Dimentica il mio corpo

Dimentica il mio corpo

Dimentica il mio corpo

Osservando impassibile dall’Olimpo del suo account Twitter, la Dea tirannica Giorgia Meloni è riuscita a strumentalizzare il corpo femminile. Di nuovo.

Di ogni battaglia si crea un memoriale, un po’ come quei paesaggi greci punteggiati di pietra bianca a celebrare i coraggiosi tempi andati. In questa campagna per eleggere nuovi despoti e condottieri che ci accingiamo ad affrontare, c’è chi nel combattere non si sta facendo scrupoli. Nessuna guerra che si rispetti, però, finisce in assenza di caduti.
Il sacrificio dei martiri è l’unica via per l’espiazione, per ricordare ai vivi che il loro respiro è solo un semplice dono destinato ad esaurirsi.
La guerra la fanno i corpi e nessun corpo è più perfetto, per un campo di battaglia, di quello di una donna. La pelle è un elemento fragile, ogni venatura un bellissimo sentiero verso il peccato per coloro che amano prendersi ciò che non è proprio. Noi donne siamo mostri del desiderio.

Fu per volere del padre di Medusa che Atena ne fece la propria sacerdotessa. Il memoriale più antico, il tempio, poteva nascondere ciò che più lo preoccupava: la bellezza della propria figlia.  La bellezza è la croce dei secoli: sul nostro corpo s’instrada la paura che un uomo non riesca a controllarsi, che per il solo vizio di esistere attiriamo le fantasie più viscerali.

Quando Poseidone se ne invaghì, il ventre di Medusa divenne la porta per il proprio piacere e quando sotto mentite spoglie, riuscì a prenderla con la forza, le urla della sacerdotessa non le udì nessuno. Tranne per qualcuno che preferì ascoltare, piuttosto che aiutarla.

Medusa cercò di spiegare ad Atena che lei non voleva tradirla, che mai si sarebbe arrischiata di far entrare un uomo nel suo tempio, nel suo memoriale, volontariamente. Lei, ennesimo burattino degli Dèi capricciosi ed egoisti, non avrebbe mai osato.

Ebbene, la Dea non le credette e da lì ogni sguardo, ogni singolo contatto visivo, si sarebbe trasformato in pietra. Atena ne fece un simbolo, modellato a suo piacimento, isolandola dal mondo intero, ma sotto gli occhi incuriositi di tutti.  

Ci sono diverse versioni di questa storia, ma una cosa è certa. Medusa fu condannata per il suo esser donna e divenne un potente strumento in mano a chi, per la propria natura, avrebbe dovuto aiutarla.
Qualche millennio dopo, a Piacenza, il corpo della donna, sull’asfalto si graffia.

Come sul tempio marmoreo della Dea, il sangue scivola lungo le insenature del terreno mentre nessun urlo riesce a far soccorrere quest’ennesima vittima. Non è stato il fato a segnarla, ma un uomo che ha deciso di appropriarsene contro la sua volontà.

A quanto pare, da una finestra, delle immagini stanno per farle rivivere il proprio peggiore incubo. In questo secolo, l’occhio si fa cinepresa e le immagini diventano una memoria alla mercé dell’ennesima dea che vorrà servirsene per le proprie (ed insulse) battaglie. Le urla sono diventate musica per i peggiori siti porno, un mezzo al servizio di tutti, a chi sguazza nell’orrore e a chi si vuole sentire fortunatə.

Tutti conoscono la voce di questa ragazza, tutti ne conoscono i lamenti, gli orrori, i graffi, la pelle nuda, il dolore.

Nessuno avrebbe il diritto di rievocarlo. Dopo la profanazione del proprio corpo, c’è anche quella del ricordo, della propria sofferenza, della propria anima. Mentre la vera colpa del carnefice, secondo la scialba dea Atena, non è di aver commesso uno stupro, ma il colore della pelle.

Quello che molti si chiedono è come può una donna, che in quanto tale conosce la strumentalizzazione del corpo, utilizzare quelle urla e darle agli strilloni per divulgare la propria immagine.

Come può una donna aver così poco rispetto di un’altra e ricorrere al proprio potere con un tale disinteresse? Quale (presunta ed inesistente) battaglia potrà mai valere l’annientamento di un essere umano?

I caduti creano polvere pronta a spargersi sulle proprie lapidi. Un modo per ricordare che una volta si era vivi su questa terra.

Una giornata di agosto, nitida in ogni straziante forma, tranne che per le sembianze di lui. Ma per la Dea Giorgia quel corpo è solo uno strumento di virile propaganda, per ergere un memoriale dell’ennesima ed insulsa battaglia.

di Sophie Grace Lyon

Siccità, desalinizzazione e stati di emergenza: parola alla deputata Elena Murelli

Siccità, desalinizzazione e stati di emergenza: parola alla deputata Elena Murelli

Siccità, desalinizzazione e stati di emergenza: parola alla deputata Elena Murelli

Ammettiamolo: pensare di dover parlare di siccità quando si vive in una penisola con un’ampia zona montana è veramente un controsenso. Eppure l’estate 2022 verrà ricordata (purtroppo) per averci portato al limite. Di soluzioni e possibili riforme ne abbiamo parlato con la deputata Elena Murelli (Lega)

In Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia è stato dichiarato lo stato d’emergenza a causa della persistente siccità. Prima della delibera, però, molti comuni avevano già varato da tempo norme emergenziali per ridurre lo spreco di acqua, come il divieto di innaffiare prima di sera, o di lavare le automobili. Il tema della siccità ha inoltre suscitato numerose discussioni sul futuro ambientale del nostro Paese, dato che la questione si presenta congiunta ad una estate caldissima.

Il cambiamento climatico è una tematica che ultimamente è sempre più discussa discussa anche a livello mediatico e quotidiano in quanto ogni giorno che passa i suoi effetti vengono avvertiti da chiunque, a qualsiasi latitudine del BelPaese…ora anche in quelle in cui tutto ciò era meno palese. Non rallegrano gli studi che dimostrano che entro il 2100 gli incendi estremi aumenteranno di circa il 50% e che questa, per quanto già esagerata, sarà invece l’estate più fresca nei prossimi 10 anni.

I più preoccupati riguardo gli scenari futuri sono proprio i giovani che vivono forme di disagio, descritte dagli esperti, come l’eco ansia: ovvero la paura per il futuro, il chiedersi se abbia senso vivere in un possibile mondo cosi estremo come quello prospettato o se valga la pena mettere al mondo figli e costringerli a ciò, il tutto accompagnato da frequenti attacchi di panico.

Tornando però alla situazione attuale il nostro paese ha dimostrato gravi ritardi nel sapersi preparare ad una crisi idrica che era stata precedentemente prospettata.
Il fiume Po ogni giorno scende di 7 cm, il livello più basso raggiunto negli ultimi 70 anni, e il mare, dato che il fiume perde la sua spinta, entra di 35 kilometri nella sua foce rendendo l’acqua non usabile per le irrigazioni.
Ovviamente il tutto ha conseguenze sulle culture e quindi sulla produzione di cibo. La provincia Pavese che insieme a quella di Varese ogni anno si contende il podio poter la maggior produzione di riso Europea vedrà calare il suo raccolto di circa il 50%.

Nel Piacentino invece si perde il conto dei ritardi nella raccolta dei pomodori, dei quali, tra l’altro, è assicurata solo la prima e non le seguenti.
Il governo dichiarando lo stato di emergenza ha varato una serie di aiuti economici per gli
agricoltori colpiti da queste carenze ma vista la situazione e i prospetti futuri è più che utile pensare a delle soluzioni pratiche e pragmatiche per i prossimi anni.

Gli invasi, ovvero strutture preposte al raccoglimento dell’acqua piovana, sono stati spesso criticati perché rischiano di deturpare il paesaggio e di essere de facto una privatizzazione dell’acqua.
Tuttavia renderebbero autonomi nella gestione idrica molti allevatori e agricoltori. Sarebbe meglio prendere una decisione a riguardo prima della prossima estate. Sembra banale, ma ristrutturare, aggiustare e in certi casi sostituire le tubature che conducono l’acqua nelle nostre abitazioni, uffici e luoghi pubblici permetterebbe un risparmio non indifferente.
Se in anni di abbondanza non ci siamo mai accorti di queste problematiche le attuali carenze hanno dimostrato che quando apriamo un semplice rubinetto per lavarci le mani consumiamo in realtà fino al 41,1% in più acqua rispetto a quella che vediamo, per un totale annuo di 3,45 miliardi di metri cubi di oro blu sprecato. Una buona soluzione sarebbe, come infatti programmato, usare parte dei fondi del Pnrr per risolvere il problema o quantomeno minimizzarlo.

Una terza opzione sarebbe quella di desalinizzare l’acqua che circonda la nostra penisola per renderla bevibile. Le imprese italiane tra l’altro sono leader all’estero nel settore con aziende quali la Impregilo che fornisce i suoi servizi con impianti in paesi come Israele e l’Arabia Saudita che dispongono di coste ma di poche fonti di acqua dolce.

Sull’ultima proposta ho chiesto un commento alla deputata Elena Murelli che più volte negli ultimi giorni ha presentato questa proposta alla camera.

Sarebbe importantissimo creare dei sistemi di desalinizzazione anche nel nostro paese, soprattutto nelle regioni del sud. Oppure si potrebbe concentrare il tutto in regioni quali l’Emilia Romagna in cui ci sono già tubature create dai nostri avi per poter arrivare fino in pianura padana. Si potrebbero addirittura riprendere queste tecnologie pensate e usate dai nostri nonni per usarle come base a queste nuove possibilità che la modernità ci offre. Il tutto utilizza fonti energetiche rinnovabili e quindi si collocherebbe bene nei propositi dell’Agenda Verde. Tra l’altro in questo settore noi italiani siamo apprezzati e considerati leader all’estero. Quello che ho fatto notare l’altro giorno nel mio intervento sulla mozione siccità alla Camera è stato che “l’agricoltura non può aspettare i tempi della politica e della burocrazia, come d’altronde non può aspettare il cittadino.
Dobbiamo prendere delle decisioni per il futuro ma ora…o sfruttiamo i tempi di pioggia con gli invasi o sfruttiamo ciò che abbiamo ovvero le nostre coste. Purtroppo le aziende se devono investire non vogliono aspettare anni e anni per avere una risposta.”
Invece lavarsi meno come proposto da molti potrebbe non essere una buona soluzione.

Se è vero che un consumo più equilibrato e responsabilizzato dell’acqua dovrebbe essere
maggiormente propagandato è utile ricordare come gli studiosi, questa volta in ambito medico, continuino a ripetere che l’attuale popolamento della Terra favorisce il propagandarsi di pandemie: quindi si al risparmio intelligente ma cerchiamo di mantenere in vigore le buone norme sanitarie come il lavarsi spesso le mani o il pulire spesso le latrine.
Infine come se siccità e temperature estreme non bastassero ognuno di queste possibili soluzioni deve fare i conti con ulteriori problemi logistici, burocratici e soprattutto di tempo.

In realtà in Italia esistono piani per la desalinizzazione, dato che come citava Elena Murelli abbiamo tubature compatibili, ma sono previsti in attualmente solo se si presentassero casi ancora più estremi ai quali speriamo di non arrivare grazie a piani statali che contengano un mix di queste e altre proposte.

di Riccardo Giuseppe Valle

 

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Klimt e l’irrisolto mistero di Ritratto di signora

Klimt e l’irrisolto mistero di Ritratto di signora

Klimt e l’irrisolto mistero di Ritratto di signora

Ritratto di signora è certo tra le tele più affascinanti di Gustav Klimt, un doppio mistero avvolge l’opera e un incredibile ritrovamento ne ha reso possibile nuovamente la sua esposizione al pubblico. Ma quale storia si cela dietro alla misteriosa scomparsa del tanto discusso dipinto?

La storia di Ritratto di signora

Ha carnagione candida e gote arrossate, fa contrasto alla lucentezza del viso una chioma raccolta di un nero frammisto al blu. La misteriosa donna non guarda allo spettatore, il collo leggermente torto a sinistra allunga lo sguardo oltre la tela, lasciando a chi la ammira il dubbio su dove i pensieri e lo sguardo della giovane siano diretti. Indecifrabile l’espressione del volto. Porta una veste tra il bianco e l’azzurro percorsa da chiazze di vari colori. Lo sfondo, privo di definitezza, lascia risaltare ancora di più il viso della donna, avvolto da un mistero forse destinato a restare eternamente irrisolto.

L’opera Ritratto di signora venne realizzata da Gustav Klimt a Vienna tra il 1916 e il 1917. Acquistata nel 1925 dal prestigioso collezionista piacentino Giuseppe Ricci Oddi, la tela fu conservata nella città di Piacenza fino all’anno 1997 quando, misteriosamente, scomparve dalla Galleria intitolata all’omonimo collezionista, lasciando la città e il mondo intero a interrogarsi in vano su quale fosse stata la sua sorte.

Il doppio mistero

Un anno prima della sparizione, una giovane studentessa piacentina aveva ravvisato nello sguardo della donna raffigurata una profonda somiglianza a un altro ritratto femminile dell’artista viennese, andato perduto. L’ipotesi rafforzata a seguito di ulteriori indagini radiologiche fu dunque che, sotto al Ritratto di signora si celasse un ulteriore ritratto di ragazza, raffigurante una giovane con indosso un cappello dai tratti somatici affini a quelli del ritratto di donna esposto in Galleria. L’ipotesi fu confermata. La tela di Ritratto di signora doveva celare un ulteriore dipinto: Ritratto di ragazza, scomparso da tempo dopo un’ultima sua esposizione a Dresda nel 1912.

Ma nulla di più si poté fare, Ritratto di signora venne misteriosamente trafugato dalla Galleria Ricci Oddi nel febbraio del 1997 perdendone ogni traccia, o quasi. Il caso volle, infatti, che l’opera fosse ritrovata dopo oltre vent’anni nel giardino della stessa galleria. Sembra un bizzarra e paradossale storia ma le cose sono andate proprio così. Durante alcune operazioni di manutenzione del giardino nel 2019, in un anfratto dello stesso, fu ritrovato da alcuni operatori il ritratto perduto. Il mistero dunque si infittisce.
È infatti difficile pensare che per tutto questo tempo l’opera possa essere rimasta in un piccolo vano del giardino della Galleria senza subire danni da intemperie e sbalzi di temperatura. Nessuno mai aprì in tutti questi anni lo sportello dell’intercapedine? Chi e come ha rubato il quadro e chi, dopo anni, lo ha riposto lì? La vicenda ha del romanzesco.

Le indagini a seguito del ritrovamento hanno consentito dopo giorni di attesa di provarne l’autenticità. Il valore del dipinto è inestimabile e la sua bellezza indiscutibile. Tornare ad ammirare l’opera oggi, ha un sapore del tutto nuovo, concede un brivido e accende l’immaginazione.

La mostra

La Galleria Ricci Oddi ha dunque deciso di riesporre l’opera, compresa all’interno di una più ampia mostra su Gustav Klimt tenuta nella galleria stessa dal 12 aprile al 24 luglio 2022. La mostra unisce passato e futuro, ripercorrendo la storia dell’artista consente di ammirare accanto al dipinto ritrovato anche altre opere dalla straordinaria bellezza tra le quali il Fregio di Beethoven. Effetti di specchi e di illuminazione contribuiscono a calare lo spettatore in un’atmosfera quasi onirica.

Le indagini in merito alla sparizione del ritratto sono tutt’ora in atto, difficile dire se mai sarà possibile pervenire ad una risoluzione definitiva. Forse l’opera vuole proprio questo, celare il proprio mistero, quello del doppio ritratto e quello della scomparsa, affascinare i propri spettatori e invitarli a interrogarsi su una verità che chissà se verrà mai raggiunta.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.