Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Un amore già vissuto e un amore che forse sta per finire. Due persone si incontrano e raccontano i loro silenzi più nascosti.

Una sedia marrone e una sedia azzurra, fatte di legno, l’una accanto all’altra. Non troppo vicine, ma perfettamente allineate, rivolte verso l’esterno. Quando le vidi erano vuote, quando le toccai erano ancora calde, come se qualcuno le avesse occupate pochi minuti prima. Aspettai che arrivassero, presi la mia macchina fotografica e immortalai un momento che, forse, avevo solo immaginato. Ricostruii nella mia mente una storia, poi la vidi con i miei occhi. Un uomo anziano con pochi capelli bianchi ai lati della testa uscì dalla porta che si trovava accanto alla sedia marrone. Indossava una camicia bianca, sporca sui fianchi e con aperti i tre bottoni sotto il collo. Mi guardò per qualche istante, poi si sedette sulla sedia marrone e mise la testa fra le mani. Aspettai che qualcuno si sedesse accanto a lui, finsi di fotografare il paesaggio, oggetti insignificanti e il cielo azzurro e aspettai. I minuti passavano ma non succedeva niente e i miei pensieri correvano veloci in mezzo al silenzio.

Ripensai all’espressione di Marco pochi giorni prima, alla sua delusione e ai suoi occhi verdi. Mi chiese da quanto tempo andasse avanti, come se gli avessi confessato un tradimento. Il mio sentimento titubante nei suoi confronti era un tradimento per Marco, uno di quelli da cui non si ritorna indietro. Riemerse il mio senso di colpa, quello che avevo appreso da mia madre. Mi sentii sbagliata e colpevole ancora una volta, come ogni volta.

«Cosa ci fa poi con tutte quelle foto?» disse all’improvviso quell’uomo sconosciuto, distogliendomi dai miei pensieri cupi e solitari.
«Come, scusi?»
«Sono venti minuti che fa foto nello stesso punto, che ci fa poi? A cosa servono? Non c’è niente di speciale qui». La sua voce era profonda e leggermente rauca, ma dolce e calma. Il suo accento era quello di un uomo del sud.
«La maggior parte delle foto che faccio le tengo per me, alcune le pubblico per mostrarle agli altri. Adoro questo posto».
«Io ci abito da quarant’anni, lo conosco a memoria». Scoprii che era calabrese, di un piccolo paese in provincia di Reggio, e che si era trasferito a Bologna per studiare. Poi, però, suo padre non riuscì più a mantenerlo e dovette lasciare l’università per trovare lavoro. Abbandonammo le formalità, come da lui richiesto, e iniziammo a darci del tu.
«E che cosa studiavi?»
«Non ci crederai mai e ormai non ci credo nemmeno io, anzi mi viene da ridere quando penso che studiavo Giurisprudenza. Volevo fare l’avvocato, ma è stato meglio così, almeno nessuno si mette a ridere quando dico che faccio l’agricoltore». Sorrise e io insieme a lui. Mi chiese di sedermi accanto a lui sulla sedia azzurra che qualcuno aveva occupato quando non c’ero. «Non deve sedersi nessun altro qui?» gli chiesi indicando la sedia.
«No, questa era di mia moglie ma lei non c’è più, così adesso qualche volta faccio sedere mio figlio, quando si ricorda di venire a trovarmi. E ora faccio sedere te, così stai più comoda, dopo tutte quelle foto ti sarai stancata».
«No Giorgio, non posso…»
«Non essere sciocca, se non ti siedi me ne vado», mi disse sorridendo e guardandomi negli occhi. Il suo sguardo mi calmava, mi rassicurava. Era sincero e puro, velato da una profonda tristezza che cercava a tutti i costi di nascondere, non per mentire bensì per eliminare ogni traccia di compassione nello sguardo altrui.

Mi sedetti accanto a lui e continuammo a parlare di sua moglie, scomparsa l’anno precedente. Non gli chiesi com’era morta, mi disse soltanto che era malata da diversi anni e che negli ultimi mesi non ricordava più nulla, stentava a riconoscere perfino suo marito. Avevano costruito insieme ricordi per quasi quarant’anni e lei li aveva dimenticati tutti.

«Sai perché è azzurra questa sedia?»
«No, perché?»
«Un giorno di moltissimi anni fa ritornai a casa con due sedie uguali, entrambe marroni. Ero felice perché gliele avrei mostrate, era il mio regalo per il nostro anniversario. Tu ora penserai: “Giorgio, ma che regalo è scusa?”, e hai pure ragione, però per me era importantissimo. Ogni giorno quando volevamo sederci fuori dovevamo portare le sedie che stanno intorno al tavolo e poi riportarle dentro, così decisi di comprarne due e di lasciarle sempre qui fuori. Non vedevo l’ora di fargliele vedere, ma devi sapere che Giulia era pignola e aveva da ridire su tutto. Mi disse subito che quel colore non le piaceva, le metteva tristezza. Io ci rimasi male, però poi il giorno dopo presi la sua sedia, la portai in garage e la pitturai del suo colore preferito, l’azzurro. Quando la vide non ti dico che sorriso mi fece, ancora oggi quando ci penso sono felice». Giorgio sorrise e cancellò subito col dito una lacrima che annunciava di scendere sulla sua guancia destra.
«Io mi sarei emozionata tantissimo al posto suo, è un gesto dolcissimo».
«Alice, ma tu perché sei qui da sola oggi?» mi chiese, come se potesse leggere i miei pensieri.
«Volevo stare un po’ da sola…»
«Dimmi la verità Alice, tanto non lo dico mica a qualcuno» mi disse sorridendo.
«L’altro giorno ho detto a Marco che non so se lo amo, e non riesco a vivere con questo senso di colpa. Così ho pensato di venire qui da sola, ho lasciato il telefono a casa e ho portato con me solo la macchina fotografica. Fotografare mi calma, è terapeutico a volte. Mi permette di vedere i dettagli, di riguardare più volte qualcosa che ho già visto e di vederci dentro sempre qualcosa di nuovo».

«E in Marco non vedi più niente di nuovo?» Quella domanda rimase sospesa per un po’, ma Giorgio aspettò senza aggiungere altro.
«Forse è così, ma non voglio ammetterlo a me stessa. Vorrei soltanto amarlo come prima e non avere dubbi. Sarebbe tutto più semplice».
«Secondo me dovresti solo vederlo da una prospettiva diversa, come fai con le foto. Tutti se guardiamo la stessa cosa o la stessa persona tutti i giorni nello stesso modo poi ci stanchiamo. Funzioniamo così, siamo alla ricerca della novità, però per trovarla non dobbiamo per forza cercare qualcosa di nuovo, ma guardare le cose vecchie con occhi diversi. Può essere che non sia così, che davvero non lo ami più, però non arrenderti subito. Te lo diranno tutti, ma tu non farlo. Prendi questa sedia, ad esempio, è diventata nuova anche se era la stessa sedia di prima».
«A te è mai capitato di avere dei dubbi con tua moglie?»
«Secondo me è impossibile non avere mai dubbi in amore. Certo che mi è capitato, ma ero anche sicuro che sarebbero stati passeggeri perché eravamo uniti. Ero sicuro che avremmo superato qualsiasi dubbio e difficoltà».
«A me manca quella sicurezza…»
«Cercala, non è detto che la troverai ma almeno cercala».

Ero andata sui colli bolognesi un sabato mattina come tanti altri per scattare delle foto, ma conobbi Giorgio. Non credevo nel destino, ma attribuivo sempre un significato alle persone che incontravo per caso. Io e Giorgio non ci saremmo mai conosciuti, appartenevamo a due generazioni diverse e a due posti differenti. Quel giorno, però, lo incontrai e mi fece sedere sulla sedia azzurra che aveva occupato sua moglie per anni.
Rimasi fino a sera, continuammo a raccontarci, ma i suoi ricordi erano più nitidi dei miei, nonostante fossero più vecchi. Aveva imparato a conservarli per sopperire alle mancanze di Giulia, per non tralasciare nulla e ricordare per entrambi. Quella stessa sera chiamai Marco e gli chiesi di riprovarci, insieme, mettendo da parte i miei sensi di colpa.

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Santa Lucia, la notte dell’impossibile

Santa Lucia, la notte dell’impossibile

Santa Lucia, la notte dell’impossibile

La storia di Santa Lucia narrata dalle parole di una bambina che ha vissuto l’incanto della notte più lunga dell’anno. La notte in cui ogni magia diventa realtà

Tanto tempo fa, in un’isola del Mediterraneo, una ragazza di nome Lucia visse un’avventura macchiata di sangue. Da quel sangue nacque una leggenda, da quella leggenda sorse la più dolce delle magie.

Lucia è una santa siracusana, venerata in molte zone dell’Italia oltre che in Sicilia.
Venne martirizzata per decapitazione a soli 21 anni, nel 304 d.C. Come ogni martire, testimone della cristianità, ha un simbolo che la contraddistingue. Il suo sono i suoi occhi.

Lucia, colei che porta luce, è cieca. Nella tradizione iconografica, infatti, è rappresentata con gli occhi in un piattino, e il suo viso è quasi sempre nascosto da un virginale velo bianco.

I cristiani a lei devoti la invocano in protezione della vista e lo stesso Dante ne fa un faro di speranza nella Commedia. Lucia è una delle tre donne benedette che danno speranza al fiorentino nel suo peregrinare.

Lucia non è una figura macabra, anzi! La sua persona è legata a un altro meraviglioso aspetto: i bambini. Infatti, in diverse regioni d’Italia la Santa porta doni ai piccoli, esattamente come Babbo Natale o San Nicola a Bari.

Tra queste zone c’è anche la provincia di Brescia, la mia provincia. Sarà proprio della notte tra il 12 e il 13 dicembre di cui tratterò. I lettori mi scuseranno se emergerà ora la mia voce, anzi…non la mia voce, ma quella della me stessa bambina, che ritorna per un breve istante in superficie, e che non mi abbandona mai.

Tutto è pronto: la tavola è imbandita.
Ho sistemato tutto a dovere, la mamma non ha mosso un dito. Guai ai grandi che mettono lo zampino in questa magia.
Il latte caldo con i biscotti al cioccolato, i miei preferiti ovviamente, per Santa Lucia. Carote e una ciotola di acqua bella fresca per il suo asinello.

Quando si tratta di magia bisogna essere seri.

Controllo per un’ultima volta che tutto sia perfetto. Santa Lucia deve essere così stanca! Chissà se ha già iniziato il suo viaggio? Sarà già in volo sui tetti delle case con il suo carretto pieno di campanellini colorati, trainato dall’asinello?

La nonna mi ha detto che Santa Lucia arriverà quando sarò addormentata. E come farà a saperlo, mi chiedo sotto il piumone. Beh, se sa volare, saprà anche capire quando sarò addormentata. Deve essere così, mi pare ovvio!

E poi vorrà agire indisturbata. Quando si tratta di magia bisogna essere seri!

Un rumore. Forse è lei, forse…è arrivata!
Devo dormire, devo dormire subito!
La nonna mi ha detto che se per caso mi trovasse sveglia mi getterebbe la cenere negli occhi. Ma no! Non lo farebbe mai, lei è buona con i bambini.

Fonte immagine

E se avesse troppo freddo e non venisse da me?
E se non le piacesse la merenda che le ho preparato?
Forse non le piacciono i biscotti!
L’anno prossimo le metterò una fetta di torta!

E se, e se, e se…

È Mattina. La mamma e il papà entrano nella mia stanza quatti quatti. “Mary svegliati, è arrivata!”.

Volo in salotto con quattro balzi.

Ecco la magia: tutto meraviglioso.
Molto più di quanto potessi immaginare! Non è più il mio salotto, ma un luogo quasi sacro, in cui per qualche minuto di quella notte è entrato l’incanto dell’impossibile.

Mi tuffo nel cioccolato, nelle caramelle, nei giocattoli. Tutto ciò che ho desiderato ora è realtà!

Sapevo che non mi avrebbe delusa!

Per un attimo, stanotte, ho avuto paura di non essere stata abbastanza. Abbastanza brava, abbastanza buona, abbastanza…
Ma ora mi guardo intorno e ho la matematica certezza che quando si tratta di amore e di magia non si debba mai avere dubbi.

Lei mi ama solo perché sono io. Questo è quanto.
Questo è sufficiente.

Abbandono per un momento quel mondo incantato. Mi avvicino, ancora in pigiama, alla finestra.
Scosto la tenda bianca e osservo i tre pini innevati.

La neve è caduta piano piano, fiocco dopo fiocco.
Lei non si è fatta abbattere dal freddo e dalla fatica. È arrivata anche da me.
Chiudo gli occhi e sussurro “Grazie!”.

So che non mi deluderà mai.
La magia è una cosa seria!
Lo so.

Fonte immagine di copertina

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

“Tutto è iniziato da”…l’incipit della mia storia d’amore con la scrittura

“Tutto è iniziato da”…l’incipit della mia storia d’amore con la scrittura

“Tutto è iniziato da”…l’incipit della mia storia d’amore con la scrittura

Dai miei primi passi nel mondo della scrittura fino all’approdo in IOVOCENARRANTE, il tutto raccontato a un gruppo di studenti e studentesse

Tutto è iniziato da una pausa.

Ero infatti in camera mia, alla scrivania e vagavo con la mente durante una pausa dallo studio.

A un tratto, scrollando la bacheca di Facebook, noto un post. Era un annuncio in cui si presentava una rivista online nata da poco: Iovocenarrante.

Si cercavano nuovi partecipanti.

Così, tra me e me, dissi: “Perché no?”.

Quindi risposi e da quel momento varcai la soglia di un meraviglioso universo di possibilità.

Diventai pertanto inviata di Iovocenarrante. Avrei approfondito la categoria del teatro, ma avendo l’opportunità di spaziare tra mille altri ambiti.

Ebbene sì, la rivista mi aveva consentito di realizzare un sogno che portavo nel cuore: scrivere.

Quindi ho assistito a conferenze, a spettacoli teatrali, ho intervistato artisti e persone estremamente arricchenti.

Tali vite si sono intrecciate alla mia, in un barlume di esistenza. Ho così dato voce al mio cuore tramite gli articoli che realizzavo.

Tuttavia, non sapevo che un’altra avventura sarebbe stata lì pronta ad attendermi.

Così, tutto è iniziato con un atto di fiducia.

Infatti, un’amica, Chiara Lavenoni, insegnante di materie umanistiche presso la Scuola Secondaria di Primo Grado Giovanni XXIII di Rudiano (Bs) avanza la proposta di un’iniziativa.

Una magnifica iniziativa!

Avrei dovuto, infatti, presentare la mia esperienza di inviata e di scrittrice di articoli per Iovocenarrante. Il mio pubblico sarebbe stato un gruppo di alunni e alunne aderenti al progetto del Giornalino scolastico, da lei stessa ideato.

Così varcai la soglia della scuola, arrivando in loco un’ora in anticipo, tanta era l’ansia mista a felicità da cui ero pervasa!

Ecco: gli alunni e le alunne, dodicenni, fanno il loro ingresso nella classe adibita. Mi osservano con i loro occhi attenti e vispi. Nelle menti si diramava la curiosità più luminosa.

Le loro espressioni sono inestimabili.

In seguito, la Professoressa Lavenoni e il Professor Sberna, docente di matematica, mi presentano con fiducia.

Un respiro. Sono pronta.

Inizio a raccontare chi sono, compiendo un viaggio indietro nel tempo.

E narro loro del colpo di fulmine tra me e la scrittura, avvenuto a casa dei miei nonni, in un giorno d’estate.

Riporto quindi alla memoria la promessa fatta a me stessa, anni prima: scrivere per il mio cuore, liberandomi dal timore del giudizio altrui.

Così la narrazione cresceva e, come un albero, piantava radici e prendeva respiro con mille rami.

E il vento che muoveva le fronde erano le domande acute e brillanti del mio giovane pubblico.

In seguito, ho mostrato il sito di Iovocenarrante, il sistema di WordPress, alcuni dei miei articoli. Il palcoscenico e il backstage.

Ebbene in quel momento mi sono resa conto di quanto il mondo della rivista mi abbia dato la possibilità di migliorare il mio stile.

Mentre la mia vita cambiava, cambiava anche la mia scrittura, legata ad essa.

Così ho compreso quanto Iovocenarrante sia un trampolino di lancio, che consente di intrecciare la propria esistenza ad altre vite meravigliose, come in quel caso.

Porterò sempre nel cuore l’immagine di quelle mani alzate, di quei germogli di futuro verso i quali nutro la più genuina fiducia e la più profonda gratitudine. Come compito, infatti, avrebbero realizzato un articolo riguardo questo incontro.

E poi…una domanda: “Prof, Maria tornerà ancora da noi?”.

E poi…Gioia pura.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.