“Il futuro del vino naturale nelle mani delle nuove generazioni”: la scommessa di Tenuta Baroni Campanino

“Il futuro del vino naturale nelle mani delle nuove generazioni”: la scommessa di Tenuta Baroni Campanino

“Il futuro del vino naturale nelle mani delle nuove generazioni”: la scommessa di Tenuta Baroni Campanino

Il vino naturale è un mercato ancora di nicchia, ma in continua ascesa. Tenuta Baroni Campanino lo sa bene e scommette sui giovani con Mattia Di Bartolo, enologo a “soli” 26 anni.

Quando si accenna al “vino naturale” si rischia sempre di scontrarsi con scetticismi, pregiudizi e superstizioni. Eppure, soprattutto tra le nuove generazioni, questo modo di produrre (e apprezzare) il vino in maniera più consapevole e più sostenibile sta prendendo sempre più piede. E – ne siamo convinti – darà sempre più filo da torcere agli estimatori del vino convenzionale.

A parlarcene è Mattia Di Bartolo, enologo della Tenuta Baroni Campanino, che abbiamo incontrato in occasione della prima edizione dell’esibizione milanese dedicata ai “vignaioli naturali” Vi.Na.Ri. lo scorso 12 febbraio. Ventisei anni, fresco di università, per Tenuta Baroni Campanino si occupa anche della parte commerciale, di import ed export.

Mattia Di Bartolo, enologo di Tenuta Baroni Campanino

Cos’è Tenuta Baroni Campanino? Come si articola la vostra produzione?
La Tenuta Baroni Campanino si trova in Umbria, sul Monte Subasio, alle spalle di Assisi. I nostri vigneti crescono sul cucuzzolo di una montagna fra i 700 e i 900 metri di altezza e tutti i nostri appezzamenti hanno una pendenza del 50-60%. È un terreno abbastanza difficile da lavorare, ci vuole molta manualità, per questo la nostra è a tutti gli effetti una viticoltura eroica.
A livello vitivinicolo i vigneti hanno tutti certificazione biologica e seguiamo un iter biodinamico, mentre in cantina invece la produzione è tutta naturale: fermentazioni spontanee, non filtriamo, la temperatura non è controllata e, soprattutto, il nostro è un vino che ci piace chiamare “
hangover free”, poiché cerchiamo di stare su un massimo di 20 milligrammi di solforosa totale per litro. Nei nostri vini stiamo intorno ai 10-12 milligrammi, una quantità quasi nulla che fa sì che questi vini non diano mal di testa: hangover free, per l’appunto”.

Quante bottiglie fate all’anno?
Abbiamo 11 ettari di vitigni dai quali ricaviamo 50mila bottiglie l’anno, ma non solo. Oltre alla cantina abbiamo anche un birrificio stile trappista in cui produciamo birre monastiche, stile belga”.

Su quali vitigni si concentra la vostra produzione?
Il rispetto della natura che professiamo celebra l’unicità di ogni vendemmia lasciando che i nostri vitigni Sangiovese, Trebbiano, Colorino e Malvasia diano vita a vini in grado di narrare ogni anno la loro storia. Per quanto riguarda i bianchi abbiamo scelto di coltivare anche un vitigno internazionale, il Riesling italico, una varietà particolare che si trova in aree di montagna alte e fredde come il Trentino Alto Adige, l’Austria e la Germania. In Umbria siamo gli unici ad avere il Riesling grazie alla nostra altitudine. Abbiamo impiantato queste barbatelle e abbiamo visto che il terreno era ottimo per fare questo tipo di vino, così abbiamo deciso di produrre un Riesling in purezza.
Abbiamo un rosé da Sangiovese in purezza, il Sangiovese è uno dei vitigni più diffusi fra Toscana, Umbria e Marche ed è un’uva bella colorata, così come poi risulta il nostro rosé. Viene fatto nello stesso periodo in cui facciamo uscire il nostro Sangiovese in purezza Intenso, il nostro cavallo di battaglia e vino più iconico. Mentre facciamo Intenso, una vendemmia di ottobre quindi già tardiva, facciamo il rosé: Il primo mosto che esce diventa rosato e una volta che ne abbiamo un quantitativo sufficiente passiamo a fare i rossi.
Come rossi abbiamo appunto Intenso, Sangiovese in purezza vendemmia di ottobre, e il Rosso Campaninoche è Sangiovese in purezza vendemmiato a novembre, ancora più tardi: un vino pensato per la selvaggina, che con i suoi 14.5-15 gradi è perfetto per essere abbinato al cinghiale. Non a caso in Tenuta Baroni Campanino abbiamo anche un allevamento di suini neri allo stato brado.
Abbiamo inoltre una riserva, Assolo, un Sangiovese in purezza che definisco “finto Brunello di Montalcino” perché per produrlo seguiamo l’antica ricetta del Brunello di Montalcino: tre anni in botte tronco-conica di legno di rovere francese, due anni di affinamento in bottiglia, poi esce sul mercato.
Dopodiché abbiamo un “finto Chianti”, per il quale usiamo l’antica ricetta del Chianti, un blend composto da 70 % Sangiovese, 20% Merlot per addolcire e arrotondare il gusto e 10% colorino” un vitigno da taglio che dà più colore e ruvidezza ai vini, ci racconta. “Infine abbiamo il Gamay, il vitigno internazionale che abbiamo scelto come rosso: Gamay francese da un barbatello acquistato in Francia che fa tre anni di barrique di rovere francese (dove prima c’era il Bordeaux) e due anni di affinamento in bottiglia. Un vino molto particolare, dall’imponente tannino verde che però a sua volta è sovrastato dal fruttato del Gamay e dal sentore pepato del barrique di rovere francese”.

Qual è il primo vino che hai aggiunto tu?
Io lavoro con Tenuta Baroni Campanino da circa due anni, ma la linea attuale esiste dal 2017, quando era seguita dall’enologo precedente. La “mia” linea uscirà in realtà quest’anno, ci piace fare sperimentazioni su nuove tipologie di vino e al momento stiamo lavorando su un metodo ancestrale rosé che segue una rifermentazione in bottiglia su lieviti da Sangiovese in purezza. Perché questa scelta? Semplice, perché va molto di moda in questo momento. Di bianchi ne facciamo pochi, quindi non avrebbe senso fare rifermentati bianchi, ma di uva a bacca nera ne abbiamo tanta e di conseguenza possiamo sperimentare molto sul rosé”.

Il mercato del vino naturale al momento è molto più forte all’estero che in Italia, orientato soprattutto verso l’Estremo Oriente, verso la Corea e il Giappone… com’è questo rapporto in Tenuta Baroni Campanino?
Anche noi esportiamo molto, il nostro fatturato proviene al 70-80% dall’estero e al 20-30% dall’Italia. Siamo molto forti in Europa in paesi come Francia, Lussemburgo, Germania, Olanda, Svizzera, Portogallo, Spagna, ma anche oltreoceano presso Stati Uniti, Canada, Messico. A Oriente lavoriamo soprattutto con la Corea del sud… il Giappone ancora ci manca, ma stiamo cercando di entrarci, e in questi giorni stiamo parlando anche con la Cina.
Una motivazione alla base di questa evidenza probabilmente è che all’estero si è molto più attenti alla sostenibilità e a cosa viene utilizzato all’interno de vini. Noi non aggiungiamo niente, le fermentazioni sono spontanee, non filtriamo, le temperature non sono controllate, la solforosa è minima e i clienti sono molto attenti a questo e preferiscono investire su queste piccole realtà invece che su grandi produttori ormai standardizzati. Ogni bottiglia è una scoperta e fuori la gente è molto più istruita sul mondo del naturale, cosa che ancora in Italia siamo indietro.
In Italia il panorama è molto più diversificato, ci sono regioni molto istruite sul naturale e regioni che lo sono meno. Noi siamo in Umbria e nella nostra zona vendiamo pochissimo: i nostri mercati italiani di riferimento sono Lazio, Puglia, Toscana”.

Logo di Tenuta Baroni Campanino

Dopo averci raccontato dell’azienda, della sua filosofia e dei suoi prodotti, si lascia andare a una considerazione più intima, profonda, ricca di speranza: il futuro del vino naturale è nelle mani dei giovani.

Quella del vino naturale è una piccola fetta di mercato, rappresenterà il 2-3% del commercio del vino, però è un mercato che piano piano si sta espandendo. Ci sono sempre più produttori naturali e soprattutto c’è un cambiamento fra le generazioni che si orientano verso nuovi orizzonti. Ho notato in diverse fiere italiane che i visitatori, italiani e non solo, conoscono solo i nomi più grandi, come Barolo, Barbaresco, Amarone e Brunello di Montalcino: ci sono moltissimi vini esposti, ma vengono apprezzate solo quelle quattro tipologie. Qui invece, su fiere orientate al naturale come Vi.Na.Ri., c’è un interesse diverso da parte del consumatore verso lo scoprire nuove tipologie, nuovi luoghi, nuove vinificazioni. C’è più informazione”.

Tenuta Baroni Campanino rivolge al futuro uno sguardo più consapevole, più green, senza però stravolgere la tradizione e mantenendo ben saldi i principi delle colture locali. Se di sostenibilità si parla ormai tanto, forse troppo, e l’impegno in questo senso in molti settori risulta essere solo parole al vento, nel mondo del vino naturale si tratta di un progetto reale, concreto, attuale. E non vediamo l’ora di vederne gli sviluppi.

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.

Il vino friulano “a modo nostro”: la cultura delle uve di Villa Job

Il vino friulano “a modo nostro”: la cultura delle uve di Villa Job

Il vino friulano “a modo nostro”: la cultura delle uve di Villa Job

Una rilettura del vino friulano che esce dagli schemi: questa la filosofia di Alessandro Job, proprietario di Villa Job a Pozzuolo del Friuli. 9 ettari di terreno, 7 etichette, 30mila bottiglie all’anno e la voglia di reinterpretare i vini di questa terra in maniera decisamente meno tradizionalista.

In questi anni di forte cambiamento sociale e climatico abbiamo capito sempre di più il valore sociale del vignaiolo. I nostri vini sono il nostro pensiero, la nostra passione, le nostre idee; come tali devono essere libere e personali, non legate al solo fattore commerciale. Una bottiglia di vino può e deve contenere cultura”.

In occasione di Vi.Na.Ri, la due giorni milanese all’insegna del vino naturale svoltasi il 12 e 13 febbraio, abbiamo avuto l’occasione di scambiare due parole con Alessandro Job, proprietario dell’Azienda Agricola Villa Job, il quale concepisce le vigne ereditate dal nonno in un’ottica circolare, che cerca di limitare all’osso ogni tipo di scarto e di assecondare il naturale corso della vite, della pianta e del mosto. Noi lo abbiamo intervistato per farci raccontare la filosofia dietro le coloratissime etichette.

Chi è Villa Job? Qual è la vostra storia?
Siamo una piccola azienda di Pozzuolo del Friuli, a pochi chilometri da Udine. Siamo quattro persone che lavorano nove ettari di vigneto. Oltre al vino abbiamo un bosco, un fiume, venticinque alveari e una fattoria sociale”, ci ha raccontato. “Abbiamo iniziato a confrontarci con il vino naturale sei anni fa, nel 2017, quando abbiamo “preso in mano” l’attività del nonno. Inizialmente abbiamo portato avanti la sua filosofia, ma nel corso del tempo abbiamo cominciato a tracciare la nostra strada”.

Alessandro Job, proprietario di Villa Job

Che tipi di vini producete?
Facciamo sia vini del territorio che vini internazionali, principalmente parliamo di vitigni classici friulani come Tocai, Sauvignon, Pinot grigio, Refosco e Schiopettino. Ogni vino ha un’etichetta e un nome che lo caratterizza proprio perché secondo noi ogni bottiglia ha una propria personalità e una propria storia. Ad esempio il nostro Sauvignon si chiama Sudigiri, perché è un Sauvignon che esce dagli schemi, diverso dal solito. E noi non potremmo esserne più contenti perché è in questo che sta la nostra filosofia: dare una nostra personalissima reinterpretazione dei grandi classici del Friuli.
 
Untitled è il nostro Friulano, che abbiamo lasciato senza nome perché in Friuli il Tocai non si può più chiamare così, bisogna chiamarlo “friulano”. Per noi è – concedetemi il termine – una bestemmia: se non può essere nominato, piuttosto che dargli un appellativo a caso abbiamo preferito lasciarlo senza nome. Piantagrane perché con un amico agricoltore qualche tempo fa riflettevamo su quanto si parla di Pinot grigio, si parla sempre di Pinot grigio, quindi “piantagrane” ci sembrava rispecchiare la nostra voglia di cambiamento, Guastafeste per rincarare la dose e così via”.

Nomi che vi caratterizzano, quindi?
Sì, i nomi delle bottiglie caratterizzano noi e la filosofia di Villa Job, ma soprattutto caratterizzano il nostro vino. Quando lo bevi devi aspettarti qualcosa, è come dire che ogni vino ha un’identità molto ben definita e il nome deve rimandare a quello che poi assaggerai. Vogliamo che chi lo beve possa dire ‘ah, ecco però si chiama Guastafeste’ oppure ‘capisco perché l’abbiano nominato Piantagrane’”.

UNTITLED, Villa Job

Quante bottiglie producete in un anno?
Siamo sulle 30mila bottiglie. Con nove ettari di vigneti potremmo anche fare di più, ma ci interessa il giusto in questo momento. Preferiamo restare molto attenti alla qualità piuttosto che puntare alla quantità”.

Nel mondo del vino naturale i mercati di riferimento per i produttori italiani sono soprattutto esteri, con un’esportazione maggiore rispetto alla vendita interna. Qual è invece il vostro mercato di riferimento?
Il 60% della nostra produzione è rivolta all’Italia, un mercato che curo tanto e su cui lavoro tanto perché per quanto riguarda il vino è uno dei mercati più difficili. L’Italia per il vino ha storia e tradizione e i produttori vinicoli non si contano. Riuscire a vendere il proprio vino in una zona così ricca e competitiva vuol dire avere un prodotto valido, in grado di dare qualcosa di “diverso” dal solito vino ai nostri consumatori, qualcosa che valga la pena di essere assaggiato e ricordato. Questo è il motivo per cui per me l’Italia è così importante. Per quanto riguarda l’estero invece siamo forti in Corea, in Giappone, Canada, America, nord Europa, Parigi… insomma, siamo presenti su davvero tanti mercati”.

PIANTAGRANE, Villa Job

C’è un “cavallo di battaglia” a Villa Job?
Onestamente, non abbiamo una “gerarchia di prodotto”, un vino che reputiamo migliore degli altri di nostra produzione. I nostri prodotti, come la nostra filosofia, seguono una certa orizzontalità: siamo orgogliosi di ogni bottiglia, perché in ogni nostro vino c’è ricerca, qualità, storia, un modo tutto nostro di reinterpretare la tradizione. Per questo non parleremmo mai di un nostro vino come dell’espressione tipica del Tocai friulano, perché è il nostro Tocai, quello che viene dalla nostra terra, con le sue note erbacee e agrumate. Per questo diamo valore a tutti i nostri prodotti e se un vino non è all’altezza quando lo assaggiamo non viene imbottigliato. Come ho accennato, la qualità è fondamentale ed è il nostro biglietto da visita”.


Villa Job sui social
Sito web: www.villajob.com
Facebook: Alessandro Villa Job
Instagram: @villajob

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.