Parità di genere: obiettivo ancora lontano in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica…

Parità di genere: obiettivo ancora lontano in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica…

Parità di genere: obiettivo ancora lontano in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica…

Oggi, solo un terzo dei laureati STEM in Europa è di sesso femminile e si stima che entro il 2027 le donne rappresenteranno solo il 21% dei posti di lavoro nel settore tecnologico. Tuttavia, l’ultima edizione dello State of Science Index di 3M ha rilevato che il 78% degli intervistati in Italia ritiene che le donne siano una fonte di potenziale inutilizzato nella forza lavoro STEM.

I governi, le aziende e gli individui di tutto il mondo stanno affrontando importanti sfide sociali, tra cui il cambiamento climatico, la recessione economica e la digitalizzazione di quasi tutti gli aspetti della nostra vita. In questo contesto, si tende a relegare diversità, equità e inclusione e a trattarle come questioni secondarie: non lo sono affatto!
Affrontare le sfide descritte sopra dipende dall’ingegno umano e dall’unione di talenti eccezionali con competenze scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (STEM) in grado di creare soluzioni e migliorarle. Tuttavia, attualmente si registra una carenza di queste competenze in settori chiave e il numero di talenti STEM che entrano nel mondo del lavoro non è sufficiente. Le donne, in particolare, sono una parte significativamente sottorappresentata della forza lavoro STEM e, soprattutto, una fonte di potenziale non utilizzata per colmare il divario di talenti.

Rappresentanza: aumenta la mancanza di donne che intraprendono percorsi STEM
L’Europa fatica ad attrarre le ragazze nell’istruzione STEM e, di conseguenza, le donne nei lavori STEM. Nonostante le donne superino gli uomini come studenti e laureati a livello di laurea e master, solo il 33% dei laureati in materie STEM in Europa è di sesso femminile e, peggio ancora, si stima che entro il 2027 le donne rappresenteranno solo il 21% dei posti di lavoro nel settore tecnologico.

Non si tratta solo di un numero inferiore di donne che entrano in un settore altrimenti stabile, ma si prevede anche che il deficit di talenti tecnologici in Europa raggiungerà quasi i 4 milioni, sempre entro il 2027. È chiaro che, le aziende che si affidano alle competenze STEM, dovrebbero investire di più per rivolgersi ai gruppi sottorappresentati che sono scoraggiati dal perseguire una carriera nel settore.

Mettere la diversità al centro della crescita tecnologica
La tecnologia si sta innovando a un ritmo disarmante, con nuove soluzioni in campi come il cloud computing, l’intelligenza artificiale generativa e l’informatica, che stanno completamente ridisegnando le modalità di interazione tra aziende e consumatori. Si potrebbe pensare che, in questi momenti molto dinamici, la creazione di competenze diversificate sia fondamentale per ottenere il massimo valore dalla tecnologia. Al contrario, la ricerca mostra che la percentuale di donne che lavorano in questi settori ad alta crescita è, addirittura, inferiore alla media di tutti i ruoli STEM.

Un’indagine del nostro 3M State of Science Index ha rilevato che il 78% degli intervistati in Italia ritiene che i gruppi sottorappresentati (donne, minoranze etniche/razziali, LGTBQ+, persone a basso reddito o che vivono in aree rurali) siano una fonte di potenziale inutilizzato nella forza lavoro STEM.
Quando si affrontano tecnologie nuove e complesse, è essenziale assicurarsi i talenti più qualificati e creativi e questo significa, senza dubbio, che le minoranze sottorappresentate, come le donne, le persone LGBTQ+ e quelle appartenenti a gruppi etnici diversi, dovrebbero essere coinvolte e incentivate a dare il loro contributo.

Promuovere le STEM come carriera, dall’asilo nido alla fiera del lavoro.
Per comprendere l’attuale deficit di donne nelle carriere STEM, dobbiamo analizzare le ragioni per cui le donne e le ragazze rinunciano a entrare nel settore. In definitiva, la dissonanza inizia nei contesti educativi, dove le ragazze non sono incoraggiate a seguire le materie scientifiche, né sono circondate da modelli di ruolo femminili. Se l’attività STEM viene scoraggiata a livello scolastico, è chiaro che non verrà considerata un’opzione di carriera valida.

In 3M, un’area chiave della nostra attività di advocacy è l’enfatizzazione del legame tra educazione scientifica e occupabilità. In Italia, la partecipazione a programmi come #IamRemarkable, InspirinGirls e 4 Weeks 4 Inclusion ne sono un esempio. A questi si aggiunge il contributo che 3M e dipendenti, tutti volontari, apportano continuamente per inspirare giovani studentesse a creare quel legame tra scienza e costruzione della carriera fin dalla tenera età, come il programma Pop-up STEM Lab con l’associazione Kairos, o ancora il 3M Visiting Wizard per condividere la magia della scienza con gli studenti, attraverso dimostrazioni scientifiche ed esperimenti pratici

L’11 febbraio le Nazioni Unite celebrano la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nelle discipline STEM, in accordo all’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, e con l’occasione le aziende del settore scientifico e tecnologico devono riflettere sulla diversità delle loro pipeline di talenti. In futuro dovremo impegnarci tutti a:
migliorare la promozione delle donne all’interno delle carriere STEM, anche attraverso il mentoring;
presentare e valorizzare le donne leader nei settori STEM, affinché fungano da modello per la prossima generazione di talenti;
cambiare la mentalità per vedere le donne e altri gruppi sottorappresentati come la chiave per porre fine alla carenza di competenze e sbloccare il prossimo passo nell’innovazione STEM.

A cura di Mariagrazia Perego


Informazioni su 3M
3M traduce la scienza in soluzioni presenti nella quotidianità. Con un fatturato di 35 miliardi di dollari USA, opera in 200 paesi del mondo.
Sfruttando 51 piattaforme tecnologiche, 3M è presente in aree di eccellenza tra le quali: salute, automotive, consumo, trasporti, grafica, design, elettronica, energia, industria, sicurezza, telecomunicazioni.
In Italia 3M è presente da oltre 60 anni, oggi ha circa 600 collaboratori, un fatturato di oltre 480 milioni di euro ed una vastissima gamma di soluzioni tecnologiche.
www.3Mitalia.it

www.3m.com

Breve storia del diritto di voto femminile in Europa

Breve storia del diritto di voto femminile in Europa

Breve storia del diritto di voto femminile in Europa

La storia dell’emancipazione femminile per un secolo ha riguardato la lotta per il diritto di voto che solo nel 1948 viene riconosciuto come diritto fondamentale dell’umanità dall’ONU

Nel 1840, a Londra, si tenne la World Anti-Slavery Convention, una convenzione che si inserì nella scia dei movimenti abolizionistici che attraversavano, in particolare, gli Stati Uniti d’America. Se questa convenzione segna un punto importante per i diritti umani, allo stesso tempo rappresenta un punto importante per il dibattito sull’emancipazione femminile. Infatti, alla World Anti-Slavery Convention non solo le donne vennero osteggiate, ma soprattutto non ebbero diritto alcun diritto di parola.

Dalle ceneri di questa esperienza Elizabeth Cady Stanton e Lucretia Mott – che avevano preso entrambe parte alla convenzione del 1840 – organizzarono nella cittadina di Seneca Falls, nello stato di Ney York, la prima convenzione espressamente dedicata ai diritti delle donne. Al centro di questa prima convenzione è il diritto di voto alle donne, tema che sarà il principale motivo di battaglia per le donne nei decenni successivi. Proprio questa convenzione segna il punto di avvio del movimento delle suffragette che avrà una sempre maggior diffusione e importanza per l’affermazione dei diritti delle donne.

Così, fino alla seconda metà del XX secolo, le rivendicazioni femminili si concentrarono, in particolare, sul diritto di voto. Infatti, fino alla fine dell’800 nessuno stato nel mondo riconosceva questo diritto alle donne. A questo proposito, il primo paese nel mondo è la Nuova Zelanda nel 1893, periodo in cui gli Stati Europei, non solo erano ben lontani dal riconoscimento del suffragio femminile, ma non avevano, in larga parte, riconosciuto quello maschile – addirittura in Italia il suffragio universale maschile è del 1912, mentre in Inghilterra venne allargato definitivamente nel 1918. Figurarsi per il diritto di voto femminile. Se il 1848 è l’anno in cui prende avvio il movimento femminista delle suffragette, solo un secolo più tardi, con il referendum costituzionale del 2 giugno 1946, le donne voteranno per la prima volta.

A dire il vero, però, al di là del caso italiano, le suffragiste, fino alla Prima Guerra Mondiale, non otterranno grandi successi. Il diritto di voto era stato approvato solo in alcuni stati – tra cui, oltre alla Nuova Zelanda, l’Australia (1902) e la Finlandia (1906). Questo ritardo è davvero sorprendente se si considerano i grandi fenomeni economici e sociali che rivoluzionarono l’Occidente e l’Europa a partire dalla rivoluzione industriale. Infatti, l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne con la diffusione delle industrie diede un ruolo di maggior rilievo alle donne, ma senza che questo si tramutasse in un riconoscimento politico – anzi, ebbe un risvolto di sfruttamento e schiavitù lavorativa ben documentati.

Anche gli Stati Uniti ebbero un percorso simile all’Europa. Eredità dell’età progressista – quel periodo che si ascrive al 1890-1920 – è sicuramente un generale miglioramento delle condizioni di vita e lavorative delle classe medie e degli operai, ma anche – e soprattutto – un profondo avanzamento per quanto riguarda il discorso dell’emancipazione femminile e il diritto di voto alle donne – alcuni stati dell’Ovest come la California e l’Arizona lo introdussero già prima della guerra il diritto di voto alle donne. Ma questo diritto verrà generalizzato solo nel 1920 con il XIX emendamento. Così, se il movimento delle suffragette conosce alcuni successi già nell’800, essi sono comunque molto limitati rispetto alla portata delle rivendicazioni.

Così, guardando alcune date, si può dire che l’affermazione della società di massa nel primo ‘900 e, soprattutto, la Grande Guerra siano stati determinanti per una prima grande diffusione del diritto di voto alle donne. Per esempio, la già citata Inghilterra nel 1918 – che riconobbe il voto, però, solo alle donne sopra i trent’anni –, come anche il Canada, la Germania e l’Austria, sempre nel 1918. Un anno prima era arrivata la Russia che accordò il diritto di voto nel 1917 con la Rivoluzione, diritto poi ratificato dall’Assemblea costituente nel 1918.

Ma per quale motivo i fermenti dei primi vent’anni del ‘900 furono così importanti? Si può dire che allo sviluppo dell’opinione pubblica si accompagna la gestazione di una moderna opinione pubblica che mise sempre più in difficoltà il modello liberale che era ancora basato sul censo – come in Inghilterra e in Italia. Con l’accesso delle masse popolari la società esige un cambiamento di rappresentanza. Le ristrette basi di consenso dello stato liberale non sono più rappresentative né potrebbero esserlo in alcun modo. E Giolitti, infatti, comprende bene questo punto e cerca, fino alla fine, di allargare le basi del potere del sistema liberale italiano. Così anche le donne iniziano ad avere un ruolo più rilevante e una maggior coscienza di sé su questo piano. In Italia, per esempio, si tenne, nel 1908, Congresso Nazionale delle Donne Italiane, organizzato dal Consiglio nazionale delle donne, nato nel 1901.

Ma un vero e proprio momento di svolta per l’emancipazione femminile – che riguardano ambiti diversi, ma le richieste erano soprattutto inerenti al diritto di voto – si ha con la Prima guerra mondiale. Con l’intensificarsi dell’attività industriale e per tamponare la carenza di manodopera maschile nelle fabbriche – dato che milioni di lavoratori erano impegnati al fronte – le donne vennero inserite in massa nelle attività produttive. Così il loro ruolo cambiò. Non erano più inferiori se erano riuscite a svolgere ruoli e mansioni maschili. E così apparvero agli occhi della società del tempo. Così, il diritto di voto in alcuni paesi fu avvertito come giusta “ricompensa” per l’impegno prestato dalle donne. Le donne c’erano state per lo stato e rivendicavano un maggior riconoscimento politico.

Le italiane voteranno solo nel 2 giugno 1946. Appare sorprendente rileggere oggi queste parole: “Io penso che la concessione del voto alle donne in un primo tempo nelle elezioni amministrative in un secondo tempo nelle elezioni politiche non avrà conseguenze catastrofiche come opinano alcuni misoneisti”. A pronunciarle è Benito Mussolini, il 9 maggio 1923, all’apertura del IX congresso dell’Associazione internazionale del Suffragio femminile. Le parole di Mussolini saranno riprese da una legge nel 1925 che concede alle italiane con la terza media la possibilità di eleggere gli amministratori locali. Ma le donne chiaramente non voteranno mai. Anzi, tre mesi dopo anche il voto maschile perderà qualsiasi valore con la legge “fascistissima” che sostituiva i sindaci con potestà nominati dal Duce.

E il percorso sarà ancora molto lungo. Solo con la fine della Seconda guerra mondiale il suffragio femminile sarà generalizzato. A metà degli anni settanta solo pochi paesi non l’avevano ancora riconosciuto – tra cui Svizzera, Yemen, Giordania e Sudafrica. A suggellare l’universalità del diritto di voto femminile è la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’ONU nel 1948.

di Simone Mazza

Dimentica il mio corpo

Dimentica il mio corpo

Dimentica il mio corpo

Osservando impassibile dall’Olimpo del suo account Twitter, la Dea tirannica Giorgia Meloni è riuscita a strumentalizzare il corpo femminile. Di nuovo.

Di ogni battaglia si crea un memoriale, un po’ come quei paesaggi greci punteggiati di pietra bianca a celebrare i coraggiosi tempi andati. In questa campagna per eleggere nuovi despoti e condottieri che ci accingiamo ad affrontare, c’è chi nel combattere non si sta facendo scrupoli. Nessuna guerra che si rispetti, però, finisce in assenza di caduti.
Il sacrificio dei martiri è l’unica via per l’espiazione, per ricordare ai vivi che il loro respiro è solo un semplice dono destinato ad esaurirsi.
La guerra la fanno i corpi e nessun corpo è più perfetto, per un campo di battaglia, di quello di una donna. La pelle è un elemento fragile, ogni venatura un bellissimo sentiero verso il peccato per coloro che amano prendersi ciò che non è proprio. Noi donne siamo mostri del desiderio.

Fu per volere del padre di Medusa che Atena ne fece la propria sacerdotessa. Il memoriale più antico, il tempio, poteva nascondere ciò che più lo preoccupava: la bellezza della propria figlia.  La bellezza è la croce dei secoli: sul nostro corpo s’instrada la paura che un uomo non riesca a controllarsi, che per il solo vizio di esistere attiriamo le fantasie più viscerali.

Quando Poseidone se ne invaghì, il ventre di Medusa divenne la porta per il proprio piacere e quando sotto mentite spoglie, riuscì a prenderla con la forza, le urla della sacerdotessa non le udì nessuno. Tranne per qualcuno che preferì ascoltare, piuttosto che aiutarla.

Medusa cercò di spiegare ad Atena che lei non voleva tradirla, che mai si sarebbe arrischiata di far entrare un uomo nel suo tempio, nel suo memoriale, volontariamente. Lei, ennesimo burattino degli Dèi capricciosi ed egoisti, non avrebbe mai osato.

Ebbene, la Dea non le credette e da lì ogni sguardo, ogni singolo contatto visivo, si sarebbe trasformato in pietra. Atena ne fece un simbolo, modellato a suo piacimento, isolandola dal mondo intero, ma sotto gli occhi incuriositi di tutti.  

Ci sono diverse versioni di questa storia, ma una cosa è certa. Medusa fu condannata per il suo esser donna e divenne un potente strumento in mano a chi, per la propria natura, avrebbe dovuto aiutarla.
Qualche millennio dopo, a Piacenza, il corpo della donna, sull’asfalto si graffia.

Come sul tempio marmoreo della Dea, il sangue scivola lungo le insenature del terreno mentre nessun urlo riesce a far soccorrere quest’ennesima vittima. Non è stato il fato a segnarla, ma un uomo che ha deciso di appropriarsene contro la sua volontà.

A quanto pare, da una finestra, delle immagini stanno per farle rivivere il proprio peggiore incubo. In questo secolo, l’occhio si fa cinepresa e le immagini diventano una memoria alla mercé dell’ennesima dea che vorrà servirsene per le proprie (ed insulse) battaglie. Le urla sono diventate musica per i peggiori siti porno, un mezzo al servizio di tutti, a chi sguazza nell’orrore e a chi si vuole sentire fortunatə.

Tutti conoscono la voce di questa ragazza, tutti ne conoscono i lamenti, gli orrori, i graffi, la pelle nuda, il dolore.

Nessuno avrebbe il diritto di rievocarlo. Dopo la profanazione del proprio corpo, c’è anche quella del ricordo, della propria sofferenza, della propria anima. Mentre la vera colpa del carnefice, secondo la scialba dea Atena, non è di aver commesso uno stupro, ma il colore della pelle.

Quello che molti si chiedono è come può una donna, che in quanto tale conosce la strumentalizzazione del corpo, utilizzare quelle urla e darle agli strilloni per divulgare la propria immagine.

Come può una donna aver così poco rispetto di un’altra e ricorrere al proprio potere con un tale disinteresse? Quale (presunta ed inesistente) battaglia potrà mai valere l’annientamento di un essere umano?

I caduti creano polvere pronta a spargersi sulle proprie lapidi. Un modo per ricordare che una volta si era vivi su questa terra.

Una giornata di agosto, nitida in ogni straziante forma, tranne che per le sembianze di lui. Ma per la Dea Giorgia quel corpo è solo uno strumento di virile propaganda, per ergere un memoriale dell’ennesima ed insulsa battaglia.

di Sophie Grace Lyon

About women: 5 “frasi-tipo” che non ci meriteremmo di sentire

About women: 5 “frasi-tipo” che non ci meriteremmo di sentire

About women: 5 “frasi-tipo” che non ci meriteremmo di sentire

In Italia essere una donna non è affatto un compito facile, soprattutto quando si ha l’intenzione di uscire di casa (o ritornarci) dopo le 22, indenni da aggressioni, violenze, stupri e fraintendimenti…

Ogni donna italiana si sarà sentita dire almeno una volta nella vita, di solito alla sera, prima di uscire, frasi come: “ma dove vai vestita così”, “non tornare tardi”, “non tornare da sola”, “non bere troppo” e “attenta a con chi parli, non dare retta agli sconosciuti”.

Sembra quasi esserci un “codice”, non dichiarato apertamente, di comportamento che ogni ragazza/donna italiana deve imparare a rispettare prima di uscire di casa, soprattutto dopo un certo orario, che di solito coincide con il momento del calare del sole. I recenti avvenimenti di cronaca lo dimostrano, si basti pensare all’episodio avvenuto sul treno Milano-Varese in data 3 dicembre 2021: due ragazze, sui vent’anni, prendono un treno, l’orario, oltre le 22, è “troppo rischioso” per salire da sole su un mezzo pubblico (tecnicamente sottoposto a sorveglianza), due uomini si avvicinano, una delle ragazze riesce a scappare, l’altra subisce pugni, violenza fisica e sessuale. Sarebbe accaduto lo stesso se avessero viaggiato di giorno, su un vagone più affollato, in presenza di altre persone? Probabilmente no.

Ciò a cui si assiste in Italia è un fenomeno sociale e culturale che costringe le abitudini femminili entro una rosa di regole che, se valicata, sembra ammettere ogni genere di barbaro comportamento e giustificare frasi come “te la sei andata a cercare”. L’esempio classico è quello dell’abbigliamento: gonne troppo corte, magliette troppo scollate, abiti troppo aderenti spesso vengono interpretati come un atteggiarsi “da poco di buono” e un facile concedersi. Spesso con malevolo pensiero verrebbe da pensare che una donna con indumenti succinti, magari ferma al lato del marciapiede oltre la mezzanotte, sia una prostituta.

Eppure potrebbe solo stare aspettando un passaggio per tornare a casa, ma sembra strano che dopo quell’ora, dopo una “certa ora” sia così, perché dopo una certa ora solo un certo tipo di donne esce di casa con un certo tipo di indumenti e con certe intenzioni, non vi pare? Un altro esempio frequente è il “non tornare a casa tardi”, come se dopo una certa ora come nei peggiori film dell’orrore spuntassero mostri e maniaci, e spesso pare essere proprio così, perché una ragazza deve stare attenta a uscire “da sola” oltre a un certo orario dal momento che “non si sa chi potrebbe incontrare”. Accade a Cinisello Balsamo il 6 aprile 2021, una diciannovenne scende dal bus per tornare a casa, è buio e “tardi”, l’aggressore la segue, la getta a terra colpendola con la cintura, le toglie pantaloni e slip. E’ stata una donna affacciata dal balcone a chiamare i soccorsi e a intervenire prima che si consumasse l’ennesimo caso di stupro in Italia, oltre 652mila secondo quanto rilevato da fonti Istat.

Altri due “grandi classici” sono “l’attenta alle persone cui dai confidenza” e il “non bere”, perché lo stato di incoscienza ti sottoporrebbe al rischio di essere abusata. Succede a Mantova il 22 settembre 2021, a 15 anni, una giovane viene abusata da un coetaneo in un locale, che ha pensato bene di poter “approfittare” dello stato di ebrezza e incoscienza della ragazza, certamente non consenziente.

INAMMISSIBILE

La casistica comprende un numero elevatissimo di esempi, di cui quelli riportati sono solo la punta dell’iceberg. Casi per giunta, tutti avvenuti nel corso del 2021, che evidenziano come il problema sia significativo e attuale. Alla proposta a seguito dell’episodio avvenuto sul treno Varese-Milano di cabine e vagoni solo per donne, sarebbe opportuno chiedersi, se sia normale in un paese democratico, tecnicamente civilizzato e istruito, oltre che sorvegliato da forze dell’ordine, imporre certo tipo di precauzioni (e limitazioni) verso le donne. Come può essere ammissibile che certe consuetudini comportamentali, dal tornare a casa, all’usufruire di alcolici, all’avvalersi di mezzi pubblici per tutto l’arco dell’orario di servizio, abitudini NORMALI, possa sottoporle, in quanto donne, a un alto rischio di stupro.

Sarebbe semmai opportuno chiedersi come intervenire su controlli di sicurezza ed educazione nelle scuole, nelle famiglie, nel lavoro, grazie ai mezzi di comunicazione e alla gravità delle condanne inflitte, per apportare concreti cambiamenti.
L’uscire di casa, come donna, a ogni ora del giorno è un diritto, e creare le condizioni per farlo in sicurezza e in libertà un dovere.

Fonti:
Corriere.it
IlGiorno.it
MilanoToday
Istat

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.

About women: La cultura del possesso

About women: La cultura del possesso

About women: La cultura del possesso

Il reato di violenza sulle donne concerne una rosa di fenomeni comprendenti: femminicidio, violenza fisica e psicologica, stalking, subordinazione. L’ONU si è impegnata a bollare questo fenomeno come atto di violazione dei diritti della persona, ma né le organizzazioni internazionali né le singole nazioni sembrano essere in grado di intervenire adeguatamente, e l’Italia tra di loro.

La recente “brutta figura” di Barbara Palombelli in merito alle vittime di femminicidio può servire da spunto a una considerazione che, si intenda, non giustifica nessun tipo di aggressione e/o omicidio ma presuppone un discernimento tra l’atto di omicidio in quanto tale e quello di femminicidio, tenendo a mente che: non tutte le morti di donne sono ascrivibili alla dinamica di “femminicidio”, a differenza di quanto spesso i giornalisti “gridano” sulle maggiori testate. Per poterne parlare è infatti necessario un atto di omicidio doloso o preterintezionale, preceduto da comportamenti misogini da parte di un individuo di sesso maschile e di fatto fondato su una presunta disparità di genere dove la donna è considerata inferiore e dunque sottoponibile a una dinamica patriarcale di subordinazione e assoggettamento tanto fisico quanto psicologico.
Da alcune rilevazioni Istat (Istat-2014) risulta che circa il 31.5% delle donne italiane in età compresa tra i 16 e i 70 anni abbia subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, di cui solo il 13.6% da partner o ex partner. La maggior parte delle violenze subite avvengono infatti da estranei. Il dato, già sconcertante in sé, lascia intendere che per questi uomini, una donna in quanto tale, possa essere posseduta fisicamente per il solo fatto di essere donna, inferiore, strumento di conseguimento di un personale piacere: illegale e lesivo della persona che subisce ma, evidentemente, irrilevante per il carnefice.
La violenza fisica non risulta tuttavia essere l’unica forma di violenza, a essere coinvolte sono anche forme violenza psicologica, economica, svalorizzazione e intimidazione, che colpiscono il 26,4% delle donne. Dinamica che aprirebbe un più ampio, ma poco attinente, discorso sulla disparità di genere di salario e impiego in Italia, disparità che spesso rende le donne economicamente dipendenti dai partner, in una logica di possesso che sembra cifra della cultura italiana da decenni.
La recente pandemia sembra non aver migliorato la situazione. Nel corso del 2020 infatti, le chiamate al 1522 (numero di emergenza contro la violenza sulle donne e stalking), sono aumentate rispetto allo stesso periodo del 2019 del 79.5%. Segnalazioni perlopiù circa violenze di carattere fisico, tra le quali aumenta la quota di vittime under 24 di 2 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Neppure in termini di femminici la situazione sembra migliore, nel 2021 dati raccolti dal Dipartimento di Sicurezza del Ministero dell’Interno hanno rilevato l’essersi verificati già 178 femminicidi dall’inizio dell’anno, dove le regioni maggiormente soggette sono state: Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Sicilia.
Sembra “solo” retorica, ma i dati smentiscono le infondate accuse. Un problema sociale in Italia, non certo irrilevante, sembra essere la logica maschile di predominio sulla donna. Molti uomini dimenticano come ogni atto di violenza sia una violazione di un diritto umano, diritto riconosciuto dall’ONU. Ogni atto di violenza provoca gravi ripercussioni tanto sulla salute fisica, quanto su quella mentale delle vittime (ed eventuali figli e famiglie), segnandole indelebilmente per tutto l’arco della loro vita. La Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata ogni 25 novembre, pone sotto gli occhi di tutti una drammatica verità: che il fenomeno è globale, che non appartiene solo a culture indigene, “poco progredite” diremmo noi, ma coinvolge tutti i cittadini del mondo e assegna loro la responsabilità di intervenire per estirpare una dinamica profondamente radicata nel sesso maschile da secoli.

Fonti:
Istat, 2014
Sky Tg24
Il Fatto Quotidiano
Ministero della Salute

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.