Ozzy Osbourne, il Principe delle tenebre è ancora vivo. Ma lui minimizza…

Buon settantaquattresimo al sacerdote del metal, eminenza assoluta del dark sound. Una vita spesa tra rock ‘n roll ed eccessi. Il peggiore? Un reality.

In tanti glielo chiedono: “Ozzy, sei ancora vivo?”. E lui sorride, sempre. Di recente ha enunciato i suoi mali, tra i quali il morbo di Parkinson, e le medicine che assume per non sentire i dolori vari che lo affliggono. Ma è ancora qua, affiancato dalla seconda moglie Sharon, figlia del produttore discografico dei Black Sabbath negli anni Settanta.

Nascere a Birmingham nel 1948 significa essere baciati dalla buona sorte; implica infatti affacciarsi all’adolescenza ballando al ritmo dei Beatles e dei Rolling Stones. Ozzy è I fatti uno dei nipotini dei Fab Four, un coacervo di giovani musicisti di bellissime speranze che partono dallo steso modello per allontanarsene seguendo strade diverse.

C’è la psichedelia dei Pink Floyd, il prog dei Genesis o dei Traffic; il blues rivisto dei Cream e il rock degli Who. E poi c’è chi comincia a distorcere il suono delle chitarre: Led Zeppelin, e successivamente artisti come i Judas Priest. E come i Black Sabbath di John Osbourne, detto Ozzy dai compagni di scuola, per la sua difficoltà a pronunciare il proprio cognome.

Anni difficili quelli della scuola; si scontra spesso con gli altri ragazzi; in particolare con quello di origini italiane, Anthony Iommi detto Toni, che ogni tanto lo picchia.

Incredibilmente qualche anno dopo I due si ritrovano nello stesso gruppo musicale. Il successo arriva presto, e qualcuno parla addirittura di Sab Four. Il primo disco porta il loro nome, e la hit che apre il lato A, che si chiama anch’essa come la band, è ancora oggi considerata uno dei brani più cupi di tutta la storia del metal. Variazioni di ritmo e di volume, accordi disturbanti e la voce acuta e sinistra del ragazzo di Birmingham che quando parla pronuncia con fatica le proprie generalità.

C’è di più: Ozzy, insieme con altri frontman come Rob Halford o Lemmy Kilmister dei Motorhead, fissa le componenti dell’iconografia dell’hard rocker, tra borchie e giubbotti o gilet di pelle nera.

I Sabbath scrivono testi zeppi di riferimenti alla religione e al diavolo, a droga e disagio mentale. Vengono presto etichettati come band satanica; loro respingono, ma l’entourage capisce che le chiacchiere sulla stregoneria sono funzionali alle vendite ed alla popolarità. Cavalcano quindi l’ambiguità, e in questo Ozzy è un maestro. Tutto bene quindi, ma…

Al successo degli LP successivi (soprattutto Paranoid, con pezzi memorabili come la title track, War Pigs e Iron Man) il nostro reagisce cadendo nella spirale alcool-droghe; nel giro di pochi anni viene licenziato dalla band perché non più affidabile.

È il disastro; Osbourne si dà se possibile ancora di più agli stravizi. A salvarlo giunge Sharon, la sua pazientissima e devota seconda moglie e poi anche manager: lo spinge a reagire e lo aiuta a crearsi una carriera da solista. Fonda i “Blizzard of Ozz” e negli anni ottanta ritrova la via del successo, sempre nel segno del dark sound e degli orpelli diabolici.

Durante un concerto a Des Moines nello Iowa raccoglie un pipistrello e gli stacca la testa con un morso. Presto corre sul filo la notizia della sua morte per un’infezione causata dall’animale, e per un po’ tutti ci credono (non ci sono ancora le notizie in tempo reale). Poi arriva la smentita; Ozzy è vivo, il pipistrello molto meno; era vivo quando l’ha decapitato, anzi no.

Il nostro eroe corre a vaccinarsi e gongola al pensiero del putiferio che sta per scatenarsi: per anni gli chiederanno dell’accaduto, da David Letterman ad altri.

Perché nei decennali alti e bassi, nelle sue discese e risalite, Ozzy si è sempre riproposto al pubblico senza filtri e senza farsi sconti nel raccontare debolezze e follie, come quando nel corso di una crisi di nervi quasi strangolò la consorte; o quando, racconta stavolta Iommi nella sua autobiografia, distrusse una camera d’albergo e vi smembrò il corpo di uno squalo. Forse proprio la sua trasparenza gli ha consentito di essere credibile ogni volta che è salito sul palcoscenico a recitare il suo personaggio, che non è mai uscito di moda.

Credibile anche quando prende parte anche al film “Trick or treat”, in italiano “Morte a 33 giri”, nella parte di un religioso oscurantista che vede il diavolo ovunque. E il diavolo, forse stanco di sentirsi osservato da lui, lo possiede seduta stante.

E soprattutto quando, sotto la guida di Sharon, è il protagonista nei primi anni del secolo del reality “The Osbournes”, gioioso e folle TV show che entra nella casa del cantante e ne segue le vicende familiari.

Sembra un assurdo che il demonio si presti a situazioni da piccolo schermo, ma è un grandissimo successo personale. La rockstar spettacolarizza anche l’intimità dei suoi cari, e nelle interviste successive non ha problemi nell’ammettere come i suoi figli adolescenti abbiano sofferto di reali problemi di dipendenza dalle droghe negli anni delle riprese televisive.

E, visto il favor di pubblico, perché non insistere? Venti anni dopo, nel settembre del 2022, la coppia annuncia l’arrivo di una nuova sit-com che celebrerà i settant’anni di Sharon, la figlia Kelly che diventa madre e, ovviamente, le gesta del capofamiglia. La promessa di divertimento, risate e lacrime è già stata lanciata, il titolo Home to roost (letteralmente “a casa per riposare”, ma anche “situazioni spiacevoli”, secondo una frase idiomatica) è tutto un programma. Televisivo.

Negli anni non si è fatto mancare nulla; ha diversificato la sua arte e, forse, agli occhi di alcuni fan della prima ora, è parso svendersi. In realtà, senza considerare che il maligno non dovrebbe avere troppi scrupoli di coerenza, l’anziano istrione non ha mai dimenticato la propria natura primigenia di Padrino del metal, che è poi un altro dei titoli che si possono utilizzare per chiamarlo in causa.

Sul palco la sua presenza carismatica attraversa i decenni per giungere ancora più potente ai nostri giorni; vedere per credere le immagini del concerto di Birmingham del 2017. I video dell’evento, chiamato “The End” proprio perché il loro ultimo gig insieme, ci mostrano un Osbourne muoversi ondeggiando in avanti e indietro, aggrappato all’asta del microfono. 

A differenza di quella di Paul Stanley, leader dei Kiss, o di Geddy Lee, bassista e cantante dei Rush, la voce di “The Ozz” è incredibilmente intatta. Parlare di un patto con Belzebù, con lui è fin troppo facile. Quale sia il filtro magico che ha inghiottito prima di salire sul palco davanti alla sua gente, la figura sinistra, segnata dal tempo eppure così vispa, il sorriso enigmatico e la risata satanica mandano ancora in visibilio i fan.

E lui, affiancato dal suo miglior nemico (o peggior amico, fate voi) Toni Iommi, torna ad officiare il rito di quella misteriosa religione che è l’heavy metal; lui che tanti anni prima ha contribuito a scriverne le tavole della legge.

Lunga vita a te, Principe delle tenebre. God bless you!

Danilo Gori