Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Il ricordo di Emily Dickinson, poetessa statunitense vissuta nell’800, rimane vivo grazie alle sue numerose poesie, fonte di riflessione e ricche di significato. Vogliamo omaggiarla ricordando una delle sue poesie più belle.

 

Emily Dickinson nasce il 10 dicembre 1830, e il suo nome rimanda subito alla nostra memoria le sue poesie: delicate, coraggiose e infinitamente belle. Semplici da comprendere ma prive di banalità, hanno il potere d’insegnarci ogni volta qualcosa che, forse, avevamo tralasciato.

Ha vissuto soprattutto nella casa della sua famiglia d’origine, borghese e di tradizioni puritane. Difficile è stato per la poetessa il rapporto col padre, che definì in questo modo: “Mi compra molti libri ma mi prega di non leggerli perché ha paura che scuotano la mente”.

All’età di venticinque anni decide di recludersi nella propria camera, e non uscì neppure quando morirono i suoi genitori.

In molti dei suoi componimenti possiamo scorgere la figura di un uomo, il reverendo Charles Wadsworth, di cui si innamorò. Era, però, già sposato con figli e l’amore che provò per lui rimase platonico.
Emily Dickinson morì di nefrite ad Amherst, medesimo posto in cui era nata, il 15 maggio 1886 all’età di 55 anni.

Non conosciamo mai la nostra altezza

Non conosciamo mai la nostra altezza
finché non siamo chiamati ad alzarci.
E se siamo fedeli al nostro compito
arriva al cielo la nostra statura.
L’eroismo che allora recitiamo
sarebbe quotidiano, se noi stessi
non c’incurvassimo di cubiti
per la paura di essere dei re.

Cos’è la nostra altezza se non il nostro valore? Quel che siamo in grado fare e, soprattutto, di essere, ma che spesso sminuiamo. Paradossalmente, è più facile riconoscere il valore e le capacità altrui, il loro essere all’altezza, e dimentichiamo quel che siamo noi. Ci nascondiamo dietro le nostre insicurezze, sempre in disparte, abbandoniamo il coraggio di metterci alla prova.

Quando siamo chiamati a tentare ci accorgiamo di essere meno piccoli di quel che credevamo. Dopo esserci alzati, se abbiamo la forza di continuare e di non lasciarci vincere dalla paura di non essere abbastanza, arriva al cielo la nostra statura.

Il nostro eroismo, però, non dovrebbe essere occasionale, ma quotidiano. Dovremmo abbracciare quel coraggio, quella voglia di uscire dall’oscurità delle nostre insicurezze. Dovremmo abbandonare la paura di essere dei re, senza accontentarci di una vita vissuta in disparte.

Siamo abituati a vivere tra la massa, come se il nostro contributo fosse insignificante. Ci disperdiamo tra la folla, non alziamo la voce, non ci esponiamo. Farlo significherebbe rischiare di non essere apprezzati da chiunque e a noi non piace gestire i rifiuti. Non siamo neppure in grado di farlo. È più facile osservare le vite degli altri, non indagare sulle nostre potenzialità e darci dei no a priori.

 

Solo due quartine, otto versi e poche parole, ma colme di significato. Emily Dickinson ci chiama ad agire, a riconoscere la nostra altezza, a fare i conti con la nostra autostima. Ci esorta a tentare pur riconoscendo la paura che comporta. Si rivolge a chi vuole essere coraggioso, ma non sa come.

Una poesia non deve essere solo letta, ma vissuta, interpretata e fatta propria. È un’esperienza che si consuma verso dopo verso, ma che non si esaurisce mai.

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

“Il barone rampante” e il coraggio di essere liberi

“Il barone rampante” e il coraggio di essere liberi

“Il barone rampante” e il coraggio di essere liberi

Il barone rampante, romanzo pubblicato da Italo Calvino nel 1957, ripercorre la vita straordinaria di un bambino che rinuncia alla normalità e sceglie di essere pienamente libero. 

Siamo incoerenti per tutta la vita. Viviamo di rimorsi e di rimpianti, di scelte che “forse non dovevo fare”. C’è chi vive sempre nello stesso posto, che guarda il mondo dal medesimo punto di vista ogni singolo giorno. C’è chi un altro punto di vista non lo vuole neppure conoscere, perché va bene così, non serve cercare altro. Ci si sveglia la mattina e si seguono regole implicite, che contrastano l’originalità e ci costringono a vivere la vita così com’è.
Ci sono persone che s’illudono di essere folli soltanto perché hanno cambiato città, rimanendo con i piedi ben piantati per terra. Spesso si crede che rischiare, trasgredire equivalga a sposare un’originalità che non gli appartiene poi così tanto. Ci sono gli abitudinari, ci sono i trasgressori che provano a essere folli.

E poi c’è chi non fugge dalla realtà, ma assume soltanto un punto di vista nuovo, inedito e, soprattutto, coerente nella sua originalità: Cosimo, il protagonista de “Il barone rampante” di Italo Calvino. Il romanzo viene pubblicato nel 1957 e Calvino dà prova ancora una volta del suo inarrivabile talento. Uno scrittore che cerca di comprendere la realtà attraverso la fantasia. Una fantasia verosimile e distante al tempo stesso.

Cosimo ha 12 anni, ma una personalità che gli altri costruiscono a fatica per una vita intera. Non rinuncia alla realtà, alla vita e alla sua famiglia. Rinuncia alle regole che muovono la vita sociale e familiare, troppo rigide e restrittive. Rinuncia alla normalità, a essere un uomo tra gli uomini. Cosimo vuole osservare il mondo da una prospettiva diversa, privilegiata ma anche estremamente faticosa. Per comprendere meglio leggiamo insieme l’incipit:

Fu il 15 giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi.

“Per l’ultima volta.” Il lettore si chiede cosa voglia dire Biagio, fratello minore di Cosimo e narratore del romanzo. Egli guiderà la nostra lettura, ci accompagnerà in un viaggio di cui non è il protagonista, ma solo lo spettatore. Biagio è l’esatto opposto di suo fratello. Biagio è tutti noi, esseri umani ordinari che vivono una vita ordinaria. Biagio guarda Cosimo dal basso e Cosimo guarda tutti gli altri dall’alto.

Cosimo, un giorno come tanti altri, seduto a tavola con la sua famiglia, respinge un piatto di lumache, disubbidisce e se ne va. Sale su un albero, intenzionato a non scendere.

Nostro padre si sporse dal davanzale. – Quando sarai stanco di star lì cambierai idea! – gli gridò.
– Non cambierò mai idea, – fece mio fratello, dal ramo.
– Ti farò vedere io, appena scendi!
– E io non scenderò più! – E mantenne la parola.

Il capriccio si trasforma in uno stile di vita. Un bambino di 12 anni decide di trasformare una condizione temporanea nella sua casa. Una casa priva di pareti.

Cosimo vive sul ramo di un albero e riesce a vedere il mondo da un punto di vista diverso, per cercare di comprenderlo e accettarlo. Guarderà i suoi genitori e suo fratello dall’esterno. Una scelta folle, libera e coraggiosa. Una scelta coerente, che gli permetterà di vedere la realtà con occhi diversi, cogliendo tutte le sfaccettature invisibili sulla terra. Cosimo vive tra cielo e terra, tra realtà e fantasia.

Forse qualche volta per comprendere la realtà che ci circonda vorremmo soltanto guardarla dall’esterno, pur facendone parte. Non riusciamo a capire quello che viviamo perché siamo coinvolti pienamente. Non siamo coraggiosi abbastanza, non sappiamo neppure come sperimentare quel coraggio che ci renderebbe liberi, anche solo per un po’.

Cosimo ci insegna a scegliere di scegliere, a non accettare passivamente, a ribellarci. Una forma di ribellione, la sua, inverosimile per noi, ma che rappresenta la metafora di uno stile di vita libero da condizionamenti.

Cosimo non è un eterno Peter Pan, non rifiuta di diventare adulto. Fa un patto con sé stesso e sceglie di non abitare, ma di vivere. Sceglie di rinunciare a un piatto di lumache e a tutto ciò che comporta, ma non lo fa solo una volta. Rifiuta quelle lumache per tutta la vita, e con esse l’ordinarietà di una vita prima di individualità. Sceglie di essere sé stesso, si dedica alla lettura, che diventa per lui fondamentale, si innamora. Vive.

Rimane immutato lo spazio, il posto. Il tempo, ahimè, continua a scorrere, e con esso anche i suoi anni. “Il barone rampante” è un percorso e noi lettori siamo liberi di interpretare quel che il narratore omette. Siamo liberi di leggervi la nostra vita o quella che non vivremo mai. Siamo liberi di amare o odiare Cosimo, ma non siamo liberi di dimenticarlo. Egli è eterno.

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.