Amore brutale: il nuovo singolo dei DinamiKa esce il 21 maggio

Amore brutale: il nuovo singolo dei DinamiKa esce il 21 maggio

Amore brutale: il nuovo singolo dei DinamiKa esce il 21 maggio  

“Amore Brutale” è il titolo del nuovo singolo della band DinamiKa, disponibile a partire dal 21 maggio in Radio e in tutti i Digital Stores.

DinamiKa si formano nell’autunno del 2015 nella provincia di Como, in Lombardia. I membri si ritrovano con frequenza nelle sale prova con voglia, entusiasmo e passione, per comunicare i propri messaggi e le proprie emozioni attraverso la musica. È così che nasce il progetto DinamiKa.

La band ha all’attivo un album di inediti, Testa Tra le Mani, con influenze Pop, Blues e Rock. I brani si basano su riflessioni personali, fatti accaduti o solo immaginati, cercando un senso a tutto ciò che accade nella vita quotidiana. Il brano Testa Tra Le Mani, che dà il nome all’album, è una canzone molto attuale, il cui filo conduttore è quello di mettere al riparo gli occhi, le orecchie, la Testa dal “rumore mediatico”, dal “morso del Diavolo”, cercando di trovare noi stessi, il nostro pensiero e la nostra libertà.

Nel 2021 pubblicano il nuovo singolo “Amore Brutale” scritto da Stefano Attuario. Le influenze musicali sono diverse, spaziano dal rock, al blues, al pop rock internazionale fino al rock italiano con Marlene Kuntz, Afterhours e Verdena.

I componenti della band sono cinque: Nicolas Profazio alla voce, Roberto Golfieri alla chitarra solista, alle tastiere e al basso, Gennaro Pisacane alla batteria e alle tastiere, Chiara Cicchirillo al basso e Stefano Attuario alla chitarra ritmica e acustica.

La cover di “Amore brutale”, il nuovo singolo dei DinamiKa

È tramontata la luna, anche le Pleiadi; è mezzanotte, il tempo passa; ma io dormo sola

Sono le parole che scriveva Saffo, poetessa greca del VII secolo a.C., per descrivere come, al calare del sole, si renda conto di essere sola. È questa la riflessione su cui si basa il nuovo brano dei DinamiKa: una sensazione di lonelines,, di solitudine inspiegabile che diventa evidente durante la notte poiché, paradossalmente, “la notte rende tutto più chiaro”.

Amore Brutale è una sorta di catarsi: sottolinea la necessità dell’autore di gridare un dolore, di spiegare una sofferenza che ha tormentato il protagonista del singolo per molto tempo – resa evidente dalla malinconia che scorre dolcemente nelle strofe del singolo della band lombarda – e di far pace con la consapevolezza che l’amore tra lui e l’amata sia ormai svanito.

È una canzone che lascia una sorta di amaro in bocca, una sensazione di afflizione, ma che trasmette anche moltissima forza e grinta grazie alle sonorità rock che si sentono echeggiare in tutta la durata del brano. 

 

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Intervista a SirBone and the Mountain Sailors: “Canto la mia musica onesta”

Intervista a SirBone and the Mountain Sailors: “Canto la mia musica onesta”

Intervista a SirBone and the Mountain Sailors: “Canto la mia musica onesta”

SirBone and the Mountain Sailors esordiscono con “Wicked Games” nell’attesa di una live session: “nient’altro che onestà dalla nostra musica”.

Con il singolo A Tangle of ThornsSirBone and the Mountain Sailors, anticipano l’uscita di Wicked Games, l’album di esordio già disponibile in formato fisico e digitale dal 1° aprile 2022.

Wicked Games non è solo un album, è il testamento in musica di una vita vissuta, il coronamento di un sogno per il frontman Stefano Raggi, che da sempre sognava di mettere in musica i brani della sua vita come un album fotografico che tramite note e arrangiamenti sfoglia in dieci ballate acustiche, malinconiche, narrative e piene di pathos le pagine della sua vita.

37 minuti di atmosfere calde, dense, dove SirBone narra di giochi audaci (What you Say), di amori impossibili (A Tangle of Thornes) , di confessioni introspettive (Confession of a Bastard) , di una dolcissima ninnananna, (Your Lullaby)

Registrato e prodotto da Fabio Ferraboschi presso i Busker Studio di Rubiera, con il supporto dell’ufficio stampa A-Z Press, Wiked games è un album delicato, da ascoltare in punta di piedi e con rispetto. Le confessioni di un autore che rivela senza filtri il suo mondo e le sue esperienze.

CHI SONO SIRBONE AND THE MOUNTAIN SAILORS:

Stefano Raggi in arte Sirbone.

Boscaiolo dilettante, falegname improvvisato, musicista inconsapevole. Questo è Stefano Raggi, un romano che scappa dalla città per ritirarsi tra i boschi dell’alto Piemonte, un novello Ulisse che lascia la sua città, i suoi affetti più cari alla ricerca non della conoscenza assoluta come il personaggio omerico ma della musica perfetta, navigando tra le acque più torbide degli imprevisti della vita e che proprio come Ulisse ha a suo supporto degli amici fidati, i suoi “Marinai di montagna” (Gianmaria Pepi (batteria e percussioni), Roberto Zisa (chitarra acustica ed elettrica), Davide Onida (basso), Andrea Ferazzi (pedal steel guitar), Diego Coletti (tromba), Luca Garino (trombone), Umberto Poli (bouzuki, ukulele, al banjo, chitarra weissenborn) e Fabio Ferraboschi) che tessono per lui la colonna sonora delle ballate, regalando atmosfere coinvolgenti che sanno colpire l’ascoltatore trascinandolo come in un vortice all’interno di queste novelle come solo la musica di qualità sa e può fare.

Abbiamo intervistato il suo Frontman:

Ciao Stefano, il nome del vostro gruppo è molto singolare, in italiano tradotto sarebbe “Sir bone e i marinai di montagna” qual è la storia dietro il vostro nome?

“In realtà non c’è nessuna storia. Quando sono venuto qui in montagna, qualcuno ha iniziato a chiamarmi “cinghiale”, il soprannome mi piaceva e mi rappresentava, tanto che ho deciso di utilizzarlo come nome per la prima band con cui suonavo: i Wild Boars. Quando ci siamo separati, non potevo usare lo stesso pseudonimo. Poi un giorno una mia amica sarda ha iniziato a chiamarmi “Sirbone” che sarebbe cinghiale in sardo. Il soprannome mi è piaciuto perché richiama la mia prima band ma allo stesso tempo ha anche una valenza inglese”.

Quando ti sei avvicinato al mondo della musica e alla professione di cantautore?

“Ho cominciato a suonare a 17 anni in band autodidatte e da lì non ho più smesso, avvicinandomi a strumenti nuovi e sempre diversi. Ho iniziato a scrivere e a cantare canzoni invece molto tardi perché non ero mai soddisfatto del risultato, anche se in questi anni ho accumulato tanti testi che raccontano esperienze della mia vita. Un giorno ho sentito la necessità di registrarli per renderli eterni nel tempo, volevo un lavoro fatto bene perché era la mia vita in musica. Così due anni fa ho chiesto a dei miei amici musicisti di aiutarmi in questo sogno: loro mi hanno detto sì, così è nato il progetto di “Sirbone and the Mountain Sailors”.

Come definiresti la tua musica e il tuo progetto artistico? Perché cantare in inglese?

“È arduo perché non c’è un genere: c’è del Country, del Blues, del Tex Mex, c’è il Funky, il Rock, c’è un po’ di tutto. Se dovessi definire la mia musica la definirei onesta, spontanea perché è la mia vita in musica nulla di più nulla di meno. La scelta dell’inglese è dovuta al fatto che ho sempre ascoltato musica straniera, sono cresciuto con i Beatles, i Bee Gees, i Rolling Stones, una passione trasmessami da mia zia a cui devo la mia passione per la musica.”

Tangle of Thorne è il vostro singolo d’esordio: di cosa parla?

“Devo premettere che, per quanto la canzone sia struggente e malinconica, la sua origine ha in sé qualcosa di divertente. Tangle of Thorne non racconta di una mia esperienza personale, ma è la storia d’amore del mio idraulico. Un giorno mentre faceva dei lavori in casa mia si è sfogato e mi ha raccontato della sua storia d’amore impossibile, delle incomprensioni e dell’impossibilità con la sua fidanzata di poter coronare il loro sogno d’amore. Il brano racconta infatti uno dei tentativi di questa donna di allontanarlo da lui confessandogli di non amarlo più, un’amara bugia che avrebbe permesso a entrambi di smettere di soffrire. La storia mi ha molto colpito e ho voluto raccontarla”.

Tangle of Thorne è il singolo che anticipa l’album “Wicked Games”: qual è il filo comune che unisce tutte le canzoni dell’album?

“L’album non ha un filo comune, non sono brani ispirati a un tema univoco, se non quello di essere esperienze personali. La scelta dei brani è andata nelle mani del mio produttore Fabio Ferraboschi che tra tutte le canzoni che ho scritto nel corso della mia vita, ha scelto le più rappresentative”.

Quali sono i vostri progetti futuri?

“Il mio progetto è quello, con la fine della pandemia, di tornare a suonare live e continuare a fare musica per tutta la vita”.

Dove è possibile ascoltare Wicked Games?

“Su tutte le piattaforme sia di ascolto che di acquisto, mentre la copia fisica è possibile ordinarla dalla pagina Facebook della band”.

Pagina Facebook: SirBone & The Mountain Sailors (facebook.com)

Instagram: www.instagram.com/stefano_sirbone_raggi

YouTube: www.youtube.com/channel/UCBcVvydHOAu2NG3-u55DTxg

ASCOLTA ‘WICKED GAMES’ SU SPOTIFY

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Di Nicole Prudente

 

Henri “Riton” Leconte: il “Divin Sciupone”

Henri “Riton” Leconte: il “Divin Sciupone”

Henri “Riton” Leconte: il “Divin Sciupone”

Nonostante l’immenso talento, non troveremo il suo nome tra i vincitori delle quattro prove del Grande Slam. Eh no, qualcosa prima della finale andava sempre storto…

Simpatico, sorriso da canaille; talentuoso e fragile, amante del tennis e della bella vita, sciocco e commovente, braccio incredibile in un fisico non da atleta, per un tennista senza troppa voglia di diventare atleta. Signori: Henri Leconte da Lillers.

Quando vogliamo capire quali siano gli atleti più forti in una qualsivoglia disciplina sportiva, prima di tutto ci chiediamo: “Chi vince?” E subito andiamo a cercare gli albi d’oro delle competizioni più importanti, imparando qualche nome. Naturale, veloce; ma, inevitabilmente, un’indagine incompleta.

Leconte è stato depositario di un gioco estremamente rischioso. Mancino, capace di accelerazioni da fondocampo micidiali, sia di diritto che di rovescio, rimaneva in attesa del momento propizio per scendere a rete e chiudere lo scambio con un colpo di volo o mezzo volo di rara maestria. Completavano il suo arsenale una cannonball di servizio, con la palla lanciata molto “bassa”, e capacità acrobatiche non da poco.

Ma dunque? Vittorie quante?

Non troveremo il suo nome tra i vincitori delle quattro prove del Grande Slam. Eh no, qualcosa prima della finale andava sempre storto per il Nostro. Solo in un caso, a Parigi nel 1988, Henri partecipa all’atto conclusivo del torneo, rimediando una secca sconfitta da Mats Wilander

Eppure, tutti gli appassionati si ricordano di lui, l’artista, il Divin Sciupone, capace di rimonte impossibili come di improvvisi blackout mentali, durante i quali dilapidava vantaggi fino a perdere partite già vinte.

Di lui si parla già quando nel 1982, a soli 19 anni, sconfigge nientemeno che Bjorn Borg, a Montecarlo. Si ripete l’anno dopo in soli due set. In realtà l’orso svedese è ai titoli di coda, non ha più voglia di allenarsi, e si ritira proprio dopo la seconda sconfitta..​.

La sua stella cresce, ma i francesi sono rapiti da un altro eroe: Yannick Noah. L’atleta di origini camerunensi è un autentico showman, tutto smash e allegria, tuffi e joy de vivre. Henri è scostante, mattacchione e iracondo, sempre sul filo dei nervi. Fa e disfa, spreca il suo talento. I francesi scelgono Noah, che inoltre vince a Parigi nel 1983, primo francese dal 1946 di Marcel Bernard.

I due sono buoni amici, giocano il doppio insieme, ma Leconte soffre questa condizione di secondo, e quando, dopo alcune sconfitte, nel 1985 proprio sul centrale del Roland Garros supera Yannick 6-1 al quinto set, per lui è una liberazione.

Nel 1988 i due francesi si ritrovano faccia a faccia nei quarti di finale al Country Club di Montecarlo. Leconte è carico come raramente gli è capitato in passato. Gioca in maniera incredibile. Yannick viene letteralmente “buttato fuori dal campo” (come Noah stesso dirà a fine match): volée, smorzate, recuperi, un campionario di raffinatezze uniche. In un lampo è 6-2.

Nel secondo Noah si ricompone, ma nel tie-break siamo 6 a 3 per Riton. Tre match-ball. Su uno di questi accade l’imprevisto.

Leconte serve forse fuori la prima palla, ma nessuno la chiama out. Il giudice dice sommessamente deuxieme ball; a quel punto Leconte sbaglia anche la seconda: doppio fallo! Il mancino realizza solo allora che non ci sono state chiamate sulla prima e pretende di essere dichiarato vincitore, ma per il chair umpire non c’è nulla da fare.

Apriti cielo.

Leconte è una furia, insulta tutti, se la prende anche con il suo allibito avversario. “Esce” dal match. Perde il tie-break ed il terzo set per 6 a 3. Il pubblico non lo perdona e lo subissa di fischi, spettatore dello psicodramma di un artista straordinario ma perennemente in guerra col proprio sistema nervoso. Incapace di dimenticare un episodio negativo, lento nel voltare pagina per ripartire con maggiore determinazione, Henri è nuovamente “incompiuto”.

Sarà l’ultimo incontro con l’amico-rivale.

Un mese dopo circa, si presenta a Parigi senza essere troppo considerato. Ed è in situazioni come queste che si esalta: negli ottavi batte Becker, poi Svensson e Chesnokov. È in finale!

L’avversario è lo svedese Wilander, un giocatore che è il suo opposto come temperamento e stile di gioco. Il tennista di Lillers comincia bene, serve per il set sul 5 a 4, poi l’incanto si rompe. Wilander non sbaglia nulla (dovrà ricorrere solo due volte alla seconda palla di servizio!), imperturbabile a tutto. Il francese, di fronte a una tale dimostrazione di fredda determinazione, cede alla frustrazione. Perde 75 62 61. Per lui ci sono anche i fischi di una platea ingenerosa. Durante la premiazione dice che spera di tornare l’anno successivo per vincere, ma c’è chi ride.

L’appuntamento con la storia per Henri Leconte arriva quando nessuno più ci crede. Nel 1991 ha 28 anni ed è reduce da una operazione alla schiena. Non sta quasi in piedi, e si avvicina la finale di Coppa Davis contro gli USA di Agassi e Sampras. Il capitano della Francia è, guarda caso, Yannick Noah. L’ex campione sa che i suoi buoni giocatori possono ben figurare, ma non potranno mai superare i “mostri” americani. Riton può perdere seccamente ma, quando parte sfavorito, sa accendersi e rendere al massimo.

Nella bolgia di Lione Agassi batte Guy Forget, ma Henri gioca la partita della vita e sconfigge tre set a zero Pete Sampras. Lo yankee assiste stranito allo spettacolo offerto dal tennista francese, ma anche dal pubblico, mai come quel giorno ipnotizzato da Leconte. Il giorno dopo, in coppia con Forget, Henri supera anche gli specialisti Flach e Seguso. Sul due a uno, Forget ha la meglio su Sampras e regala ai padroni di casa il punto decisivo di una finale tra le più sorprendenti e spettacolari della storia.

I giocatori esultano, fanno il trenino davanti ad una folla estasiata. Noah legge al microfono una letterina scritta a Henri dal figlio Maxim, e Riton scoppia in un pianto a dirotto. Il pubblico transalpino ha finalmente fatto pace con lui; e del resto, come si fa a non amare un simile giocoliere?
La finale del 1991 verrà ricordata come una delle più entusiasmanti della storia ultracentenaria della competizione, e grazie soprattutto a Leconte in Francia rivivrà la leggenda dei “Musquetaires” degli anni Venti.

 

di Danilo Gori