Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini, poetessa milanese scomparsa nel 2009, ha raccontato in versi l’amore carnale e l’amore per la poesia, sua compagna di vita. Ha testimoniato le sofferenze e il desiderio di libertà provate all’interno dei manicomi in cui è stata internata per diversi anni. 

Alda Merini nasceva il 21 marzo 1931 in una Milano che amava immensamente. Crebbe in una famiglia di umili condizioni e frequentò un istituto professionale. Cercò di trasferirsi al liceo Manzoni, ma non superò il test di italiano e si dedicò a studiare pianoforte. A quindici anni, però, emerse il suo talento e pubblicò due poesie all’interno di un’antologia. 

L’anno successivo, a soli sedici anni, comparvero i primi segni di una malattia che la perseguiterà per il resto della vita: il disturbo bipolare. Erano anni bui per le persone considerate pazze, internate nei manicomi senza alternative. La poetessa milanese non ricevette cure adeguate, ma solo numerose privazioni, subendo l’elettroshock. In quei luoghi dediti a torture ancora legali per diversi anni, Alda Merini riuscì a concepire poesie meravigliose, intense e forti, contrastando la bruttezza che la circondava. Da questa esperienza, infatti, nacque la raccolta La terra santa: un viaggio che attraversa i momenti vissuti all’interno del manicomio.
È stata marchiata dal fardello della follia, una compagna di vita scomoda e limitante, ma che le ha permesso di vedere il mondo da un altro punto di vista. Leggiamo un pezzo della lunga e struggente poesia Laggiù dove morivano i dannati: 

[…]
Laggiù nel manicomio
dove le urla venivano attutite
da sanguinari cuscini
laggiù tu vedevi Iddio
non so, tra le traslucide idee
della tua grande follia.
[…]

Il manicomio era il posto in cui non si poteva urlare il proprio dolore, dove non c’era posto per l’umanità e le urla venivano soffocate. È in quella mancanza che Alda Merini trovò Dio, lo vide in mezzo al nulla e lo sentì tra le pareti del silenzio. Credeva in Dio, pur non accettando che il sesso fosse trattato come un peccato. Ella amava l’amore sentimentale e il desiderio carnale, protagonisti di numerose poesie. Si innamorava continuamente, accettando anche la conseguente sofferenza. Visse relazioni difficili e conobbe uomini complicati, infedeli, che non le donavano tutto l’amore che lei dava loro. È in quell’amore, tra le braccia di un uomo, che riesce a stare bene. Ce lo racconta nella poesia C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte: 

C’è un posto nel mondo
dove il cuore batte forte,
dove rimani senza fiato,
per quanta emozione provi,
dove il tempo si ferma
e non hai più l’età;
quel posto è tra le tue braccia
in cui non invecchia il cuore,
mentre la mente non smette mai di sognare…
Da lì fuggir non potrò
poiché la fantasia d’incanto
risente il nostro calore e no…
non permetterò mai
ch’io possa rinunciar a chi
d’amor mi sa far volar.

Non può fuggire da quel posto, fonte di una felicità priva di eguali. Non può e non sa rinunciarvi perché anche se il tempo passa e si riversa sul corpo, lì il cuore non invecchia mai. Rimane vivo. 

Alda Merini era sposata con un panettiere, ma in seguito alla sua morte sposò il poeta Michele Pierri, che aveva apprezzato molto le sue poesie. Si trasferì per tre anni a Taranto e scrisse il suo primo libro in prosa: L’altra verità. Diario di una diversa. A Taranto, però, venne nuovamente internata e visse anni terribili, le impedirono anche di vedere le figlie. Soltanto dopo il 1978, anno in cui la Legge Basaglia chiuse i manicomi, Alda Merini poté ritrovare la serenità perduta.

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
[…]
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.

Questa poesia, contenuta nella raccolta La terra santa, presenta un’antitesi tra la poesia, bella e delicata, e la pietra, dura e pesante. Alda Merini vuole dirci che non c’è bellezza senza sofferenza. Scrisse molte delle sue poesie in un manicomio, un luogo in cui ha subìto umiliazioni, ma quelle ginocchia piegate non le hanno impedito di inseguire la bellezza. È lì che cercò il mistero, trovandolo tra i versi di una poesia scritta col sangue. Tu, poeta, sei un pazzo criminale e detti versi all’umanità: consegni agli uomini i versi della rivincita, della speranza. Tu, poeta, sei fratello a Giona: sei come il profeta Giona, che trasgredì il dovere dettato da Dio, fuggendo e isolandosi da tutti gli altri. 

I poeti trovano sé stessi di notte, quando gli altri dormono e non hanno fretta di finire. Scrivono quando le piazze sono vuote e l’unico rumore che si ode è quello delle lancette: 

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
[…]

Alda Merini visse una vita difficile, violenta e accusata di essere folle. Non smise mai di cercare, creare e amare. Mise su carta le proprie emozioni, altalenanti e forti, consegnandoci fragilità, coraggio e speranza. È stata e continua a essere una delle poetesse più espressive e talentuose del Novecento, e non solo. Non è stata compresa per molto tempo, ma la penna le è rimasta fedele tra le dita. 

O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
[…]

La poesia è violenta con lei, la teme, come alcuni uomini che ha conosciuto. Eppure, non può fare a meno di amarla e noi non possiamo non amare i suoi versi. 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Pasolini tra realismo e malinconia

Pasolini tra realismo e malinconia

Pasolini tra realismo e malinconia

Pier Paolo Pasolini ha scritto opere intrise di originalità e realismo, ha sposato un incredibile coraggio e ha subìto denunce, processi e arresti. Prima scrittore di romanzi, quali Ragazzi di vita e Una vita violenta, poi sceneggiatore e giornalista.

Pasolini nasceva il 5 marzo 1922 a Bologna in una famiglia borghese. Seguì le orme della madre, un’insegante, laureandosi in Lettere e svolgendo la professione di maestro. Rimase con lei per un periodo nel Friuli, mentre il fratello era un partigiano che in seguito venne ucciso.
I primi problemi nacquero a causa delle sue tendenze omosessuali, che la scuola pubblica non accettava, e fu costretto a lasciare l’insegnamento. Per il medesimo motivo venne espulso dal partito comunista.

A seguito di usa serie di accuse, si trasferì a Roma con la madre e visse anni difficili. Trovò lavoro come insegnante in alcune scuole private e in tale occasione conobbe i ragazzi di borgata, che ispirarono i suoi grandi romanzi di successo: Ragazzi di vita e Una vita violenta.

Ragazzi di vita fu un vero e proprio successo editoriale e fece sorgere molte polemiche, a causa di espliciti riferimenti al sesso e a un uso linguistico estremamente realistico, che riproduceva in modo fedele le espressioni utilizzate da quegli stessi ragazzi romani che Pasolini conosceva.
È un romanzo che racconta le condizioni di miseria, la quotidianità e gli atti crudeli e violenti – truffe e furti – dei giovani ragazzi appartenenti a un ambiente difficile nel secondo dopoguerra.

“Faceva un caldo che non era scirocco e non era arsura, ma era soltanto caldo. Era come una mano di colore data sul venticello, sui muri gialletti della borgata, sui prati, sui carretti, sugli autobus coi grappoli agli sportelli. Una mano di colore ch’era tutta l’allegria e la miseria delle notti d’estate del presente e del passato.”

Quello che Pasolini racconta è la vita vera, spietata e crudele, che i personaggi del suo romanzo cercano di affrontare per sopravvivere.

Una vita violenta è il secondo romanzo di Pasolini, pubblicato nel 1959, che riprende le tematiche, le ambientazioni e i problemi del primo. La borgata è ancora al centro, ma raccontata attraverso la vita di Tommaso Puzzilli, un ragazzo che cerca di sopravvivere alla miseria della periferia tra furti e prostituzione. Tutto cambia quando incontra Irene, una ragazza di cui si innamora. Vorrebbe trasformare la sua condizione, trovare una felicità che non ha mai sperimentato veramente, ma quella stessa vita sembra voltargli le spalle con violenza.
Nel 1961, dopo aver abbandonato la scrittura di romanzi per dedicarsi al cinema, Una vita violenta ispirerà il suo primo film, Accattone.

Pasolini non nascondeva la propria omosessualità, non mentiva presentando un’immagine distorta di sé. Si esponeva continuamente, polemizzando contro la società contemporanea, gli uomini di cultura e di partiti politici, contro i borghesi e soprattutto contro una Chiesa ricca ma poco attenta alla trasmissione del messaggio di Cristo. Il cristianesimo è al centro di un film del 1964, provocatorio e originale, Il vangelo secondo Matteo, in cui Cristo parla con gli apostoli di questioni sociali.

Pasolini forse auspicava alla promozione di una società utopica in cui fossero tutti uguali, in cui non esistessero giudizi e sopraffazioni e la gente avesse voglia di vivere.

Per conoscere il lato umano, familiare e personale di Pasolini dovremmo leggere la lunga lettera scritta da Oriana Fallaci dopo la sua morte, avvenuta il 2 novembre 1975. Venne assassinato da un giovane ragazzo delle borgate, in una zona desolata nei pressi di Ostia. C’è ancora un alone di mistero dietro una morte così brutale, un omicidio di cui non si conoscono le motivazioni.
Oriana Fallaci descrive Pasolini con parole intime, sincere e forti. Uniti dalla passione per la scrittura e per il giornalismo e da una profonda amicizia, ci hanno lasciato entrambi testi pieni di vita e morte, speranza e malinconia, amore e ingiustizie. Leggiamo insieme una delle parti più belle:

La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era l’unica situazione umana che tu capissi veramente. Se una persona non era infelice, non ti interessava. Ricordo con quale affetto, un giorno, ti chinasti su me e mi stringesti un polso e mormorasti: “Anche tu, quanto a disperazione, non scherzi!”.

Pasolini era un uomo uguale agli altri ma anche profondamente diverso da loro, era fragile e coraggioso, uno scrittore di cui quell’Italia aveva bisogno ma senza esserne consapevole.

 

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Un amore già vissuto e un amore che forse sta per finire. Due persone si incontrano e raccontano i loro silenzi più nascosti.

Una sedia marrone e una sedia azzurra, fatte di legno, l’una accanto all’altra. Non troppo vicine, ma perfettamente allineate, rivolte verso l’esterno. Quando le vidi erano vuote, quando le toccai erano ancora calde, come se qualcuno le avesse occupate pochi minuti prima. Aspettai che arrivassero, presi la mia macchina fotografica e immortalai un momento che, forse, avevo solo immaginato. Ricostruii nella mia mente una storia, poi la vidi con i miei occhi. Un uomo anziano con pochi capelli bianchi ai lati della testa uscì dalla porta che si trovava accanto alla sedia marrone. Indossava una camicia bianca, sporca sui fianchi e con aperti i tre bottoni sotto il collo. Mi guardò per qualche istante, poi si sedette sulla sedia marrone e mise la testa fra le mani. Aspettai che qualcuno si sedesse accanto a lui, finsi di fotografare il paesaggio, oggetti insignificanti e il cielo azzurro e aspettai. I minuti passavano ma non succedeva niente e i miei pensieri correvano veloci in mezzo al silenzio.

Ripensai all’espressione di Marco pochi giorni prima, alla sua delusione e ai suoi occhi verdi. Mi chiese da quanto tempo andasse avanti, come se gli avessi confessato un tradimento. Il mio sentimento titubante nei suoi confronti era un tradimento per Marco, uno di quelli da cui non si ritorna indietro. Riemerse il mio senso di colpa, quello che avevo appreso da mia madre. Mi sentii sbagliata e colpevole ancora una volta, come ogni volta.

«Cosa ci fa poi con tutte quelle foto?» disse all’improvviso quell’uomo sconosciuto, distogliendomi dai miei pensieri cupi e solitari.
«Come, scusi?»
«Sono venti minuti che fa foto nello stesso punto, che ci fa poi? A cosa servono? Non c’è niente di speciale qui». La sua voce era profonda e leggermente rauca, ma dolce e calma. Il suo accento era quello di un uomo del sud.
«La maggior parte delle foto che faccio le tengo per me, alcune le pubblico per mostrarle agli altri. Adoro questo posto».
«Io ci abito da quarant’anni, lo conosco a memoria». Scoprii che era calabrese, di un piccolo paese in provincia di Reggio, e che si era trasferito a Bologna per studiare. Poi, però, suo padre non riuscì più a mantenerlo e dovette lasciare l’università per trovare lavoro. Abbandonammo le formalità, come da lui richiesto, e iniziammo a darci del tu.
«E che cosa studiavi?»
«Non ci crederai mai e ormai non ci credo nemmeno io, anzi mi viene da ridere quando penso che studiavo Giurisprudenza. Volevo fare l’avvocato, ma è stato meglio così, almeno nessuno si mette a ridere quando dico che faccio l’agricoltore». Sorrise e io insieme a lui. Mi chiese di sedermi accanto a lui sulla sedia azzurra che qualcuno aveva occupato quando non c’ero. «Non deve sedersi nessun altro qui?» gli chiesi indicando la sedia.
«No, questa era di mia moglie ma lei non c’è più, così adesso qualche volta faccio sedere mio figlio, quando si ricorda di venire a trovarmi. E ora faccio sedere te, così stai più comoda, dopo tutte quelle foto ti sarai stancata».
«No Giorgio, non posso…»
«Non essere sciocca, se non ti siedi me ne vado», mi disse sorridendo e guardandomi negli occhi. Il suo sguardo mi calmava, mi rassicurava. Era sincero e puro, velato da una profonda tristezza che cercava a tutti i costi di nascondere, non per mentire bensì per eliminare ogni traccia di compassione nello sguardo altrui.

Mi sedetti accanto a lui e continuammo a parlare di sua moglie, scomparsa l’anno precedente. Non gli chiesi com’era morta, mi disse soltanto che era malata da diversi anni e che negli ultimi mesi non ricordava più nulla, stentava a riconoscere perfino suo marito. Avevano costruito insieme ricordi per quasi quarant’anni e lei li aveva dimenticati tutti.

«Sai perché è azzurra questa sedia?»
«No, perché?»
«Un giorno di moltissimi anni fa ritornai a casa con due sedie uguali, entrambe marroni. Ero felice perché gliele avrei mostrate, era il mio regalo per il nostro anniversario. Tu ora penserai: “Giorgio, ma che regalo è scusa?”, e hai pure ragione, però per me era importantissimo. Ogni giorno quando volevamo sederci fuori dovevamo portare le sedie che stanno intorno al tavolo e poi riportarle dentro, così decisi di comprarne due e di lasciarle sempre qui fuori. Non vedevo l’ora di fargliele vedere, ma devi sapere che Giulia era pignola e aveva da ridire su tutto. Mi disse subito che quel colore non le piaceva, le metteva tristezza. Io ci rimasi male, però poi il giorno dopo presi la sua sedia, la portai in garage e la pitturai del suo colore preferito, l’azzurro. Quando la vide non ti dico che sorriso mi fece, ancora oggi quando ci penso sono felice». Giorgio sorrise e cancellò subito col dito una lacrima che annunciava di scendere sulla sua guancia destra.
«Io mi sarei emozionata tantissimo al posto suo, è un gesto dolcissimo».
«Alice, ma tu perché sei qui da sola oggi?» mi chiese, come se potesse leggere i miei pensieri.
«Volevo stare un po’ da sola…»
«Dimmi la verità Alice, tanto non lo dico mica a qualcuno» mi disse sorridendo.
«L’altro giorno ho detto a Marco che non so se lo amo, e non riesco a vivere con questo senso di colpa. Così ho pensato di venire qui da sola, ho lasciato il telefono a casa e ho portato con me solo la macchina fotografica. Fotografare mi calma, è terapeutico a volte. Mi permette di vedere i dettagli, di riguardare più volte qualcosa che ho già visto e di vederci dentro sempre qualcosa di nuovo».

«E in Marco non vedi più niente di nuovo?» Quella domanda rimase sospesa per un po’, ma Giorgio aspettò senza aggiungere altro.
«Forse è così, ma non voglio ammetterlo a me stessa. Vorrei soltanto amarlo come prima e non avere dubbi. Sarebbe tutto più semplice».
«Secondo me dovresti solo vederlo da una prospettiva diversa, come fai con le foto. Tutti se guardiamo la stessa cosa o la stessa persona tutti i giorni nello stesso modo poi ci stanchiamo. Funzioniamo così, siamo alla ricerca della novità, però per trovarla non dobbiamo per forza cercare qualcosa di nuovo, ma guardare le cose vecchie con occhi diversi. Può essere che non sia così, che davvero non lo ami più, però non arrenderti subito. Te lo diranno tutti, ma tu non farlo. Prendi questa sedia, ad esempio, è diventata nuova anche se era la stessa sedia di prima».
«A te è mai capitato di avere dei dubbi con tua moglie?»
«Secondo me è impossibile non avere mai dubbi in amore. Certo che mi è capitato, ma ero anche sicuro che sarebbero stati passeggeri perché eravamo uniti. Ero sicuro che avremmo superato qualsiasi dubbio e difficoltà».
«A me manca quella sicurezza…»
«Cercala, non è detto che la troverai ma almeno cercala».

Ero andata sui colli bolognesi un sabato mattina come tanti altri per scattare delle foto, ma conobbi Giorgio. Non credevo nel destino, ma attribuivo sempre un significato alle persone che incontravo per caso. Io e Giorgio non ci saremmo mai conosciuti, appartenevamo a due generazioni diverse e a due posti differenti. Quel giorno, però, lo incontrai e mi fece sedere sulla sedia azzurra che aveva occupato sua moglie per anni.
Rimasi fino a sera, continuammo a raccontarci, ma i suoi ricordi erano più nitidi dei miei, nonostante fossero più vecchi. Aveva imparato a conservarli per sopperire alle mancanze di Giulia, per non tralasciare nulla e ricordare per entrambi. Quella stessa sera chiamai Marco e gli chiesi di riprovarci, insieme, mettendo da parte i miei sensi di colpa.

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata è un romanzo pubblicato nel 1963, dopo la morte dello scrittore che lo ha concepito, Beppe Fenoglio. Ambientato negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, racconta la Resistenza senza esplicitarla. L’amore di Milton per Fulvia attraversa tutto il romanzo, e spinge il giovane partigiano a risolvere la propria questione privata.

Tutti abbiamo una questione privata da risolvere in mezzo al tempo che passa, a problemi più grandi, a una vita che scorre senza sosta. E per quella piccola questione privata saremmo capaci di mettere da parte tutto il resto, ormai sbiadito se confrontato a un amore perduto, a un tradimento subìto, a un’ossessione che ci divora. Tutti siamo stati, siamo o saremo Milton, ma senza lo sfondo atroce della guerra.

Milton ama Fulvia, e noi Fulvia la conosciamo soltanto tramite le parole di Milton. Fa parte di un passato che ci viene raccontato a posteriori, che non esiste più perché spezzato da un periodo storico che non lasciava spazio all’amore e alla spensieratezza di una giornata di sole. Eppure, siamo lettori di un romanzo che racconta la Resistenza senza esplicitarla. Ecco dove risiede la straordinarietà delle parole di Beppe Fenoglio.

L’amore muove all’azione, spinge la mente e il corpo ad agire, a lasciarsi tutto alle spalle pur di stargli dietro. Ci trasforma continuamente, ci costringe a guardarci allo specchio senza riconoscere l’immagine riflessa. Ci travolge e noi, inermi di fronte a una tale forza, lo seguiamo, lo impersoniamo e lo veneriamo come se fosse il nostro Dio. E se quell’amore è perduto, messo in dubbio o attraversato da una viscerale gelosia, nient’altro conta più al mondo.

La guerra, la Resistenza, le armi, la sofferenza, cosa sono per Milton quando il nome di Fulvia gli bagna le labbra, quando qualcuno insinua nella sua mente il dubbio? Niente, forse soltanto un impedimento, un ostacolo che è pronto ad affrontare, pur di scoprire, di trovare una risposta. Leggiamo insieme l’incipit.

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava la città di Alba.

Il nome di Fulvia è subito presente, e già dall’inizio ci accorgiamo dell’importanza che riveste nella vita di Milton. Ne ricorda l’infinita bellezza, contrapposta al proprio aspetto; egli viene descritto, infatti, come un ragazzo brutto, alto e magro. Ricorda i momenti trascorsi insieme, i posti che ne facevano da sfondo e i loro dialoghi. Ricorda un prima, spezzato da un dopo che rappresenta ancora il presente. Cosa è stata la guerra se non questo? Una rottura con la vita di tutti i giorni, con gli amori imperfetti, con le amicizie intense, le passeggiate prive di paura. E con una punta di nostalgia, il narratore del romanzo ci restituisce quei ricordi:

«No, non sei splendida».
«Ah, non lo sono?»
«Sei tutto lo splendore».
«Tu, tu, – fece lei, – tu hai una maniera di mettere fuori le parole… Ad esempio, è stato come se sentissi pronunziare splendore per la prima volta».
«Non è strano. Non c’era splendore prima di te».

Come si fa a non amare i loro dialoghi, le parole che Milton le riserva e le risposte di Fulvia, lusingata e sorpresa. È un passato che ci manca anche solo leggendone i ricordi. Al di là dell’epoca in cui viviamo, se ci sia la guerra o meno, quel sentimento folle e imperfetto rimane lo stesso. Ecco perché riusciamo a comprendere Milton e Fulvia. E siamo in grado di capire perché egli ha bisogno di trovare Giorgio, il suo amico più caro.

Milton va nella casa in cui Fulvia, che non vede da più di un anno, ha vissuto per un breve periodo, e rischia anche di essere catturato. È in questa casa che i ricordi ritornano, ancora più vividi e chiari. Qui incontra la custode della villa, che trasforma i pensieri del ragazzo, insinua nella sua mente un dubbio che attraverserà tutto il romanzo e muoverà le sue azioni. La custode racconta di Fulvia e Giorgio, alludendo a un legame tra i due mentre Milton era soldato. Gli rivela che erano sempre insieme, fino a tarda sera.

Era entrato per raccogliervi ispirazione e forza e ne usciva spogliato e distrutto.

Spogliato e distrutto”, come chi ha riposto la propria forza in una persona, in mezzo a un’immensa sofferenza, e ha ritrovato una più grande debolezza. Fulvia era il ricordo felice di un passato sereno, ora Milton non sa più niente. Ha bisogno di sapere, di ottenere delle risposte, di trovare Giorgio. Non esiste più nulla, neppure la guerra, tutto si confonde e svanisce di fronte a una forza maggiore. Siamo fragili quando amiamo, quando qualcun altro ci mette in discussione. Ci sentiamo esposti a un pericolo astratto, che non possiamo toccare con mano, ma che possiamo solo sentire. Vogliamo conoscere le ragioni di un’emozione, risolvere un ossimoro che non riusciamo a capire. Vogliamo che l’altra persona ci guardi come noi guardiamo lei, e vogliamo che nessuno la guardi nello stesso modo.

La guerra è l’ostacolo di tutti quanti. La guerra diventa l’ostacolo personale nella vita di Milton, che vuole risolvere ad ogni costo la sua questione privata, e tutto il resto non gli importa. Ecco, l’amore…

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Giorgio Morandi nella Galleria Mattia De Luca con “Il tempo sospeso”

Giorgio Morandi nella Galleria Mattia De Luca con “Il tempo sospeso”

Giorgio Morandi nella Galleria Mattia De Luca con “Il tempo sospeso”

Con la mostra Giorgio Morandi, Il tempo sospeso, la Galleria Mattia De Luca prosegue il percorso di esposizioni dedicate a grandi Maestri del Novecento italiano e internazionale.

La mostra, a di Marilena Pasquali, fondatrice e direttrice del Centro Studi Giorgio Morandi di Bologna, è realizzata in collaborazione con il Centro Studi Morandi e con il patrocinio del Comune di Roma e del Comune di Grizzana Morandi. Si articola in due tappe: dal 30 aprile al 2 luglio 2022 nella sede di Roma saranno esposti capolavori dipinti da Morandi nell’arco di quarant’anni, dagli anni Venti ai primi anni Sessanta; in autunno la sede di New York ospiterà un’esposizione antologica ancora più ampia, accompagnata da una ricca selezione di lavori su carta.

Nata da una precisa idea di Mattia De Luca, la mostra mira a restituire puntualmente la parabola artistica del suo autore, attraverso prestigiosi prestiti e depositi da importanti istituzioni (come quelle bolognesi o il Museum für Gegenwartskunst Siegen) e collezioni private.

La sospensione del tempo

La forza eterna dei dipinti morandiani si è trasformata in una costante nei pensieri di De Luca, che ha così sentito l’urgenza di questa esposizione. E così, la sospensione del tempo che si è imposta su tutti con la pandemia, si lega a quella che aleggia sulle opere di Morandi, sulla loro atmosfera, su quella luce peculiare.

La scelta di affidare a Marilena Pasquali – una delle massime esperte dell’opera del pittore bolognese – la curatela, ha così concretizzato una visione e definito questo progetto. Una formula anomala per una galleria, ma che esibisce chiaramente la totale passione per l’arte che muove De Luca nel presentare nel modo più efficace le opere dei mostri sacri che sceglie di esporre.

La mostra romana

Nella mostra romana circa una quarantina tra dipinti e opere su carta ripercorrono il percorso artistico di Morandi, nella volontà di approfondire la conoscenza della sua arte “difficile e segreta”, per parafrasare Cesare Brandi. Il serrato accostamento tra alcune “varianti” morandiane mette in luce nuovi spunti critici, come anche alcuni documenti inediti emersi recentemente dagli archivi di famiglia e integrati al percorso espositivo. Una scoperta che aggiunge dettagli originali sulla vita di un maestro dal percorso unico e rappresenta un importante valore aggiunto al pregio di questo articolato progetto espositivo.

Giorgio Morandi, Il tempo sospeso vuole valorizzare la figura di Morandi come uomo e artista saldamente ancorato al ventesimo secolo: un uomo che ha vissuto due guerre mondiali e provato il peso della disillusione, la perdita di riferimenti, la sconfitta di ogni credo. Per arginare la deriva dell’umano il pittore ricerca un ordine mentale, un’armonia della forma, una materia che si fa luce, senza tuttavia cancellare il brivido del dubbio che si ritrova in ogni sua immagine, trasformato in attesa, sospensione.

 

La curatrice Marilena Pasquali definisce così la forza dell’arte di Morandi:

“Mettere il reale tra parentesi per riuscire a viverlo. Prendere le distanze dal mondo per poterlo abitare, per accettarlo senza perdere autonomia di pensiero e umanità di comportamento. Sostenere l’importanza della sospensione, la necessità dell’attesa, il bisogno di distacco.

E continua: 

Raramente un artista ha saputo trasmettere tutto questo – ragione e sentimento fusi insieme – come ha fatto Giorgio Morandi con le sue composizioni di oggetti, i suoi scorci di natura, i suoi fiori di seta, immagini in apparenza così “neutrali” e in realtà così forti, così vuote di uomini e così colme di umanità. Morandi è artista “sull’orlo”, sempre in equilibrio sulla soglia di un tempo e di un mondo che stanno cambiando a grande velocità, e come tale oggi è più che mai necessario, in questo tempo difficile e sempre più veloce, inafferrabile e spesso incomprensibile”.

A corredo del progetto espositivo di Roma e New York, verrà pubblicato un catalogo con saggi della curatrice e di altri studiosi, letterati, artisti, e che raccoglierà anche le immagini di entrambe le mostre, i documenti inediti e le testimonianze sulla vita e l’opera di Giorgio Morandi studiati e analizzati appositamente per questo progetto.