Stai impazzendo alla ricerca dei regali di Natale? Colpa dei Saturnalia romani!

Stai impazzendo alla ricerca dei regali di Natale? Colpa dei Saturnalia romani!

Stai impazzendo alla ricerca dei regali di Natale? Colpa dei Saturnalia romani!

La tradizione dello scambio dei doni ha origini antichissime: coincide con il 17 dicembre 497 a.C., nascita della festività romana dei Saturnalia.

È arrivato dicembre, il mese del freddo, delle luci, degli alberi di Natale, dei panettoni e soprattutto della folle corsa alla ricerca dei regali. Essere colti impreparati il 25 dicembre è il timore di ognuno, per questo, nelle settimane precedenti al Natale, fiumi di persone si riversano nei centri commerciali e nelle vie cittadine dello shopping per rifornirsi di doni con cui sorprendere i propri affetti. Ma da dove nasce questa amata, e odiata, tradizione?

Tutto ha origine il 17 dicembre del 497 a.C. quando a Roma viene predisposta una sfarzosa celebrazione in onore del dio Saturno, l’equivalente del dio greco Crono. Da quella data, tutti gli anni, dal giorno 17 al 23 dello stesso mese veniva celebrata la festività romana dei Saturnalia. La festa intendeva ricordare la cacciata dal cielo di Saturno il quale, insediatosi poi in territorio italico, avrebbe governato durante l’Età dell’Oro. 

È così che durante i sette giorni di festeggiamenti i romani cercavano di riprodurre l’agio e la prosperità di quegli anni creando un’atmosfera di gioia e divertimento con banchetti, riti ed eventi fastosi. Inoltre in questa settimana gli ordini sociali venivano invertiti. Gli schiavi rivestivano il ruolo dei nobili padroni vessandoli e vivevano alla maniera dei ricchi mangiando a dismisura e alzando il gomito. Ma non è di certo finita qua. I Saturnalia hanno anche molto a che vedere con il Carnevale. Infatti era previsto un ‘dress code’ tutto romano: i servi indossavano il copricapo frigio della liberazione e tutti gli altri la synthesis, una veste divertente e colorata degna delle sfilate della Milano Fashion Week.

Come per il Natale cristiano, anche quest’usanza pagana vestiva la città di fiaccole, ghirlande, nastri e addobbi. Èd è inquesto clima di leggerezza e letizia che nasce la tradizione dello scambio dei doni giunta fino ai giorni nostri. I romani si donavano l’un l’altro le cosiddette ‘strenne’ cioè piccoli regali, come vesti, statuette, candele, noci e datteri, accompagnati dall’augurio ‘Ego Saturnalia’, abbreviazione di ‘ego tibi optimis Saturnalia auspico’. Donare e ricevere questi presenti era simbolo di buon auspicio, ancora di più se si donavano i tre simboli di questa festività: il mirto, l’edera e il lauro, sacri rispettivamente a Venere, Bacco e Apollo.

Tuttavia i romani non hanno introdotto solo questo costume ma hanno ben pensato di inventare anche quello dei bigliettini di auguri. Infatti, come per i regali, anche i bigliettini da accompagnare ai doni ci causano non pochi pensieri. Che cosa scrivere? Limitarsi ad uno scialbo ‘Buon Natale’ o ‘Auguri’? No, forse potremmo prendere ispirazione da Marziale che, con i suoi epigrammi, si è dimostrato un maestro in questo.

Marziale, poeta latino del I secolo d.C., dedicò tutta la sua vita a comporre epigrammi, genere considerato ‘minore’ all’epoca. Gli epigrammi erano in origine epigrafi funebri commemorative ma Marziale seppe sfruttarne la versatilità e brevità realizzando epigrammi d’occasione, comici, autobiografici e satirici.

Gli epigrammi di Marziale che dovevano accompagnare i regali nella festività dei Saturnalia sono contenuti nelle raccolte degli Xenia (doni per gli ospiti) e degli Apophoreta (doni da portar via).

I bigliettini pensati dall’Autore suonavano scherzosi ma anche geniali e accattivanti. Spesso era il regalo stesso a parlare, come nel caso di uno scaffale per libri “Se non mi dai libri scelti, lascerò entrare le tarme e i feroci scarafaggi” o di un dentifricio “Che cosa hai da fare con me? Che mi usi una fanciulla: non è mia abitudine pulire denti finti”.

E adesso che sai perché ogni Natale coccoli amici e parenti con bigliettini di auguri e regali, affrettati a comprare gli ultimi e festeggia i tuoi Saturnalia!

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!

Si può amare uno stalker? Il tema dello stalking in “You” tra verità e leggerezze

Si può amare uno stalker? Il tema dello stalking in “You” tra verità e leggerezze

Si può amare uno stalker? Il tema dello stalking in “You” tra verità e leggerezze

Istruzione e distruzione del tema dello stalking, questi i propositi di You. Joe non è uno psicopatico, non è uno stalker. È innamorato!” è ciò che afferma Millie Bobbie Brown, dimostrando quanto può essere rischioso romanzare la figura di uno stalker.

Nessuno potrebbe mai aspettarsi che un innocuo libraio, un dolce ragazzo amante della lettura, possa rivelarsi uno stalker sanguinario, un voyeur ossessivo e maniacale. Questo è proprio Joe Goldberg, il controverso protagonista di You, serie TV spopolata sugli schermi dal 2018 e basata sull’omonimo romanzo di Caroline Kepnes. Eppure Joe riesce a conquistare il cuore e la stima dello spettatore perché gli ideatori della serie, Greg Berlanti e Sera Gamble, riescono a fornirne un ritratto amabilissimo. Sin dall’episodio pilota, siamo immersi nella mente di Joe, ascoltiamo la sua voce, una voce narrante che descrive come il suo sguardo si posi su scene, situazioni e donne. Abbiamo così accesso ai meccanismi di pensiero di Joe e vediamo le cose attraverso i suoi occhi. Parallelamente, la realtà distorta esperita da Joe è riprodotta sul piano visivo. Ogni inquadratura è sfocata e indefinita lungo i bordi come a riprodurre un’atmosfera onirica che rispecchia a pieno la mente turbata e nebulosa di uno stalker.

L’adozione della voce narrante e la tecnica dello sfocato sono, perciò, funzionali alla rappresentazione della figura dello stalker e dunque a una sua maggiore comprensione da parte del pubblico. Il problema di You è che l’intento di ottenere la comprensione e l’empatia dello spettatore verso Joe superano il limite. Il protagonista, infatti, incarna le vesti di una figura spregevole, di un individuo ossessionato, totalmente assorbito nel pensiero della donna oggetto di desiderio, quello “you” eletto a titolo e che rappresenta il centro del suo mondo. Tuttavia nella serie ogni azione di Joe si redime dietro la maschera dell’amore.

LA MASCHERA DELL’AMORE

Joe cerca informazioni sulle proprie partner online, le segue, fa appostamenti fuori dalle loro abitazioni per osservare più del dovuto, colleziona loro oggetti intimi, assassina ex-fidanzati o figure scomode, eppure sembra fare tutto ciò ‘solo perché è innamorato’. La stessa Millie Bobbie Brown, conosciuta per il suo esordio cinematografico nella serie Stranger Things, dichiara superficialmente su Instagram: “Joe non è uno psicopatico, non è uno stalker. È innamorato!”. La Brown, sommersa dalle critiche, smentirà le proprie parole poco dopo, ma il suo è un esempio eclatante dei pericoli derivanti dalla romanticizzazione di un personaggio di questo tipo.

Le azioni di Joe vengono continuamente giustificate: invade la privacy delle donne e uccide “per amore” e per i traumi infantili che lo hanno segnato profondamente. È un po’ come parlare di “delitti passionali”, espressione retrograda e imprudente che scagiona la pazzia e violenza degli assassini perché spinti da un sentimento nobile come l’amore. Sicuramente il procedimento che discolpa Joe, e successivamente la moglie e concorrente in omicidi Love Quinn, è volto a garantire una maggiore godibilità del prodotto cinematografico. La serie TV, nonostante le tematica cruda e sensibile, rende sempre interessanti i personaggi e i loro gesti estremi, tanto che, nella terza stagione, si rivela quasi più fastidiosa la superficialità dei coniugi Conrad piuttosto che il turbinio di delitti compiuti da Joe e Love.

Rappresentazione della mente di uno stalker e giustificazione delle sue azioni non sono però gli unici elementi costitutivi del ritratto offerto da You. Lo stalking è una piaga che affligge pesantemente il nostro paese. Le statistiche riportano che quasi un italiano su dieci è stato vittima di stalking e le interessate sono principalmente giovani donne che ingombrano ancora le menti malate dei propri ex partner (fonte: leurispes.it).

STALKING: IL PARADOSSO DI UN “REATO” RECENTE

Numerosi sono i problemi e le complicazioni legate a questo reato (considerato tale solo dal 2009). Per cominciare, la serie illustra chiaramente come sia agevole per chiunque reperire informazioni online che, non tanto incredibilmente, siamo noi stessi a rendere pubbliche. La privacy digitale è oggi probabilmente morta, l’ossessione al condividere su ogni tipo di piattaforma social ha innescato conseguenze preoccupanti. Il cyberstalking oggi è diffusissimo e avvalersi di profili fake o identità diverse è divenuto sin troppo facile. Lo stesso Joe nel corso della serie cambia ben tre identità, da Joe diventa Paul nelle sedute con lo psicologo di Beck e nella seconda stagione, a Los Angeles, si fa chiamare Will. A prescindere dalla presenza di tali individui, preservare la propria privacy è importante, ma ormai non sembra più essere una priorità. Tra i singoli utilizzatori di rete e social networks, infatti, va via via diffondendosi un senso di ‘privacy fatigue’, una rinuncia generalizzata al tentativo di proteggere i propri dati perché ritenuto impossibile.

Inoltre, altri due sono i motivi che caratterizzano la figura dello stalker nella serie. Innanzitutto Joe e Love appartengono alla categoria degli “insospettabili”. Sono un libraio e una pasticcera, dal primo ci si aspetta cultura, ricchezza interiore, sensibilità, dalla seconda dolcezza e delicatezza, sicuramente non ti immagini che ti possa tramortire al suolo con un mattarello. Infine, i due protagonisti riescono sempre a farla franca, a rimanere impuniti. Nella serie per la loro intelligenza, nella realtà perché spesso gli stalker sono figure che riescono a restare nell’ombra, che non vengono denunciati perchè si avvalgono di ricatti con cui intrappolano le proprie vittime. 

You è dunque una serie che costruisce un quadro su modi e meccanismi dello stalking, che rende lo spettatore quasi complice delle sporche azioni di Joe e Love. Tuttavia resta un prodotto di intrattenimento condannose voragini colme di messaggi impliciti sbagliati e troppo leggeri per un pubblico giovane.

 

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!

J. F. Kennedy è stato vittima della ‘maledizione dei Kennedy’? Scopriamolo insieme

J. F. Kennedy è stato vittima della ‘maledizione dei Kennedy’? Scopriamolo insieme

J. F. Kennedy è stato vittima della ‘maledizione dei Kennedy’? Scopriamolo insieme

L’assassinio pubblico di John Fitzgerald Kennedy, l’uccisione del fratello Bob e il suicidio di Marilyn Monroe sono alcune delle morti inspiegabili legate alla famiglia Kennedy. Che la ‘maledizione dei Kennedy’ esista davvero?

1. “Dov’eri quando hanno sparato a Kennedy?

John Fitzgerald Kennedy, nato a Brooklyn il 29 maggio 1917, è stato il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Un leader amato quanto misterioso. Lasciò dietro di sè ombre e segreti irrisolti che hanno sconvolto e continuano a sconvolgere i media americani e mondiali, a partire dalla sua tragica morte.

Il 22 novembre 1963, J.F. Kennedy si trovava a bordo dell’auto presidenziale in visita a Dallas. A fianco a lui, la moglie Jacqueline, con indosso il tailleur rosa di Chanel che da quel giorno nessuno si sarebbe più dimenticato. Tra il clamore della folla e i gesti affettuosi che la coppia si stava scambiando sul sedile posteriore dell’auto, il sociopatico ed ex militare Lee Harvey Oswald spara tre colpi di fucile al presidente Kennedy. L’intera scena viene inconsapevolmente ripresa da Abraham Zapruder che, con la sua cinepresa, ferma per sempre i pochi attimi dell’assassinio più agghiacciante e celebre della storia degli Stati Uniti (qui per il video).

In quella frazione di secondo in cui il terzo proiettile, quello mortale, colpì il presidente alla testa, Kennedy aveva cessato di essere l’uomo più potente del mondo, all’apice della gloria e della propria carriera politica. Era declassato alla condizione di ‘uomo tra gli uomini’, vulnerabile e fragile, esattamente come apparve l’America agli occhi di tutti.

L’evento ebbe inevitabilmente risonanza mondiale tanto che la domanda “Dov’eri quando hanno sparato a Kennedy” continuò ad essere posta e riposta negli anni a venire. Ancora oggi, dopo sessant’anni, i punti irrisolti dell’omicidio sono molteplici: c’è chi grida al complottismo, chi ritiene che Oswald abbia agito da solo, chi afferma di aver udito un quarto colpo di arma da fuoco, chi accusa il successore presidenziale Lindon Johnson. Una sola cosa è certa, questa sarà solo la prima delle numerose tragedie legate alla famiglia Kennedy.

2. Marilyn Monroe: “quella che corre dietro i fratelli più grandi

Quella che corre dietro i fratelli più grandi” così recita il poema cinematografico di Pierpaolo Pasolini dedicato a Marilyn Monroe e inserito nel film La rabbia del 1963. L’anno è il medesimo dell’attentato alla vita di Kennedy ma il successivo al presunto suicidio della bella Marilyn Monroe. Una diva internazionale, una bellezza eterna che si è spenta all’età di trentasei anni, sola nella propria abitazione a Los Angeles, causa un’overdose.

Tuttavia, anche intorno alla sospetta morte di Marilyn non mancano i dubbi e gli interrogativi.

I fratelli più grandi” di cui parla Pasolini sembrano essere proprio i Kennedy, John e Bob Kennedy che sarebbero stati membri integranti di un pericolosissimo triangolo amoroso con l’attrice. Che la diva conoscesse personalmente i due fratelli, è attestato da un altro leggendario pezzo di storia: la canzone Happy Birthday Mr. President cantata da Marilyn al quarantacinquesimo compleanno di J. F. Kennedy al Madison Square Garden (qui il video originale dell’esibizione). Un’altra clip storica che effonde tutta la raffinatezza e la spontaneità di una sex symbol di altri tempi, accompagnate da un’indiscussa sensualità. A quale dei due Kennedy fosse realmente rivolta la sensualità della diva, non ci è dato saperlo, ma sicuramente quella sera, sul palco, la Monroe era già intrappolata in un gioco più grande di lei.

Infatti, Marilyn aveva avuto probabilmente una storia con J. F. Kennedy, dal quale era stata successivamente scaricata perchè “troppo ingombrante“. Scoppia in seguito la passione tra lei e Bob Kennedy, tanto che si parlò addirittura di matrimonio. Quello che accadde invece fu il suicidio dell’attrice nel 1962. Che sia stato un omicidio orchestrato dalla CIA per celare intrighi politici di cui lei era a conoscenza? O una gravidanza indesiderata che avrebbe fatto piombare la Casa Bianca nello scandalo? Un’altra morte inspiegabile, un altro mistero, il nome ricorrente è sempre lo stesso: Kennedy.

3. Robert Kennedy: un’amara vittoria

Robert Kennedy, o Bob Kennedy, come il fratello maggiore decide di concorrere alle elezioni presidenziali. Ma ahimè, la notte del 5 giugno 1968, in procinto di festeggiare la propria vittoria alle primarie del Partito Democratico, le sue ambizioni vennero per sempre fermate da una revolver calibro  22. Ancora un’esecuzione pubblica, ancora un assassino che pare aver agito da solo, ancora l’ennesimo Kennedy caduto.

Oltre a John e Bob Kennedy e Marilyn Monroe, le sciagure sopportate dalla ricca famiglia dei Kennedy sono pressoché infinite. Anche Ted, fratello minore, non ha avuto vita facile, ma è stato forse il più fortunato: è uscito quasi indenne da uno schianto aereo ed è riuscito a sopravvivere quando è finito in mare con la propria auto, causando però la morte della ragazza che si trovava con lui.

La maledizione continua ancora oggi a propagarsi di generazione in generazione, ma forse si può individuare l’origine di questa pesante e mortale ombra nera. Nel 1941 Rosemary, sorella di J.F.K, Bob e Ted, era stata sottoposta dai genitori alla lobotomia, pratica chirurgica ormai superata usata per intervenire su disturbi mentali. Per la famiglia Kennedy avere una figlia con disabilità costituiva una vergogna, qualcosa da tenere nascosto. Che la maledizione sia stata una punizione per la crudeltà riversata dai genitori su una ragazza che aveva solo necessità di amore e attenzioni?

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!

Hai mai cliccato qui con il mouse? Lo farai

Hai mai cliccato qui con il mouse? Lo farai

Hai mai cliccato qui con il mouse? Lo farai

Se sei qui significa che ti sei fidato e hai cliccato pur non conoscendo il contenuto dell’articolo. Forse sei stato coraggioso, forse imprudente, sicuramente non sai che ti sei lasciato persuadere dal primo banner pubblicitario della storia. Ma cos’è un banner? Scopriamolo insieme.

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Ventisette anni fa, il sito Wired.it, estensione web dell’omonima rivista statunitense, proponeva sulla propria pagina un piccolo riquadro 460×60 pixel, che invitava a cliccare sul medesimo: nasceva così il primo banner pubblicitario.

È di dominio pubblico che ogni attività e contenuto su internet siano supportati e alimentati dalla pubblicità. Immense masse di banner, pop-up e video pubblicitari popolano i siti che frequentiamo. La nostra percezione odierna è di disturbo e fastidio verso queste ridotte (nei casi più fortunati) porzioni di pixel arricchite con colori, font seducenti e slogan memorabili. Tuttavia, dobbiamo considerare che senza questi elementi-disturbatori del web potremmo consultare una parte infinitamente minore delle risorse e contenuti di cui fruiamo ogni giorno. Il maggiore alimentatore della massiva macchina pubblicitaria è proprio il display marketing. Uno degli strumenti di marketing online più validi e persuasivi e nel quale rientrano tutti gli annunci grafici in cui ci imbattiamo costantemente.

Il banner pubblicato nel 1994 da HotWired.com, così si chiamava ai tempi, non era altro che il frutto della collaborazione tra la rivista e una nota compagnia telefonica statunitense, la At&t. La campagna riscontrò un colossale successo. Infatti, conducendo un paragone con le statistiche odierne, il banner indusse ben il 44% dei visitatori del sito a cliccare su di esso, oggi invece, gli annunci pubblicitari stentano a raggiungere l’1% di ‘click’ sul traffico complessivo.

Ma quali sono i segreti per creare un banner efficace? Forse pensi non ti riguardi perché non lavori nell’ambito digital, ma ormai chiunque interagisce con questo mondo e svelarne i retroscena ci rende più consapevoli delle piattaforme entro cui ci muoviamo ogni giorno. Per questo vi proponiamo un breve ma generoso manuale per nuove reclute del fronte dell’advertising.

Banner VS pop-up: The Last War

Innanzitutto, è necessario specificare che il banner è sempre preferibile ai pop-up. I pop-up sono le famose finestre a comparsa condannate dalla maggior parte degli esperti di marketing e dagli stessi frequentatori di siti web. Si aprono autonomamente e irrompono sul nostro schermo senza invito, rivelandosi una grande seccatura per qualsiasi lettore. Essi, oltre a provocare reazioni di fastidio, possono essere limitati da qualunque utente attraverso comunissimi ad-blocker, e pertanto si rivelano strumenti poco efficaci.

I banner, invece, sono dispositivi pubblicitari più discreti (ricordo che di elementi grafici insolenti ne ho già parlato qui). Compaiono in determinati e prestabiliti spazi sulle pagine web e si integrano perfettamente con le stesse, senza mai interrompere la lettura di un testo o ostacolare la fruizione del contenuto. Generalmente, per i banner si adottano dimensioni prestabilite e popolari affinché essi si rivelino più incisivi (vedi immagine).

A tal proposito il formato più largamente impiegato è il 728×90, molto affine a quello scelto da Wired nel primo banner pubblicitario della storia.

Realizzare un buon banner significa anche prendere in considerazione il layout della pagina su cui esso comparirà, i colori selezionati dovranno creare contrasto con essa e in alcun modo disturbo o difficoltà di lettura.

E per quanto riguarda i font? Puoi scegliere tra i Serif Font, dotati di ‘grazie’, ovvero le estremità caratterizzate da piccoli allungamenti, che trasmettono una percezione di serietà, e i Sans Serif, chiari e semplici. Uno studio del The New York Times ha rilevato che il carattere che più condiziona i lettori è Baskerville.

Per essere leggibile e penetrante un banner deve presentare pochi elementi: limitati a riportare il logo o nome della tua azienda e uno slogan o messaggio promozionale breve e coinciso. Chiaramente, più un annuncio pubblicitario si presenta carico di elementi, più facilmente tedierà il visitatore e risulterà meno immediato e comprensibile. Proporre un sovraccarico di stimoli può creare dispersione nell’osservatore e condurre il nostro banner a essere tristemente ignorato.

Per ultimo, è sconsigliato totalmente l’uso di contenuti animati che creano diffidenza e sono sintomo di inaffidabilità.

Nell’immagine posta al fondo dell’articolo proponiamo alcuni esempi di banner pubblicitari di successo che, tramite una CTA (call to action) divertente e coinvolgente, hanno ottenuto molte interazioni

Wired ha così aperto la strada a un nuovo modo di sfruttare le piattaforme telematiche. Nel 2000 sarà Google a compiere il secondo passo iniziando a vendere inserzioni a pagamento. Oggi ci troviamo, così, smarriti in un dedalo di annunci e promozioni, ma dobbiamo ricordare che la pubblicità è la nostra miglior compagna. Una compagna ingombrante e megalomane, che ci influenza un pochino, ma che permette ai contenuti di nostro interesse di esistere ed essere di qualità. E ora, buon web-scrolling!

 

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!

INTERNATIONAL CAPS LOCK DAY

INTERNATIONAL CAPS LOCK DAY

INTERNATIONAL CAPS LOCK DAY

EHI TU! FERMATI UN ATTIMO QUI! PERCHÉ? TE LO SPIEGO NELL’ARTICOLO, NON FARTI SPAVENTARE DAL MIO CAPS LOCK INSERITO A MANETTA. NON STO URLANDO. STO SOLO CELEBRANDO L’INTERNATIONAL CAPS LOCK DAY!

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Sì, hai capito bene. Oggi, 28 giugno, ricorre l’International Caps Lock Day. Cosa sia il ‘caps lock’ non è necessario che te lo spieghi, dopotutto ti basta abbassare lo sguardo verso la tastiera per intuire da solo la risposta.

Ma cerchiamo di capire perché oggi il web e i social network saranno traboccanti di post ‘urlati’ accompagnati dall’hastag #CapsLockDay e #InternationalCapsLockDay.

Nel 1981 IBM (International Business Machines corporation), la più annosa e famosa azienda informatica statunitense produttrice di computer, software e hardware, lancia il proprio primo Personal Computer dotato di tastiera e tasto Caps Lock. IBM opta per collocare il tasto alla destra della barra spaziatrice. Solo nel 1984 questo comparirà per la prima volta nella posizione in cui lo conosciamo, e odiamo, noi oggi, alla sinistra della lettera ‘A’.

IBM forse credeva di contribuire al progresso del mondo dell’informatica, di introdurre uno strumento che agevolasse la scrittura da tastiera sostituendo il seccante ‘Tasto Shift’, che richiede una pressione costante per generare lettere maiuscole in successione. Invece IBM, nel 1984, stava inconsapevolmente creando un mostro, la futura risorsa di tutti i più temibili urlatori da tastiera.

Fu così che il Blocco Maiuscole, nato con i migliori presupposti, inizia a dare voce agli odiatori, o haters, del web, ai Millennial che ne abusano nei loro post indignati su Facebook e a tutti gli utenti, anche i più miti, costretti a cancellare intere righe accorgendosi di aver accidentalmente attivato l’ingombrante vicino della lettera ‘A’.

Ma perché è stato scelto il 28 giugno come giorno di celebrazione di questo piccolo e insidioso pezzetto di plastica in rilievo? In realtà la data non intende lodare l’invenzione del Bloc Maiusc, piuttosto ironizzare proprio su tutti i megalomani che lo sfruttano per urlare sul web. Infatti, il 28 giugno è anche la data della scomparsa di Billy Mays, noto venditore americano beffeggiato per l’elevato tono di voce che adottava nelle sue televendite (vedere per credere). Billy è divenuto l’icona del Caps Lock proprio dopo aver rivelato il motivo di tante urla: da piccolo aveva involontariamente ingerito il tasto Blocco Maiuscole della tastiera dell’IBM PS/2 che aveva in casa.

 

Una domanda sorge spontanea a questo punto, il tasto Caps Lock ci serve davvero? O si stava meglio quando si stava peggio? Nonostante la percezione comune di sentirsi aggrediti da chi si rivolge a noi facendo uso del Caps Lock, sicuramente questo tasto dà un contributo positivo all’esperienza di scrittura informatica. Di fatto, sopperisce a un’imponente falla della comunicazione telematica e social: l’impossibilità di trasmettere le emozioni attraverso uno schermo. Il Caps Lock tenta di restituire un’espressività pari a quella che si potrebbe realizzare nel corso di una conversazione frontale, rendendo il linguaggio scritto colorito e personale.

Il Blocco Maiuscole, tanto quanto Billy Mays, è dunque il migliore comunicatore che puoi incontrare, capace di suscitare l’indignazione e attirare l’attenzione di chiunque vi si imbatta scrollando una pagina web.

 

Matilde Vitale

Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!