Il riscatto di Calimero: da pulcino discriminato a personaggio immortale

Il riscatto di Calimero: da pulcino discriminato a personaggio immortale

Il riscatto di Calimero: da pulcino discriminato a personaggio immortale

Un pulcino sventurato sin dal giorno zero della propria esistenza può diventare un eroe senza tempo? Sì, perché Calimero, dal debutto nel Carosello il 14 luglio 1963, non è mai più stato dimenticato.

Oggi ogni mass e new media trasuda pubblicità. È ovunque e inevitabile, con ogni nostro ‘click’ rischiamo di imbatterci in inserzioni insolenti o di essere catapultati su landing page persuasive. Benchè la pubblicità abbia un ruolo fondamentale nell’ambito dell’economia e del marketing odierni, continua a essere considerata una grande seccatura da ogni consumatore medio.

Tuttavia non è sempre stato così. Infatti, ai tempi di Calimero, la pubblicità era una forma d’intrattenimento, un momento di condivisione. Dal 1957 al 1977, tutti i giorni dalle 20:50 alle 21:00, andava in onda il Carosello, con i suoi dieci minuti giornalieri di spot pubblicitari animati che riunivano attorno al televisore grandi e piccini.

Può sembrare paradossale, ma la pubblicità era voluta e  amata, e ancora di più uno dei più famosi protagonisti dei corti pubblicitari del Carosello: Calimero.

Il 14 luglio 1963 un pulcino nero approda sugli schermi e nei cuori di tutti gli italiani. È Calimero, il piccolo rappresentante virtuale della Mira Lanza, celebre società di saponi e detersivi di quegli anni. Come per tutti gli altri sketch promozionali del Carosello, anche la Mira Lanza crea una storia attorno al proprio prodotto e Calimero ne è il protagonista (qui l’episodio di lancio).

Il piccolo è il quinto pulcino della nidiata della gallina Cesira, caratteristica per il suo forte accento veneto, che fa eco alle origini dei due padri di Calimero, i fratelli Pagot, registi e fumettisti. Ma i problemi per Calimero incombono sin dalla nascita, quando, cadendo in un contenitore di fuliggine, si tinge completamente di nero e non viene più riconosciuto dalla mamma. Per questo primo schiaffo della vita e per tutte le peripezie e angherie che subirà negli episodi successivi, Calimero è diventato l’eroe di tutti gli emarginati e oppressi. Non c’è Calimero se non accompagnato dal motto “Qui tutti ce l’hanno con me perché sono piccolo e nero…è un’ingiustizia però!”. Eppure per chiunque c’è una via d’uscita, una possibilità di riscatto. Calimero, infatti, sarà soccorso dalla gentile olandesina della fattoria che, lavandolo con il detersivo AVA della Mira Lanza, riuscirà a restituirgli il suo candore originario. Così nasce la celebre e immortale espressione pronunciata dal piccolo, all’apice della contentezza per la risoluzione della sua situazione di disagio: “Ava come Lava!”.

Dunque quale miglior modo per assicurarsi il favore del pubblico? Niente sarebbe potuto risultare più convincente di un dolce e impacciato pulcino con il proprio lieto fine. Chiunque si è sentito ‘un Calimero’ almeno una volta nella vita, protagonista di un piccolo dramma e bersaglio dei prepotenti o di un cattivo tiro della sorte. Per questo gli episodi costruiti attorno al personaggio di Calimero sono l’esempio di una comunicazione vincente.

Lo spettatore si sente parte di un tutto ed empatizza con la condizione del pulcino, viene così agganciato attraverso il suo inconscio e sensibilità. Inoltre è esposta una problematica della collettività che viene superata e risolta proprio da un prodotto dell’azienda, esibito come soluzione a tutti i problemi

Così nasce il mito di Calimero che, negli anni, si libera da ogni fine pubblicitario e assume dignità cinematografica. Protagonista di film e di serie animate interamente realizzate su di lui è approdato fino in Giappone.

Ma l’intuizione per la creazione di questo eroe senza tempo non ha certo origini fortuite. Il pulcino prende il nome da un’antichissima e polverosa chiesa del Milanese: la Basilica di San Calimero, a due passi dal Duomo di Milano. Secondo la leggenda, San Calimero è stato gettato dai pagani nel pozzo della chiesa, patendo così un triste epilogo. Che sia stata l’ispirazione per il piccolo pulcino caduto nella fulligine e strapazzato dalla cattiveria altrui?

Probabilmente, o forse la scelta del nome Calimero è un omaggio alla Basilica in cui lo stesso Nino Pagot si è sposato. Una cosa è certa: un pizzico leggendario, una cucchiaiata di dolceamaro e un chilo di tenerezza sono gli ingredienti perfetti per realizzare un fenomeno di successo internazionale e inesauribile nei secoli!

 

 

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!

Manet: il maestro del carpe diem raccontato attraverso Il Bar delle Folies-Bergère

Manet: il maestro del carpe diem raccontato attraverso Il Bar delle Folies-Bergère

Manet: il maestro del carpe diem raccontato attraverso Il Bar delle Folies-Bergère

Il 30 aprile 1883, all’età di 51 anni, scompare Edouard Manet, ma non prima di concludere il suo testamento artistico: Il Bar delle Folies-Bergère.

Manet ha impressionato e continua tutt’oggi a impressionare appassionati d’arte e profani della disciplina. Non è casuale la scelta del termine impressionare poiché egli contribuì proprio allo sviluppo della corrente impressionista, sviluppatasi negli anni Settanta dell’Ottocento. Ciò che vale per gli impressionisti vale anche per Manet: l’arte è trasporre su tela la realtà filtrata dal proprio sguardo, non una realtà fotografica e limitatamente ricalcata.    Dipingere non è un processo di riproduzione ma è una reinterpretazione personale della scena, sempre e comunque fissata a partire da un’impressione, un attimo fugace, il carpe diem oraziano colto dall’occhio sapiente dell’artista.

Il Bar delle Folies-Bergère è un olio su tela del 1882 che al meglio rappresenta la prontezza dell’occhio e del pennello di Manet. In questa sua ultima opera l’artista ci scaraventa nel bel mezzo del locale parigino delle Folies-Bergère, tra musica, danze, rumorosi chiacchiericci e nuvole di fumo che impregnano le pareti e gli assidui frequentatori del locale. Non è una descrizione esageratamente romanzata della scena, tutto ciò è ben visibile e percepibile alle spalle della cameriera, sullo specchio che riflette l’interno della sala.

Le Folies-Bergère è un caffè-concerto, tra i preferiti di Manet, inaugurato nel 1869 e tutt’ora visitabile. Qui la media e alta società parigina di quegli anni si accalcava ogni sera per assistere a spettacoli di varietà sorseggiando audaci drink. Uno scenario che per noi giovani dell’era covid è solo un vecchio ricordo, ma nell’attesa della riapertura di locali e discoteche osservare questo dipinto può essere una timida alternativa.

Tra la gioia e la confusione generale si erge imponente al centro della scena Suzon, una cameriera malinconica la cui espressività crea un forte contrasto con l’atmosfera del locale. Manet riesce magistralmente a cogliere l’espressione della giovane: è pensierosa e annoiata, ha uno sguardo assente, quello che per i clienti è un luogo per staccare dalla quotidianità e svagarsi per lei è il luogo di lavoro. Osservandola è naturale chiedersi a cosa stia pensando. Forse agogna disperatamente la fine del turno, forse teme che l’avventore del locale che le si è posto di fronte le ponga una delle domande più temute da tutto il popolo delle cameriere: “Siamo in 18, possiamo fare conti separati?” oppure “Potrei avere gentilmente un’acqua minerale?” (ignorando che minerale non è sinonimo di frizzante).

La tela di Manet è stata accusata dalla critica di riportare errori di prospettiva. Solo successivamente si è compreso che il punto di vista da cui osservare correttamente la scena è quello del cliente al di là del bancone. Prospettiva fedele o fantasiosa che sia, non importa, ciò che conta è che Manet, fino al suo ultimo respiro, ha dato prova di possedere un incredibile occhio fotografico. In più il Bar delle Folies-Bergère fissa a pieno la realtà di quegli anni, come in un’istantanea, e rende omaggio alla categoria delle cameriere di cui Suzon è portavoce.

Manet ci offre, infatti, una duplice prospettiva. Da un lato è raffigurata in modo chiaro e nitido colei che si trova al di qua del bancone, Suzon, con cui possiamo empatizzare facilmente perché l’artista ci dà la possibilità di guardarla direttamente negli occhi, comprendendo nell’immediato la sua condizione. Dall’altro lato sono rappresentati coloro che si trovano al di là del bancone, i ricchi borghesi che vengono serviti da Suzon e rappresentati attraverso l’artificio dello specchio, che riflette, filtra e deforma la realtà.

È così che da una tela bidimensionale emergono molteplici piani, Manet riesce a offrirci una scena tridimensionale e fortemente immersiva. Ma nel quadro non mancano alcune piccole chicche, probabilmente già evidenti ai più attenti e curiosi: la firma di Manet sull’etichetta della bottiglia rossa di sinistra e, sempre sulla sinistra, un trapezista di cui si scorgono solamente le calzature verdi.

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!