del valore totale delle importazioni di vodka, la maggior parte di qualsiasi altro paese. La Svezia, con vodka come Absolut e DQ, rappresentava circa il 18 per cento. Gli altri principali importatori sono stati i Paesi Bassi (17 per cento), la Lettonia (10 per cento), la Gran Bretagna (5 per cento) e la Polonia (5 per cento)”.

E IN ITALIA?

Anche nel nostro Paese stanno arrivando diverse condanne alla guerra e relativi boicottaggi alle merci russe, come, per esempio, la Bernabei, una enoteca di cui riportiamo uno stralcio del comunicato stampa.

La Bernabei SpA condanna inequivocabilmente l’azione militare in Ucraina e comunica di aver rimosso con effetto immediato dal proprio portale online tutti gli alcolici di fabbricazione e marca russa. Nonostante tali etichette (principalmente Vodka) rappresentino circa il 25% del fatturato della categoria di riferimento, in un periodo storico simile, le valutazioni sulle performances devono necessariamente lasciare spazio al valore etico più alto del ripudio di un conflitto bellico. Non c’è posto per la guerra, tantomeno su Bernabei.it”.