Leonardo da Vinci: una storia di follia e innovazione culinaria

Leonardo Da Vinci aveva una smisurata passione per la cucina, tanto da aver provato in ogni modo a inserirsi in questo mondo in parallelo con la sua attività di pittore. Fu geniale come nel resto delle cose che fece? Spoiler: no.

L’amore di Leonardo per il mondo agroalimentare nacque quando, da bambino, il nonno lo portava a visitare i mulini attorno a Vinci e il suo patrigno Piero dal Vacca, pasticcere, gli concesse di averlo vicino nel suo laboratorio. Leonardo già allora creava modellini dentro cui mettere gli impasti per i dolci, ma la pasticceria gli piaceva così tanto che faceva anche qualche dolcino, soprattutto di marzapane.

A ventuno anni, dopo le ore di lavoro nella bottega di un pittore, Leonardo faceva gli extra. Un giorno si presentò alla Taverna delle Tre Lumache, al Ponte Vecchio di Firenze, un locale molto frequentato dell’epoca, dove Leonardo voleva imparare i segreti della cucina. Il locandiere, in realtà, non aveva necessità di assumere altri cuochi, ma questo giovane Leonardo gli stette così simpatico che lo prese per servire ai tavoli. E chi lavorava insieme a Leonardo? Un nome a caso: Botticelli.

Colpo di scena: i tre cuochi della locanda muoiono tutti insieme, improvvisamente. Pare che avessero assaggiato qualche cibo da cui rimasero avvelenati. Leonardo, il quale aveva molti difetti, ma di certo non la stupidità, capì al volo che era il suo momento e prese uno dei tre posti vacanti. La cucina della locanda, frequentata per lo più dai mercanti fiorentini, era molto pesante e untuosa, fatta soprattutto di sughi, carni bollite e molti grassi e Leonardo decise di stravolgere il menù e sostituire le portate abbondanti di prima con altre più leggere, con una grande cura per l’estetica. Leonardo puntava sulle affumicature, sui contrasti, e utilizzava molto aromi e spezie: fu dunque uno sperimentatore anche in cucina, praticamente un avanguardista della nouvelle cuisine.

Il cavatappi progettato da Leonardo da Vinci

Il problema è che faceva tutto da solo: apparecchiava e serviva ai tavoli, puliva i pavimenti, portava le scorte dalla cantina. Cosa fece allora per aiutarsi? Progettava macchinari: un piccolo macinapepe, un affetta uova a vento, un girarrosto meccanico e persino l’antenato del cavatappi. Ad un certo punto, però, successe un’altra catastrofe e la locanda venne spazzata via da un incendio. Ma Leonardo e il suo amico Sandro Botticelli non si diedero per vinti e vollero mettersi in società, aprendo insieme un’altra locanda. Il nome era spaziale: “All’insegna delle tre ranocchie di Sandro e Leonardo”. Com’era fatto il menù? Tavole speculari foderate contenenti dei fogli dove, sulla sinistra, vi era il disegno che spiegava il piatto e, sulla destra, il menù scritto di pugno da Leonardo. E Botticelli disegnava nel menù le pietanze. Un menù di difficile decifrazione e un locale destinato ad avere vita breve, che infatti chiuse presto.

Rimasto senza lavoro, Leonardo si dedicò alla creazione di modellini e inviò a Lorenzo de’ Medici, in guerra con il Papa, un augurio per la guerra accompagnato da biscottini in marzapane a forma di modellini da guerra. Lorenzo de’ Medici però non capì il regalo e non gli rispose mai. Leonardo allora volle lasciare Firenze, Lorenzo de’ Medici lo scoprì e gli fece recapitare una lettera dove però Leonardo non trovò nessuna referenza come cuoco, né come pittore, ma solo come abile suonatore di liuto. Stufo di quella città che non lo apprezzava come meritava, fece le valigie e si trasferì a Milano.

Nemmeno a Milano, però, si arrese all’idea della cucina, e si propose di creare qualche marchingegno per migliorare la cucina del Castello Sforzesco e di organizzare l’inaugurazione. Secondo il suo concetto di sobrietà, la festa di inaugurazione si doveva svolgere dentro una grande torta: bisognava creare una copia del palazzo degli Sforza realizzata con torte di polenta rivestite di marzapane e accatastate l’una sopra l’altra. Gli ospiti avrebbero varcato porte dolci, si sarebbero seduti su sgabelli dolci, su tavoli dolci e avrebbero mangiato dei dolci. Tra le cose più singolari, Leonardo da Vinci studiò il modo di mandar via i cattivi odori e il fumo e costruì un apparecchio per automatizzare l’arrosto. Per tenere pulito il pavimento, invece, impiegò due buoi che spingevano uno spazzolone.

Come andò l’inaugurazione del castello? I marchingegni crearono disagio fra le centinaia di invitati e i buoi impauriti cominciarono a correre e a insudiciare la cucina con i loro escrementi. Inoltre, Milano pullulava già abbondantemente di piccioni, oltre che di ratti, e gli uomini degli Sforza passarono la notte precedente a fare una carneficina. Ludovico il Moro cercò allora di liberarsi di lui mandandolo al convento di Santa Maria delle Grazie, ma nemmeno così Leonardo riuscì a placare la sua fame di conoscenza. Recita infatti una lettera del priore a Ludovico il Moro: 

Mio signore, sono passati due anni da quando mi avete inviato il maestro Leonardo; in tutto questo tempo io e i miei frati abbiamo patito la fame, costretti a consumare le cose orrende che lui stesso cucina e che vorrebbe affrescare sulla tavola del Signore e dei suoi apostoli

Comunque, la sua permanenza qui la trascorse così, creando il suo dipinto più importante:

Il Cenacolo vinciano

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.