Appuntamento con Marc Chagall: una passeggiata tra i suoi inconfondibili dipinti

Cosa rende la pittura di Chagall inconfondibile? L’unico modo per scoprirlo è far parlare i suoi coloratissimi dipinti, via d’accesso a un mondo sofferto e sognante.

Lo scorso 7 luglio si sono spente le 135 candeline dalla nascita di uno dei pittori più longevi della storia dell’arte: Marc Chagall.
Nato a Lëzna nel 1887 da una famiglia di religione ebraica e condizione modesta, fin da subito mostra una vocazione insopprimibile verso la pittura, come egli stesso spiega nell’autobiografia Ma Vie, in cui racconta delle insistenti preghiere alla madre per saltare la scuola e recarsi alla bottega del maestro Yehuda Pen, il solo pittore di Vitebsk. Vedono così la luce i primi “quadretti” che anticipano la lunghissima e prolifica carriera artistica.
Quindi, lasciamo parlare i suoi inconfondibili dipinti, via d’accesso a un mondo sofferto e sognante.

FRAGOLE. BELLA E IDA AL TAVOLO, 1916

All’età di 22 anni “il ragazzo con lo sguardo di una volpe” incontra “la ragazza dalla pelle d’avorio e dai grandi occhi neri” e tra i due scoppia un sentimento che li accompagnerà per tutta la vita. Dal primo momento Bella Rosenfeld diventa musa ispiratrice delle opere dell’artista bielorusso, che sposerà nel 1915. Quel legame puro e totalizzante li solleva da terra, li porta a fluttuare in aria, tanto che Chagall si ritrae spesso in volo con lei – basti pensare a La passeggiata o Sulla città. Il loro amore però affonda le radici nella realtà semplice e autentica della Russia contadina. Lo testimonia Fragole. Bella e Ida al tavolo, che celebra la nascita della figlia e mostra uno stile pittorico decisamente diverso dal solito e più realistico.

LA DANZA, 1928

Ci sono alcuni oggetti che ricorrono nella pittura di Chagall, in particolare il ventaglio, il violino e la pendola. Il primo costituisce un ponte tra la Francia, paese di adozione, e la Russia. Molto in voga negli eleganti ambienti parigini, viene rappresentato con pizzi sofisticati per richiamare la tradizione dei merletti di Vologda. La fama della loro pregevolezza portò all’apertura di numerose fabbriche a San Pietroburgo, dove, non a caso, C. frequentò l’Accademia Russa di Belle Arti. Il secondo omaggia sia gli artisti di strada che popolavano le rues parigine sia la cultura chassidica, nella quale il violinista riveste un ruolo importante in occasione di feste e cerimonie. Il terzo, secondo la religione ebraica, è lo strumento che permette di scandire lo scorrere del tempo, partendo dal microcosmo della propria casa e arrivando poi a misurare il ritmo dell’universo.

 

BUE SCUOIATO, 1947

La drammaticità degli avvenimenti che dilaniano l’Europa negli anni del nazismo spinge Chagall a dare sfogo alle terribili immagini che ossessionano la sua mente. La tematica dell’orrore della guerra trova compiutezza nel Bue scuoiato, in cui il pittore sostituisce al Cristo crocefisso un enorme bue insanguinato e sospeso, a cui fa da sfondo lo scenario notturno di Vitebsk. L’animale rappresenta un ricordo d’infanzia – il nonno era macellaio e lo zio mercante di bestiame – e una memoria della gioventù parigina, trascorsa a La Ruche, vicino al mattatoio.

 

 

 

DOMENICA, 1954

Nel 1910 Chagall si trasferisce a Parigi per entrare in contatto con le personalità più influenti dell’epoca, Picasso e Matisse, e lasciarsi influenzare dalle correnti artistiche d’avanguardia, il Fauvismo e il Cubismo, da cui rispettivamente erediterà l’uso di un colore anti-naturalistico e la tendenza a sovrapporre piani e figure. La città, che consacrerà la sua notorietà, si trasforma in materia onirica, viene dipinta a tinte vivide e brillanti per esaltarne la magia e l’atmosfera fiabesca.

Nessuna Accademia avrebbe potuto darmi tutto quello che ho scoperto divorando le esposizioni di Parigi, le sue vetrine, i suoi musei […]. Come una pianta ha bisogno di acqua, così la mia arte aveva bisogno di Parigi”. (M. Chagall, Ma Vie)

 

L’OROLOGIO, 1956

Le tele di Chagall, traendo ispirazione dalla tradizione folkloristica russa e attingendo all’iconografia ebraica, si popolano di una gran quantità di animali che, spesso, sovrastano i tetti dei villaggi sovietici – lo stesso C. vi saliva per contemplare la sua città dall’alto in solitudine. Tra gli animali più ricorrenti troviamo il gallo, simbolo di potenza e rinascita, ma anche vittima sacrificale alla vigilia dello Yom Kippur, e la capra, allegoria della condizione protetta e intima del focolare domestico. Ne L’orologio il colore supera i limiti della razionalità e diventa veicolo di intense emozioni, che tingono di una sfumatura profondamente malinconica e nostalgica l’intera composizione.

 

Di Ilaria Zammarrelli