Matteo Saudino a Filosofarti 2022: l’eredità della scuola di Mileto

Matteo Saudino a Filosofarti 2022: l’eredità della scuola di Mileto

Matteo Saudino a Filosofarti 2022: l’eredità della scuola di Mileto

In data 23 febbraio 2022, nell’ambito di Filosofarti, il festival di filosofia della provincia di Varese, Matteo Saudino si è soffermato su alcune caratteristiche fondamentali della scuola di Mileto, pioniera del pensiero filosofico occidentale, e sull’eredità che questa può trasmette all’individuo contemporaneo.

Ancora una volta Matteo Saudino, professore di filosofia e divulgatore, con  chiarezza e disarmante passione divulgativa, riesce a offrire notevoli spunti di riflessione su questioni contemporanee. 

In un tempo in cui il nichilismo si fa faro dell’odierna civiltà pensante, nonché ripiegamento necessario alla luce dei fatti bellici che forzano l’Europa occidentale a uscire dalla sua fase post storica, l’indagine che si rivolge agli albori della filosofia occidentale potrebbe offrire nuova linfa al fine di porre nuove fondamenta per l’essere umano di domani. 

La storia del pensiero occidentale riconosce nella scuola di Mileto, senza negare il contributo del pensiero orientale,  la pietra angolare e incipit del pensiero atto all’indagine fisica e metafisica. 

Perché proprio Mileto, polis greca dell’Asia Minore (attuale Turchia), assiste alla nascita di tale cenacolo intellettuale? Come sottolinea il prof. Saudino, Mileto, nel panorama ellenico, era una città relativamente libera, i cui abitanti erano mossi dallo spirito di curiosità e dal pionierismo che li porterà ben presto ad un incontro/scontro con l’ascendente Impero persiano. 

La lettura della scuola di Mileto è antidoto alla frammentarietà dell’anima dell’individuo contemporaneo. I suoi tre principali esponenti, e cioè Talete e Anassimene, nonché lo straordinario Anassimandro, pongono le fondamenta per un’indagine guidata dalla curiosità e dalla meraviglia

La curiosità è voglia di scoperta che non contempla fini carrieristici e pratici, che guida uno spirito libero all’uso del logos nell’indagine fenomenica. A tal proposito emblematico è l’esempio di Talete il quale, secondo la tradizione, misurò l’altezza della piramide di Cheope e previde un’eclissi osservando i movimenti del sole e della luna. La filosofia che nasce a Mileto è una disciplina affrancata dalla praticità, fine a sé stessa e anarchica, la quale rende veramente liberi proprio per la sua inservibilità. 

Tale è la portata dell’esempio di Talete: in una società in cui fare senza perseguire un fine è un lusso, in cui persino la scuola si avvelena di istanze imprenditoriali atte a formare più lo spirito pratico che critico, la scuola di Mileto è foriera di libertà spirituale e intellettuale. Essere curioso, ribadisce il prof. Saudino, è un diritto, come lo è  l’indagine scevra di fine pratico. 

La curiosità ha il segno indelebile della polemica. Essa non è misera e sterile scena televisiva come quella alla quale si assiste ultimamente tra virologi supponenti e no-vax irriducibili. La polemica che nasce a Mileto è quella che abitua alla complessità del reale, è fertilizzante che fomenta la maturazione. La nostra contemporaneità è caratterizzata dalla mancanza di polemica, sia a livello politico che scientifico. Quanti sono i biologi, virologi che, in questi ultimi anni di pandemia, hanno assunto una postura paternalistica e anti divulgativa, che abituasse la popolazione ad una scienza del dubbio, aperta e accessibile, che cambia al cambiare del virus? Quanti politici sono digiuni di scienza, quasi avulsi dal reale? 

La polemica, infatti, implica che il sapere sia orizzontale e verticale e non calato dall’alto. A differenza della scuola di Pitagora, gerarchica e piramidale, nell’ambito della quale solo in presenza della rivelazione si era in grado di dispensare sapere, quella di Mileto è orizzontale, abituata all’esercizio collettivo del logos. A Mileto non era lesa maestà essere in disaccordo con un sapiente, sottolinea il prof. Saudino. 

Infine, l’ultimo e fondamentale carattere messo in evidenza della scuola di Mileto è il coraggio che porta all’anticonformismo. Essere anticonformista non significa livellarsi sul banalismo odierno. Si tratta invero di un atto profondo e audace, figlio del logos spregiudicato che osa andare contro l’ordine sapienziale costituito.

Un esempio di tale audacia è rappresentato dal celebre Anassimandro, padre dell’apeiron (infinito). A tal proposito il prof. Saudino afferma:

Coricarsi con al proprio fianco l’infinito può dare inquietudine; meglio coricarsi con la finitudine. 

Come può l’uomo, finito e caduco, proiettarsi sull’infinito? Anassimandro incarna proprio l’inquietudine tutta umana del senza-limite: l’infinito è l’archè che governa il mondo, la causa della natura. L’infinito causa vertigine: pensare a infiniti mondi nello spazio e nel tempo abitua il logos a scardinare dalle fondamenta gli assetti del finito comunemente accettati. Ecco l’audacia del pensiero e l’anticonformismo che si dovrebbe riscoprire e imparare, quell’audacia che scrolla l’essere umano dall’intorpidimento del totale ripiegamento in sé stessi, dal nichilismo, che ispira l’azione del logos, edificazione morale.  

L’anticonformismo di Anassimandro, aggiunge il prof. Saudino,  lo spinge ad affermare che ciò che accade è secondo ananke (necessità) e dike (giustizia), i quali guidano il divenire del mondo. Quante volte abbiamo incolpato soggetti terzi di ciò che accade? L’ananke e la dike smentiscono la colpa, poiché ciò che si verifica è giusto: la natura di per sé non conosce errore o ingiustizia.

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.

Filosofarti torna in presenza: tutto pronto per l’edizione 2022

Filosofarti torna in presenza: tutto pronto per l’edizione 2022

Filosofarti torna in presenza: tutto pronto per l’edizione 2022

Il festival di filosofia organizzato dal Centro Culturale del Teatro delle Arti si svolgerà, in una doppia veste, fisica e digitale, dal 19 febbraio al 29 marzo

Un calendario fitto di incontri, di conferenze e di un “fare cultura” che, dopo un biennio “complicato”, finalmente torna in presenza, seppur con i dovuti punti di domanda dettati dagli sviluppi della pandemia. Dal 19 febbraio al 29 marzo si svolgerà la rassegna 2022 di Filosofarti, il festival di filosofia che in questa edizione tratterà il tema “Eredità, fare futuro”.

Un tema intenso, attuale, un ponte tra quello che è stato il passato e quello che sarà il futuro ben rappresentato dall’immagine scelta come icona dell’evento: l’Angelus Novus dell’artista svizzero Paul Klee. “Una immagine che rappresenta al meglio il tema dell’evento”, spiega Cristina Boracchi, curatrice del festival. “Un angelo che apre le ali e guarda il passato disgustato, indirizzandosi verso il futuro. È un tema importante con il quale abbiamo voluto confrontarci: ci poniamo come testimoni della contemporaneità, rifletteremo su chi siamo, su chi saremo e, soprattutto, su che cosa lasceremo. Abbiamo un patrimonio da costruire”.

Un patrimonio che verrà costruito in una doppia veste: fisica e in presenza fin dove possibile, digitale quando le condizioni lo imporranno.
Ci siamo assunti una grande responsabilità con questa nuova edizione: l’informatica, l’utilizzo di nuove tecnologie ci ha permesso di ampliare i nostri confini, di poter essere seguiti anche da spettatori in tutto il mondo – prosegue Cristina Boracchi –. In questo triennio la cultura online è stata particolarmente apprezzata, ma abbiamo sentito la necessità di fare quanto possibile per tornare in presenza, anche se ci siamo resi conto che c’è ancora un certo timore da parte del pubblico. Invitiamo comunque il nostro pubblico a consultare spesso il calendario dell’evento e seguirci per eventuali aggiornamenti o cambi di location/data”. In fondo, come sappiamo bene, basta un tampone positivo per cambiare le carte in tavola.

Come abbiamo accennato all’inizio, il fitto calendario di conferenze si aprirà il 19 febbraio con la lezione magistrale dal titolo “A che punto è l’educazione familiare e scolastica?” tenuta da Umberto Galimberti al Teatro delle Arti e si concluderà il 29 marzo in Sala Consiliare a Besnate, con l’intervento di Mauro Magatti. Nel mezzo una lunga serie di eventi, tra musica, filosofia, arte, architettura e tutte la sfere di una cultura che nel corso degli anni ha continuato a evolversi.

 

Il nostro impegno è quello di mantenere viva la nostra eredità con progetti sempre nuovi”, ha dichiarato Elena Balconi, presidente del Centro Culturale del Teatro delle Arti.
Un impegno che ha visto il patrocinio e l’appoggio di diverse enti provinciali, comuni e privati. “Filosofarti è un patrimonio di tutti”, ha commentato a proposito Enzo La Forgia, professore e assessore del comune di Varese. “Eredità è un tema che dovrebbe sempre al centro dei ragionamenti, dalla filosofia alla politica e siamo contenti di poter partecipare come Comune di Varese. In questi anni la nostra provincia è sempre stata ai primi posti a livello nazionale per produttività e benessere, ma più indietro per quanto riguarda la cultura e le iniziative. Per questo siamo convinti che Filosofarti sia una buona occasione per dimostrare quanto la cultura nella provincia di Varese possa fare di più”.

Cliccando qui potrete trovare il calendario degli eventi di questa edizione di Filosofarti.

 

Gabriele Vacis per Filosofarti: l’importanza della Presenza

Gabriele Vacis per Filosofarti: l’importanza della Presenza

Gabriele Vacis per Filosofarti: l’importanza della Presenza e della Condivisione

Gabriele Vacis affronta i temi della Presenza e della Condivisione durante un meraviglioso webinar, citando esempi tratti dalla storia antica a quella contemporanea

Nulla sarà più come prima. Questo il monito che ha unito menti e cuori durante la pandemia.

Ora si arranca, si è esausti, le teste sono chine sotto il giogo della fatica.

Tutto tornerà come prima.
Perché la scritta sul vessillo che si è portato in battaglia è così diversa ora?

Ebbene Gabriele Vacis, architetto, regista teatrale di famose opere, tra cui Il racconto del Vajont, drammaturgo, docente presso la Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi a Milano, regala la propria risposta a tale quesito, catalizzando l’attenzione degli spettatori virtuali durante il webinar svoltosi lo scorso 5 marzo a cura dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Varese durante il Festival Filosofarti di Gallarate.

Secondo Vacis la rinnovata volontà di ritornare al come era prima deriverebbe dall’incapacità di vivere a contatto con ciò che invece c’è. L’incertezza getta in una dimensione di totale sconforto panico, davanti al quale si ricerca la sicurezza data dal noto, dal passato.

Data questa premessa è possibile riemergere dalle tenebre comprendendo quanto il Covid abbia evidenziato ciò che è veramente importante. Ciò che dapprima era dato per scontato.

Il Covid ha posto in rilievo l’importanza dell’essere presente. Hic et nunc. Il qui e ora di un insegnante che attira l’attenzione degli alunni, che li rende partecipi e immersi nella dimensione dell’ascolto reciproco e proattivo.

Lo stesso accade a teatro.

Il pubblico non è un’unità informe, ma un gruppo di spettatori che donano la propria presenza gli uni agli altri, che compartecipano al rito catartico del dramma e della scena. Del qui e ora.

L’essere presenti significa essere consapevoli, e Vacis intitola il proprio intervento Awareness-Post pandemia: città e spazi, tra sogno e realtà per evidenziare la dimensione non solo fisica, ma anche mentale che implica la dimensione della presenza e della condivisione.

Durante un periodo così complesso e portatore di un ribaltamento neuronale, una vera e propria rivoluzione di una concezione ben radicata, la ricerca della bellezza può risultare banale e superflua.

Ma lo è davvero? E quindi, giunti a questo punto, ci si potrebbe chiedere che cosa sia la bellezza.

Vacis, a tal proposito, mostra lo spezzone di un film da lui diretto nel 2008, Uno scampolo di Paradiso. In esso spicca la figura del Geometra Francesco Vacca, dalla cui mente e dalle cui mani nacquero innumerevoli palazzine che compongono tuttora lo skyline di Settimo Torinese.

Vacca non pronuncia mai la parola bellezza, nonostante gli sforzi di Vacis, ma elogia le costruzioni, la loro forma, la loro funzionalità. Ma che cos’è la città?

All’inizio degli anni Settanta, proprio mentre il Geometra Vacca costruiva forme di cemento e mattoni, qualcun altro erigeva città, di carta, di fumo e di fantasia: Italo Calvino.

L’autore, infatti, pubblica nel 1972 Le città invisibili, in cui si narra di come Marco Polo descriva le città che costellano l’impero immenso di Kublai Khan al Khan stesso, che non le ha mai visitate.

Il protagonista potrebbe delineare le costruzioni cittadine mediante le forme e i materiali, “ma non di questo è fatta la città, ma dalla distanza dal suolo di un lampione e i piedi di un usurpatore impiccato. […] Le città non sono fatte di mattoni, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato”.

La bellezza quindi, secondo Calvino e secondo Vacis, non sarebbe consustanziale alle forme, bensì alle relazioni tra le persone.

Quindi, di nuovo, come sarà il dopo?
Il dopo, una dimensione così sconosciuta e terrorizzante, può essere guidato e incanalato ad hoc mantenendo una mentalità aperta e consapevole, aprendo lo sguardo nello spazio e nel tempo.

Tornando quindi a Calvino e alle Città invisibili, vi è una città in particolare tra quelle descritte da Marco Polo, Eusapia, la quale vede la propria esatta copia sottoterra, luogo in cui i morti svolgono le attività che davano loro gioia in vita e che li rendevano – e li rendono- liberi di essere felici.

Ogni anno l’Eusapia dei morti cambia il proprio volto: lentamente vengono apportate innovazioni, frutto di riflessioni ben ponderate, non di un capriccio passeggero. Il cuore dell’Eusapia dei morti non palpita di tutto e subito, ma pensa a fondo, riflette, e agisce, goccia a goccia in modo costante, così che l’Eusapia dei vivi si modelli a sua immagine. Così il mondo dei vivi e dei morti, la terra della realtà e della fantasia si fondono.

Come sarà il dopo quindi?
Sarà ciò che si sceglierà di plasmare, pensando profondamente, senza la rapacità che serpeggia in questo tempo.

Rifacendosi a un ulteriore capolavoro della letteratura, Le affinità elettive di Goethe, Vacis pone un importante focus sul concetto di gratuità del progettare: l’esperienza di chi non vedrà il proprio progetto portato a termine e di cui non potrà fruire una volta terminato, ma proverà gioia nel donare tutto ciò ai posteri.

Potrebbe sembrare un concetto astratto, ma fermandosi e riflettendo si capirebbe come ogni giorno la gratuità del donare a chi non si conosce si realizzi, in grandi o piccoli progetti, che siano città o pensieri scritti nero su bianco.

Il dono è l’elemento che accumuna antropologicamente ogni comunità umana, ogni essere umano all’altro.

La bellezza sta nelle relazioni con gli altri si è detto, e l’apertura verso ciò che è altro da sé parte prima dall’essere presenti a se stessi, nel tempo e nello spazio, nella consapevolezza spirituale e concreta del proprio potere, e nel donarlo agli altri, essendo disponibili all’ascolto.

Tale apertura porta anche a quella gratuità del dare a chi non si potrà, forse, guardare negli occhi.

Ma come applicare ciò all’architettura?

Vacis conclude affermando che si sia troppo abituati a funzionalizzare gli spazi, a conferire loro una determinata mansione o compito, e lancia una provocazione, o spunto, in base ai punti di vista: cambiare radicalmente il modo di progettare.

Raccogliendo o meno il guanto di sfida lanciato, non si può tuttavia rimanere indifferenti alla concezione meravigliosa e affascinante di spazio come luogo di relazione e quindi di bellezza.

Il teatro ne è un esempio, in quanto forma nascente, dove si è presenti a se stessi, al proprio corpo e alla propria mente.

Luogo di catarsi e cura mediante l’apertura verso l’altro, come accadeva nell’antico teatro di Epidauro, un reparto ante litteram nel tempio di Asclepio, definibile forse come il primo ospedale nella storia.

Come si possono riassumere quindi i concetti di bellezza, di felicità, di domani? Complicato compito questo, ma forse una risposta esemplificativa potrebbe racchiudersi in un’iscrizione presente nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti, Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo, che recita: Senza paura ogn’uom franco camini. Ecco il senso della città, delle relazioni, della dignità dell’uomo: la libertà di camminare a testa alta scoprendo se stesso passo dopo passo.

Si ringraziano infine gli organizzatori dell’evento sotto l’egida di Filosofarti, il festival di filosofia della provincia di Varese, il cui obiettivo è permettere a chiunque di confrontarsi con ogni sorta di speculazione e riflessione filosofica.

Ciò non implica la banalizzazione della disciplina, anzi: la si arricchisce coniugandola alle arti figurative, al teatro e al cinema.

Ogni anno il festival tratta un tema specifico, approfondito sia mediante lezioni magistrali tenute da ragguardevoli autori, sia per mezzo di laboratori e attività didattiche di vario genere, così da permettere a tutte le fasce d’età di fruire del sapere con mezzi sempre diversi.

 

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.