Caravaggio bohémien

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, nasce in Lombardia nel 1571 e muore il 18 luglio 1610 in preda a febbri malariche contratte tra Lazio e Toscana.

[post-views]

La marea nera che avvolge il mito di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, ne condiziona la fama, la quale, spintasi ben oltre i confini italici, persiste intatta tutt’ora, dopo circa quattrocento anni. A ben vedere, soffermandosi sui documenti e sulle fonti consultabili, quasi due terzi della vicenda esistenziale del Caravaggio sono avvolti da una relativa oscurità, esasperando l’etichetta che i critici sogliono affibbiare a questa figura rivoluzionaria del linguaggio pittorico. 

Nato in Lombardia nel 1571, all’età di circa quindici anni Caravaggio si trasferisce a Roma, dove inizialmente affronta i rivolgimenti della fortuna patendo la fame, la miseria e una cattiva salute. 

La Roma tra Cinquecento e Seicento è una città internazionale, cuore ideologico di una Controriforma che ne ribadisce il ruolo centrale e insindacabile della cristianità, in seguito allo scisma dei protestanti. La Roma della Controriforma è quindi una città in fermento che, assetata di rilegittimazione, restaurazione e sentimento di rivalsa nei confronti di coloro che ne avevano rimesso in causa il ruolo, promuove un clima di grande fervore artistico: il linguaggio pittorico necessariamente si fa carico di questo nuovo assetto semantico e pedagogico, e l’iconografia sacra, che fra Quattrocento e Cinquecento incontra le istanze di movenze mondane ed estetizzanti, torna a linee severe e rigorose.

Caravaggio, già a partire dai lavori che risalgono al suo primo periodo romano (indicativamente fra il 1592 e il 1599), manifesta una certa intolleranza per l’iconografia sacra di stampo convenzionale e retorico, preferendo al contrario una pittura più vicina alla realtà quotidiana

Proprio i primi lavori tradiscono questo interesse per la vita di tutti i giorni e la vena popolaresca. I soggetti dei lavori del Caravaggio, il quale già nel 1597 era indicato come “famosissimo pittore” e riceveva committenze prestigiose dai membri più influenti della Roma papale e aristocratica, sembrano abbandonare la veste magniloquente che secoli di cultura e ricostruzione filologica, nonché passione per l’antico, avevano oltre misura monumentalizzato. Le divinità antiche, gli angeli messaggeri di Dio, i santi stessi e la Vergine si dotano di forme i cui contrasti, anziché smussati e levigati dalla sapiente arte del colore, vengono accentuati sulla base del chiaro-scuro; ma soprattutto, i soggetti rappresentati traggono ispirazione dalla realtà dimessa di tutti i giorni. 

Un esempio lampante di questa predilezione del Caravaggio per il vero è rappresentato dal Bacco degli Uffizi, in cui il giovane dio è un popolano dallo sguardo quasi vuoto, inespressivo, e appoggiato su un panneggio sgualcito, lontano dal magniloquente panneggio classico. La sua signorilità nel tenere un calice di vino è affettata, quasi ostentata, marcando una fortissima componente ironica e inverosimile. Nella tela del Fanciullo con canestro di frutta, conservato presso la Galleria Borghese, Caravaggio introduce una assoluta novità: se la realtà oggettuale veniva considerata dalla tradizione pittorica di minore importanza, qui, invece, il canestro di frutta sembra attirare la completa attenzione dell’osservatore. 

Caravaggio non era conosciuto solo per le sue tele, ma anche per il suo temperamento. Passioni smodate, irriverenza, collera subitanea: sono tutte caratteristiche che nel corso dei secoli hanno avuto buon gioco nella creazione di un Caravaggio bohémien, che anticipa la Parigi degli eccessi ottocenteschi. 

A ben vedere, a partire dal 1600 si ritrova parecchie volte il suo nome  nei registri di polizia: tra risse di strada, processi, querele, azzuffate di vario di tipo, Caravaggio fu ampiamente implicato nei disordini della Roma di primo seicento. 

Nel 1604 Caravaggio fu denunciato da un servitore di un’osteria: il pittore aveva ordinato un piatto di carciofi, e il servitore gliene servì quattro cotti nel burro e quattro nell’olio. Alla domanda di Caravaggio su quali fossero gli uni e quale gli altri, il servitore rispose “che li odorasse, che facilmente haverebbe conosciuto quali erano cotti nel burro et quelli che erano all’olio”. La risposta insolente bastò a far infuriare Caravaggio, il quale scaraventò il piatto contro il servitore, ferendolo ad una guancia. 

Fu una rissa in Campo Marzio che spinse Caravaggio ad allontanarsi da Roma: il pittore era un appassionato del gioco della palla, e una domenica di fine maggio del 1606 decise di misurare la propria bravura in una competizione a squadre con altri amici e giocatori. La sera, le due squadre vennero alle mani in Campo Marzio, e durante la rissa Caravaggio e un altro contendente, un certo Ranuccio Tommassoni, rimasero feriti. Le ferite di Ranuccio erano così profonde che ne determinarono la morte

Caravaggio si diresse quindi prima a Napoli, poi a Malta, dunque in Sicilia, dove la parabola tra genio ed eccesso si ripeté, come una stanca nenia, preludio della sua definitiva rovina. 

Nel mentre delle sue peregrinazioni, a Roma i suoi protettori e sostenitori perorarono la causa della grazia e del suo rientro a Roma: giuntagli notizia di una possibile grazia, Caravaggio scappa da Napoli per giungere a Roma. 

Imbarcatosi su una feluca diretta a Porto Ercole, sbarca a Palo, poco distante da Roma; viene trattenuto per accertamenti alla dogana, e una volta rilasciato cercò di raggiungere a piedi il vascello che era ripartito da Palo con tutte le sue cose, compresi i suoi quadri. In questo disperato tentativo, sfinito e sfibrato a causa delle febbri malariche contratte durante quella che appare un’impresa folle, Caravaggio muore il 18 luglio 1610 nei pressi di Porto Ercole. 

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.