Pillola maschile come innovazione: tempismo perfetto o estremo ritardo?

Pillola maschile come innovazione: tempismo perfetto o estremo ritardo?

Pillola maschile come innovazione: tempismo perfetto o estremo ritardo?

Curiosità e domande su contraccezione e società, entrambe in continua evoluzione ma non per forza in sincronia.

Scrollo pigramente la home di Instagram, galleggio tra i soliti post e le solite sponsorizzazioni, nulla che mi entusiasmi o catturi effettivamente la mia attenzione, finché un titolo molto curioso mi fa fermare e rileggere con più attenzione, dichiarava all’incirca così: “Pillola contraccettiva maschile efficace al 99%”.

Ed è qui che penso tra me e me che non sia possibile, che il futuro non può essere arrivato così velocemente e prepotentemente. E di fatti non è così, o meglio non del tutto. La notizia vera è quella di un anticoncezionale non ormonale, basato su un composto chimico creato in laboratorio che ridurrebbe drasticamente la produzione di spermatozoi nei topi. Perché, piccolo dettaglio, la sperimentazione di tale farmaco per ora è ferma alla fase animale, quella clinica sull’uomo potrebbe arrivare tra un anno circa. I primi risultati per ora però sono davvero incoraggianti, il composto “YCT529”, su cui si basa la pillola sembrerebbe effettivamente avere un’efficacia del 99% e nessun particolare effetto collaterale.​

Quindi secondo l’iter di approvazione standard per qualsiasi farmaco – e se tutto continuasse ad andare secondo i piani – entro cinque anni potrebbe davvero essere messo in commercio il primo anticoncezionale maschile diverso dal preservativo. Ed è su questo primo punto che la mia mente si è maggiormente soffermata dopo aver approfondito la notizia. Quali opzioni ci sono al giorno d’oggi per gli uomini per evitare di concepire? Preservativo e vasectomia, fine. La speranza di una terza opzione è quindi considerabile come manna dal cielo, ma come mai arriva solo ora? Leggendo qua e là, cercando di dissipare la nuvoletta di dubbi e polemiche che alleggiava sopra la mia testa mi sono imbattuta in alcuni articoli che apparentemente davano risposta a questa domanda.

Questa fatidica pillola è arrivata solo ora poiché negli anni precedenti la ricerca si era concentrata su una pillola ormonale, che però si è appurato avere effetti collaterali troppo gravi e pericolosi per essere utilizzata dagli uomini. Tra questi effetti collaterali si riscontravano aumento di peso, depressione e incremento di problemi cardiovascolari. Ora passiamo a considerare le opzioni contraccettive femminili, tra cui possiamo trovare vari tipi di pillole ormonali, il cerotto, l’anello, il diaframma, la spirale e il preservativo femminile. Il ventaglio più ampio di opzioni sembrerebbe andare a nostro vantaggio, poiché crea un’illusione di libertà di scelta sull’opzione più adatta a noi, non per tutte però purtroppo si tratta sempre effettivamente di scegliere l’opzione più adatta, ma molte volte è solo un discorso di quale sia il male minore, di cosa abbia gli effetti collaterali più sopportabili. Che negli anticoncezionali ormonali femminili sono moltissimi e anche molto gravi o invalidanti, si parte da quelli più leggeri come ritenzione idrica, aumento di peso e sbalzi d’umore a quelli più ingombranti, come depressione, calo della libido e problemi circolatori, con aumento di rischio di trombosi.

Questa veloce comparazione è per portare alla luce un altro quesito con cui mi arrovello da giorni, perché per una fetta di società certe cose sono accettabili, possono essere subite e per l’altra metà invece no? E con questo non voglio certo dire che anche gli uomini dovrebbero portarsi insieme a noi il fardello degli effetti collaterali e indesiderati di tali farmaci, ma invece di festeggiare subito per una mezza vittoria, non potremmo pensare anche all’eliminazione dell’altro mezzo fardello?

LE OPINIONI: I RAGAZZI

Detto questo, la parte più curiosa di me dopo essersi tanto arrovellata sulle questioni femministe non è riuscita a fermarsi qui, e ha sentito il bisogno di indagare un po’ di più nella realtà, nella praticità delle cose. Ed è qui che sono diventata l’incubo di tutti i miei amici (non che prima fosse molto diverso). Ho iniziato a interrogare tutte e tutti nelle sedi più disparate e inappropriate, ho iniziato a chiedere cosa ne pensassero della questione, e come si sarebbero comportati se questa fatidica pillola maschile fosse stata approvata e messa in commercio all’indomani del mio fastidioso interrogatorio. I ragazzi con cui ho parlato si dividevano principalmente in due categorie, i più timorosi riguardo a possibili effetti collaterali o inefficacia e al contrario gli entusiasti, scalpitanti di poter avere più opzioni e di poter partecipare effettivamente alla conversazione in modo consapevole.

LE OPINIONI: LE RAGAZZE

Tra le ragazze ho ricevuto pareri molto diversi tra loro, chi sarebbe più che lieta di dividere l’onere e l’impegno della contraccezione o addirittura di delegarlo completamente, e chi invece decisamente più restia se non del tutto contraria. Una ragazza in particolare mi ha rivelato i suoi timori a cedere questo pezzetto di responsabilità poiché gli uomini non hanno esperienza diretta della paura e del rischio di una possibile gravidanza, poiché non la vivono sul proprio corpo, è per loro un’esperienza di seconda mano, vissuta indirettamente e di riflesso. Altre di queste ragazze invece mi hanno dato come motivazione la sfiducia verso i propri partner o verso il genere maschile in quanto tale. Ed è su queste idee che mi sono sentita maggiormente perplessa e in disaccordo, poiché credo fortemente che se dobbiamo batterci per un’equa spartizione delle responsabilità sia necessaria anche un’equa spartizione di fiducia. Su che basi, a parte una vasta dose di luoghi comuni e pregiudizio noi donne saremmo realmente più capaci e affidabili per sostenere tale incarico? Cosa ci impedisce di occuparcene insieme in ugual modo e di aprire una reale e paritaria conversazione a riguardo?

 di Valentina Nizza

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Agostino: un paradigma del romanzo di formazione

Agostino: un paradigma del romanzo di formazione

Agostino: un paradigma del romanzo di formazione

Agostino, pubblicato nel 1943, è la narrazione di una scoperta conseguente a una rottura: il sesso al venir meno del quasi edipico rapporto con la madre. Torbida, corrotta e insidiosa, la sessualità priva Agostino di ogni innocenza, gettandolo prepotentemente nell’intricato mondo degli adulti.

Additato come romanzo “scabroso” dalla censura fascista, Agostino, scritto da Alberto Moravia nel 1943, è ascrivibile al genere del romanzo di formazione, come narrazione del traumatico ingresso del suo protagonista nel mondo della sessualità e della piena adolescenza. Agostino ha infatti appena tredici anni, vive con la madre e ogni anno trascorre con lei le vacanze estive in Toscana. Verso la madre, donna bella e ancora nel fiore degli anni, Agostino nutre una sorta di venerazione che lascia pensare a un irrisolto complesso edipico. Godendo del privilegiato momento delle vacanze per poter trascorrere del tempo da solo con lei, Agostino vede turbato il proprio equilibio dall’arrivo di un giovane di nome Renzo, con il quale presto la donna intreccia una relazione a danno delle attenzioni rivolte al figlio.
L’evento è per Agostino causa di profondo turbamento, gelosia e conflitto con la madre, al punto che un giorno, lasciato solo dalla donna decide di allontanarsi dal proprio lido imbattendosi nel giovane Berto e in un gruppo di ragazzi che giocano a guardia e ladri sulla spiaggia. Agostino apprende da loro che la madre è considerata una donna facile. La notizia, produce nel giovane un radicale cambiamento di atteggiamento, arrivando addirittura a provare fastidio per il modo di lei di trattarlo ancora come un bambino.

Agostino avverte sempre più il bisogno di entrare nel “mondo dei grandi”, di avere un rapporto con una donna, di sentirsi “uomo”; la ricerca di una donna “altra” è il segno più evidente del tentativo di sostituzione della figura materna, e liberazione da essa. Venuto a conoscenza dal giovane Tortima dell’esistenza di una casa di appuntamenti nella città, procuratosi i soldi necessari, cerca di accedere al postribolo ma viene allontanato perché troppo giovane.
Agostino verte in una condizione di incomunicabilità con l’esterno, che sembra parzialmente infrangersi e aprire la strada a una nuova maturità quando alla delusione nel postribolo, segue la richiesta di Agostino alla madre di tornare a casa, e che da quel momento lei impari a trattarlo da uomo e non più da bambino.
La distruzione delle certezze che accompagnano la fanciullezza e la necessità di ritrovare sé stessi a partire da nuovi presupposti segnano quel momento di complicato passaggio e ingresso nell’adolescenza. La narrazione dagli occhi di un adolescente scandaglia nel profondo i turbamenti interiori, oltrepassando i confini del piatto naturalismo e ricercando i meccanismi più profondi che fanno di ogni giovane un uomo.

La rappresentazione delle frustrazioni e della ricerca di precarie certezze che sembrano costantemente infrangersi alla prova dei fatti, funge da specchio per ogni lettore che riveda un po’ di sé stesso in quel senso di smarrimento, innalzando la prosa di Moravia a dettato intimo e collettivo.
E così osservò il critico Geno Pampaloni in merito:
“La primitiva ispirazione rigoristica, che è all’origine del libro, si risolve in una sorta di languore, che lo scrittore identifica con grande maestria nella spossatezza sfibrante di un’estate assolata lungo la spiaggia […]. Proprio mentre scopre, nelle memorabili pagine finali del libro, che egli è lasciato solo con la sua responsabilità di giudizio di fronte anche agli affetti più gelosi e profondi come quello per la madre, Agostino è trascinato a essere complice con la vita quale che è”.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.